Condizione della donna nella Storia

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    Perdonate il titolo vaghissimo XD L'idea per il topic mi è venuta in parte prendendo ispirazione da questo topic, in parte perché mi è capitato più di una volta di fare delle letture sulla condizione femminile nelle epoche passate che contrastavano con i miei preconcetti o con i luoghi comuni sulle donne nella Storia che credo abbiamo sentito un po' tutti. Ho pensato che potesse essere più comodo riunire tutte queste "scoperte" invece che aprire mille topic diversi, a meno che non emergano argomenti molto corposi o di particolare interesse.
    Mi rimetto alla pazienza di ‚dafne in caso di eventuali modifiche da fare al topic <3

    Comincio con il condividere un articolo sul lavoro delle donne del medioevo scritto da Maria Paola Zanoboni (x), che aveva pubblicato un'altra versione più lunga dello stesso articolo (con bibliografia annessa) sul sito del Festival del Medioevo:
    CITAZIONE
    Non solo tessitrici e filatrici casalinghe o, al massimo, aiutanti nelle botteghe dei mariti. Nel Medioevo le donne venivano impiegate in tutti i possibili settori, compresi l’edilizia, le miniere e le saline.

    Vi erano imprenditrici che si autofinanziavano con propri capitali ottenuti dalla vendita di abiti e gioielli. Alcune donne col proprio lavoro riuscivano a mantenere sé stesse e i propri familiari in difficoltà, o a saldare i debiti dei mariti in un momento in cui le retribuzioni erano commisurate alle capacità e quindi non dipendenti dal genere. Dal canto loro le nobildonne erano impegnate nelle attività più varie: dall’organizzazione di laboratori per il ricamo, alla gestione di miniere, alla direzione di opere di bonifica, all’impianto di caseifici, fino alla gestione di alberghi. Lucrezia Borgia, ad esempio, era un’abilissima imprenditrice agricola impegnata in lavori di bonifica e in svariate attività, tra cui la produzione di mozzarelle di bufala (di cui tra l’altro era golosa). Non raramente finanziava i suoi affari vendendo i propri gioielli: sacrificando una catena d’oro costruì l’argine di un fiume. Analogamente la madre di Lucrezia, Vannozza Cattanei, con la vendita dei propri monili sovvenzionò la ristrutturazione di un albergo nel centro di Roma, garantendosi in tal modo una cospicua rendita.


    Settori femminilizzati
    Nonostante la sua capillare diffusione c’erano settori, come quello tessile, in cui il lavoro femminile prevaleva, dando vita a manifatture ben organizzate gestite da donne. Persino per la filatura della lana, ritenuta tradizionalmente un’occupazione di basso profilo svolta a domicilio, esistevano delle professioniste, proprietarie della materia prima, che agivano del tutto autonomamente: a Barcellona alla fine del trecento alcune di loro davano vita a piccole aziende in cui assumevano apprendiste, e giungevano a commercializzare direttamente il prodotto, vendendolo al mercato settimanale sulla piazza cittadina.

    Tre settori esclusivamente femminili erano caratterizzati da notevoli e autonome capacità organizzative: le fasi preliminari alla trattura (che include l’avvolgimento del filo sul rocchetto); la filatura dell’oro; la confezione di veli e cuffie o di acconciature di seta e di cotone. Articoli, questi ultimi, destinati alle donne e che richiedevano un gusto prettamente femminile nell’ideazione. Perciò in tutta Europa veniva lasciata loro la gestione dell’intero ciclo produttivo (dalla realizzazione dei modelli, alla tessitura e alla commercializzazione), compreso il conferimento del capitale necessario ad avviare l’attività. Donne imprenditrici dotate di propri capitali commissionavano ad altre donne che lavoravano a domicilio (spesso, a loro volta, con delle apprendiste), la tessitura dei manufatti. Nella maggior parte delle attività spicca il massiccio coinvolgimento delle nobildonne come finanziatrici e come imprenditrici: nella Venezia d’inizio cinquecento le aristocratiche avevano fatto un business persino di un’attività tradizionalmente casalinga come la confezione dei merletti intuendo la possibilità di successo di un prodotto raffinato ma di semplice manutenzione.

