Teresa Casati Confalonieri

Amore e morte nel Risorgimento

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    Vorrei condividere con voi la storia di una donna che mi ha molto appassionato, e che purtroppo è quasi sconosciuta dagli italiani. La sua storia s'intreccia con il Risorgimento Italiano, la sua fu una vicenda di coraggio, altruismo e amore.

    Teresa Casati nacque 1787 a Milano da una nobile famiglia. Dopo la morte della madre avvenuta quando aveva appena sei anni, si chiuse in un grande mutismo perdendo l’iniziale spensieratezza. Il padre, che nel frattempo si era risposato, decise di mandarla a studiare in un convento dove le giovani aristocratiche milanesi erano solite perfezionare gli studi. Qualche anno prima aveva ricevuto una proposta di matrimonio da un nobile francese molto più grande di lei che voleva strapparla alla solitudine del convento, ma la contessina aveva rifiutato, tornando a dedicarsi agli studi che tanto l’appassionavano. L'incontro che doveva cambiarle la vita avvenne quando aveva 19 anni, nel 1806, ad una recita presso l’orfanotrofio femminile Stella di Milano. Fu lì infatti che Teresa incontrò Federico Confalonieri, bel giovane di 21 anni, appartenente come lei ad una nobile ed illustre famiglia milanese; egli, piacente presso le donne, riteneva di non essere fatto per il matrimonio, a cui aveva deciso di astenersi, e diceva che l’unica donna che avrebbe mai amato era una donna di nome Italia (aveva infatti già abbracciato gli Ideali patriottici)
    I due si rividero poco dopo ad un ballo, dove ebbero modo di conoscersi e di parlarsi, e in breve s’innamorarono. La proposta di matrimonio venne fatta dalla zia di Federico al padre di Teresa, che l’accettò; le nozze si celebrarono il 14 ottobre 1806.
    Le vicende dei due coniugi s'iniziarono ad intrecciare con la causa italiana fin da quando nel 1814, alla caduta del regime napoleonico, Federico fu inviato alla testa di una delegazione milanese per trattare con i sovrani europei sulle sorti dell’Italia, della quale si chiedeva l’indipendenza.
    Mentre si trovava a Parigi, il Confalonieri informò sugli sviluppi della situazione la moglie, il cui parere teneva in grande considerazione, e le affidò anche dei delicati incarichi, quali il prendere contatto con i suoi amici e informarli dell’andamento delle trattative. Ma la delegazione si rivelò un completo fallimento: tutto era già stato deciso senza tenere conto degli Italiani, l’Austria aveva già disposto di prendere possesso della Lombardia e tener sotto la sua influenza gran parte dell’Italia; quanto ai sovrani degli altri Paesi, questi ricevettero sbrigativamente i delegati italiani e demandarono tutto all’Austria.
    Il Confalonieri intuì subito quanti guai la sudditanza avrebbe portato all’Italia, e scrisse amareggiato: “venimmo a domandare l’esistenza, e l’indipendenza di un paese, dopo ch’esso era già stato venduto”.
    E poi: “Per arringare la causa d' una nazione voglionsi baionette, non deputazioni.”
    Federico e Teresa vedono dunque la loro Milano cadere sotto il dominio dell’Austria, senza avere la facoltà per impedirlo. La loro città è passata da un padrone all’altro: prima i francesi con Napoleone, ora gli austriaci con Francesco I.
    Scrive Federico a Teresa: “tristi nuove per chi ama veramente la propria patria; si consolino quelli che nella nullità, e nella tranquilla esistenza individuale pongono ogni lor desiderio.”
    Se per molti italiani, che non esitarono a mettersi al servizio dell’Austria, l’arrivo dei nuovi padroni è fonte d’indifferenza, per Federico è un fatto triste: “Il sagrifico di mia patria mi sta onor fisso nel cuore, ed ogni cosa mi amareggia.”
    Cominciano allora gli anni delle riunioni segrete e delle lotte per l’Italia, condotte da grandi uomini che non esitarono a mettere a rischio la propria vita per combattere per la Patria.
    Nel 1816 i Confalonieri fecero un viaggio per tutta la penisola; passarono per la Toscana, per gli Stati Pontifici e si fermarono per qualche tempo a Napoli. Ebbero così modo di allacciare contatti con i più ferventi patrioti che si trovavano in quei luoghi e in particolare a Napoli vennero in contatto con diverse società segrete.