    Molte di loro poi, come “mercantesse pubbliche”, controllavano tutto il ciclo di lavorazione dell’oro filato (durante il XIV e il XV secolo): è il caso della “mercantessa” Pasqua Zantani, in carriera per trent’anni all’inizio del quattrocento; oppure partecipavano in prima persona a società commerciali per l’esportazione dei tessuti in tutta Europa. Altre operavano nella nascente arte della stampa (fine del XV secolo) firmando come editrici le pubblicazioni, come la nobildonna greca Anna Notaras, che aprì una tipografia a Venezia all’inizio del cinquecento per diffondere nella città lagunare la cultura della madrepatria.

    Altre ancora, soprattutto a Roma (come Vannozza Cattanei), erano attivamente impegnate nella gestione di alberghi e locande, vere miniere d’oro negli anni santi, oppure armavano navi (a Marsiglia nel trecento e nel quattrocento) e assoldavano pescatori per cercare il corallo nel mare della Sardegna, che facevano poi lavorare e foggiare in perle da manodopera femminile alle loro dipendenze.

    Edilizia e miniere
    Le donne medievali erano attivissime anche in attività molto faticose, nell’edilizia e nelle miniere: a Siena e a Pavia scavavano acquedotti e canali (dei 640 lavoratori reclutati nel 1474 a Pavia, 284 erano donne, tra cui anche alcune bambine). Nel XIV e XV secolo in Francia in Spagna le donne partecipavano come manovalanza alla costruzione delle cattedrali mentre a Messina nel XIII secolo avevano costruito le mura cittadine.

    In Francia le donne occupavano un ruolo notevole soprattutto nelle miniere di sale. In quelle di Salins (Jura), tra il quattrocento e il seicento le operaie svolgevano compiti di primaria importanza come maestranze specializzate, occupando ruoli chiave all’interno del contesto produttivo, con incarichi di fiducia tramandati di madre in figlia. Nelle loro mani si trovava la maggior parte dell’attività, e godevano (alla pari degli uomini), di indennizzi in caso d’infortuni o di malattia, e di una pensione d’invalidità o di vecchiaia accordata dal consiglio direttivo della salina, su richiesta dell’interessata che avesse lavorato a lungo (38-40 anni) e fosse ormai troppo debole e anziana o impossibilitata a lavorare.

    Così, nel 1476, un’operaia ormai attempata che lavorava da 38 anni chiese e ottenne la pensione settimanale che «era consuetudine assegnare ai lavoratori della salina», come raccontano i documenti amministrativi delle miniere. E come lei molte altre sessantenni che lavoravano da una quarantina d’anni. Non tutte chiedevano però la pensione: secondo gli stessi documenti alla fine del quattrocento un’operaia di 80 anni lavorava ancora insieme alla figlia. Sorprendente poi la longevità delle impiegate nelle saline: alcune raggiungevano i 110 anni, e non si trattava di casi isolati.

    Neppure in questo settore mancava l’imprenditoria femminile: a Milano, ai primi del cinquecento, alcune fornaci che rifornivano di laterizi i cantieri delle principali costruzioni civili e religiose erano di proprietà e gestite da donne; a Gaeta, tra il 1449 e il 1453, con le proprie imbarcazioni un’imprenditrice riforniva di materiale da costruzione il cantiere reale del castello, come rivelano i libri mastri.

    Nel Lazio, negli anni novanta del quattrocento la nobildonna romana Cristofora Margani, vedova del mercante pisano Alfonso Gaetani ed erede delle importantissime miniere di allume di Tolfa (Civitavecchia), gestiva in prima persona l’attività occupandosi delle relazioni con i minatori, dei rapporti con il mondo mercantile e della consegna dell’allume alla Camera apostolica. Era cioè il fulcro di un universo in cui confluivano forze economico-sociali diverse.

    In tutta l’Europa medievale, insomma, i documenti mostrano uno straordinario brulicare di attività femminili del tutto impensate.
     
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