    Ben presto Federico Confalonieri entrò a far parte dei Federati, un'organizzazione che auspicava all’indipendenza e unità Italiana, tramite l’aiuto del re di Sardegna. Teresa invece aderì alle Giardiniere, società segreta di sole donne (di cui, tra le altre, facevano parte anche Bianca Milesi e Cristina di Belgiojoso) e si dedicò, appoggiata dal marito, alla diffusione della cultura. In diverse regioni d’Italia erano infatti sorte in quegli anni delle scuole di mutuo insegnamento, che avevano lo scopo di “far conoscere ai giovani i loro doveri ed altresì quei diritti che, rivendicati, dovevan far d' essi degli uomini liberi.” Teresa s’entusiasmò per questo progetto, e si adoperò attivamente e con passione per istituirle anche a Milano. Grazie all’aiuto di Federico, che scrisse una petizione al governo nel 1819, venne istituita la prima scuola nell’antico convento di S. Agostino, mentre un’altra venne aperta più tardi in via S. Cristina. Inizialmente le scuole vennero guardate con indifferenza dall’Austria, che riteneva che presto l’entusiasmo si sarebbe spento. Le scuole- chiamate Lancasteriane- conobbero grande diffusione, soprattutto in Veneto e Lombardia.
    Non passò molto tempo che l’Austria iniziò a vedere in quelle scuole uno strumento pericoloso. La direzione della polizia, il 20 maggio 1820, scrisse al governatore di non poter guardare con favore all’istituzione delle scuole lancasteriane, « perchè messe in mano di persone pericolose, quali il Porro, Confalonieri, Mompiani, Ugoni, Arrivabene, che avevano una sola tendenza, l'indipendenza d' Italia e la costituzione e vagheggiavano tutto ciò che tende ad esaltare lo spirito nazionale. »
    Del resto l’Imperatore, che temeva che il popolo Italiano potesse acquisire una coscienza di sé, aveva detto senza mezzi termini: “ non voglio letterati, non voglio gente di studio, ma voglio mi facciate dei sudditi fedeli, devoti a me ed alla casa mia.”
    Teresa rimase molto delusa e amareggiata per la fine di quel progetto in cui aveva tanto creduto. Si sfogò con il Mompiani in una lettera: «... le nostre scuole sono condannate ed irrevocabilmente condannate. Facciamo di tutto per farle continuare anche sottomettendoci a delle riforme, almeno sino alla fine dell'anno scolastico, per non lasciare sulla strada cinquecento ragazzi, ma non sappiamo ancora se ci verrà concesso; si aspetta Federico, ma tremo...»
    Fallito quest’altro progetto culturale, Teresa continuò a far parte delle Giardiniere, e Federico dei Federati.
    Nel dicembre del 1921 la situazione precipitò. Dopo i moti del ’20-’21 la polizia austriaca iniziò ad arrestare tutti i membri delle società segrete, spesso anche solo i sospettati di farne parte o di avere contatti con esse; in particolar modo mirava ad eliminare il filone cospirativo dei Federati, che temeva molto più della ormai estinta Carboneria. Nel giro di due anni si susseguirono diversi arresti, fra cui quello di Silvio Pellico e Piero Maroncelli.
    Anche Federico Confalonieri finì nella rete. Nonostante gli avvertimenti del conte Bubna, fedele suddito austriaco ma amico della famiglia, egli non era fuggito ed era rimasto a Milano. Aveva predisposto un piano per scampare alla cattura: si trattava di un passaggio segreto, che tuttavia al momento dell’irruzione della polizia austriaca in casa sua trovò inspiegabilmente murato. Il 13 dicembre 1921 venne quindi portato nelle carceri di Santa Margherita, in attesa di essere interrogato.
    La polizia austriaca non esitò, anche in mancanza di prove, ad individuare in lui un esponente dei Federati, e ad additarlo addirittura quale capo del movimento contro l’Austria. Egli infatti era una figura di spicco della società dell’epoca ed erano note le sue antipatie verso l’Impero austriaco; il suo carisma, la sua intraprendenza, lo rendevano irrimediabilmente e istintivamente inviso all’Austria. Federico e carceri, dove accusa gravi problemi di salute, che- a quanto pare- aveva da tempo. Lì ebbe una ricaduta che non mancò di destare preoccupazioni nella moglie, con cui intrattenne una fitta corrispondenza. L’Austria impiegò diverso tempo ad ottenere prove consistenti contro di lui, dato che il conte si rifiutava di parlare. Ricorse allora ad una subdola strategia: raggirare membri delle società segrete già sotto accusa per ottenere da loro accuse a carico del conte. La strategia purtroppo ebbe successo; Federico che, come tutti gli uomini di grande personalità e carisma, oltre a grande ammirazione e affetto aveva suscitato in certi individui odii e invidie, fu oggetto di accuse alla prima occasione.
    Piene d’affetto e sentimento sono le lettere che in questo periodo egli scambia con Teresa, la quale non fa che pensare a lui; ella si dedica alla gestione degli affari, in base alle istruzioni del marito, e cerca di fare quello che può per aiutarlo. In occasione del loro anniversario di matrimonio gli manda, in mancanza d’altro, una ciocca di suoi capelli, che il Confalonieri riceve con affetto commosso.
    Viene la fine del 1823 e il processo è quasi al suo termine; l’esito, già si presagisce, non sarà positivo.
    Teresa allora decide, insieme al fratello Gabrio, di lanciare una petizione per raccogliere firme da presentare all’Imperatore per la grazia. Raccolgono le firme di 300 persone, tra cui la prima quella del Manzoni. Ma l’Austria non ne vuol sapere.
    Teresa decide allora di recarsi in Austria per chiedere la grazia al sovrano. Sfidando le dure condizioni e le fatiche del lungo viaggio riesce a giungere presso l’Imperatore, accompagnata dal fratello Gabrio e dal suocero Vitaliano Confalonieri.
    Federico non ha fiducia nell’intervento e scrive amareggiato:
    “ Le sentenze stanno per giungere, mia moglie e mio padre sono a Vienna; che cosa sono andati mai a fare? Forse non mi troveranno più al loro ritorno.”
    A Vienna attende li attende infatti un’amara sorpresa: l’Imperatore fa sapere senza mezzi termini che Federico Confalonieri è stato condannato a morte.
    A nulla valgono le suppliche e le implorazioni di Teresa: per l’Austria il conte Confalonieri deve pagare. Con lui infatti l’Austria vuole lanciare un segnale forte che possa scoraggiare i patrioti Italiani. Egli infatti rappresenta il tipo di uomo che L’Austria odia e teme di più: un nobile che spende tutte le sue fortune per la causa Italiana, un progressista le cui iniziative mostrano chiaramente i limiti della divisione dell’Italia in più stati, per di più legato all’inviso Conciliatore, un uomo capace di smuovere le coscienze con la sua abile dialettica.
    In un ultimo disperato tentativo Teresa decide di recarsi dall’Imperatrice e la supplica di intercedere per lei presso l’Imperatore. L’Imperatrice Carolina Augusta rimane profondamente commossa dalla vicenda di Teresa, dal suo coraggio e dalla sua sofferenza, causata nient’altro che dall’amor di Patria! Di animo buono e compassionevole, la sovrana tenta in ogni modo di confortare la sventurata donna. In quel momento per l’Imperatrice Teresa non era la moglie di un nemico politico dell’Impero, e per Teresa la sovrana non era la moglie del carnefice di suo marito. Erano semplicemente due donne che si confortavano a vicenda nel dolore.
    Per due volte Augusta Carolina si reca dall’Imperatore a chiedere la grazia, per due volte l’inflessibile e duro sovrano la rifiuta. La sentenza di morte inoltre è già stata firmata.
    Solo all’ultimo momento l’Imperatore decide di revocare la condanna a morte, ma solo perché la prostrazione di Teresa davanti a lui- una nobile proveniente da una delle migliori famiglie della città- aveva infiammato l’opinione pubblica dei milanesi. Una condanna a morte, giunta per di più dopo due anni di processo, avrebbe scatenato la reazione indignata del popolo. Ma soprattutto l’Imperatrice sa far nascere, spinta da Teresa, in lui il dubbio che la sentenza, troppo rigorosa ed affrettata, non sia giuridicamente valida per insufficienza di prove; l’Imperatore, scrupoloso osservatore della Legge, aborrisce all’idea di poter incappare, proprio lui, in un errore giudiziario. Così manda una staffetta per dare il contrordine.La pena venne dunque commutata in 15 anni di carcere duro allo Spielberg.
    A Teresa venne consentito di riabbracciare il marito un’ultima volta prima della partenza per le carceri; una volta allo Spielberg non avrebbe più potuto vedere Federico, né scrivergli, dato che non era consentito alcun contatto con l’esterno ai detenuti in quel posto. Straziante dev’essere stato l’ultimo saluto tra moglie e marito.
    Mentre il conte viene rinchiuso nel carcere insieme ad altri patrioti Italiani, Teresa si ritrova sola, nella grande casa di famiglia, all’improvviso vuota; ed ecco che molta gente che in passato aveva professato amicizia ai coniugi le volta le spalle. Il nome dei Confalonieri, un tempo circondato di ammirazione e rispetto, non è più, agli occhi della gente, fonte di vanto per chi gli è legato, ora è quello di una famiglia caduta in disgrazia, di un detenuto politico.
    Già al suo arrivo a Vienna Federico non aveva fatto a meno di notare nelle sue Memorie l’atteggiamento della società viennese, fra cui aveva conoscenze e da cui in passato era stato accolto con stima:
    “I tempi erano cangiati; chi prima sarebbesi recato a piacere il dirmi uno de’ suoi conoscenti, affretterebbesi ora probabilmente a dirmi a lui sconosciuto o non mai volentieri accettato, se non anche a più completo suo scarico, sempre sfuggito come uomo malo e pericoloso. Così variasi fra gli uomini di stima col variare della sorte.”
    Dei vecchi amici alcuni si sono allontanati da Teresa, altri, che pure sono rimasti vicini ai Confalonieri, hanno subìto una sorte simile a quella di Federico: costretti al carcere o all’esilio. Salvo qualche sostegno, in particolare del conte e della contessa Bubna e dei fratelli, Teresa deve condurre la sua lotta da sola.
    Inizia allora la sua battaglia, disperata ma risoluta: la contessa è decisa a fare l’impossibile per alleviare le pene del marito, che è anche fiaccato da problemi di salute, che covava da tempo ma che sono riemersi in carcere in tutta la loro spietatezza.
    Di tanto in tanto giungono dallo Spielberg scarse notizie riguardo la salute di Federico, che, come si rileva dalla corrispondenza tra il Governatore della Moravia e quello della Lombardia, soffriva di artrite, mal di cuore e idropisia.
    Non potendo ottenere una riduzione della pena per Federico, Teresa supplica allora di poter seguire la sorte del marito, progettando di fissare la sua dimora a Brunn, dove, se non avesse potuto recare visita al marito, almeno avrebbe potuto stargli vicino.
    Ma anche questo minimo conforto venne negato alla Confalonieri. Il permesso che di solito era accordato alle moglie dei carcerati che ne facevano richiesta, le venne respinto perché, a detta del Governatore della Moravia «la vista della condizione del cattivo stato di salute del marito avrebbe agito vivamente sull'animo suo.»
    Fallita anche questa speranza, con notizie incerte sulla sorte e la malattia di suo marito, Teresa è affranta più che mai e tuttavia non si perde d’animo: scrive una supplica all’Imperatrice e una al Metternich, chiedendo ancora concessioni per il marito.
    Nel 1825 scrive addirittura all’Imperatore, chiedendogli di essere ammessa alla sua presenza in occasione della sua visita a Milano. Erano dieci anni che il sovrano non si recava nella città e Milano è in fermento, tutta allestita a festa, con un’atmosfera di gioia che stride amaramente con l’animo addolorato di Teresa e delle persone che le sono vicine. Sperando che la lieta occasione possa mitigare il duro cuore dell’Imperatore la contessa, ottenuto il permesso di recarsi al suo cospetto, lo implora ancora una volta di alleviare le condizioni di suo marito. Ma il freddo Imperatore, per nulla turbato dalla vicenda, si limita a risponderle: «Suo marito sta bene e fa esercizi spirituali per la salute dell'anima; dunque e la si consoli.»
    Tuttavia nonostante quest’ultimo rifiuto, la Confalonieri non demorde: tale è la sua dedizione, il suo amore, la sua abnegazione, che non esita a dedicare ogni istante della sua vita a combattere per la salute del marito. Non si concede una pausa e sebbene riceva di volta in volta colpi sempre più duri e le sue speranze vengano continuamente stroncate, non cessa l’impari lotta.
    Ben ci descrive lo stato d’animo di Teresa il fratello Gabrio Casati, parlando della sua reazione quando ricevette la notizia della condanna a morte del marito:
    “La sua desolazione non era triviale; era un dolore possente, immenso, ma grave, ma riflessivo; un dolore di chi sente profondamente, ma nello stesso tempo sa padroneggiare sè stesso e pensa al modo di porre riparo a tanta sciagura.”
    E infatti Teresa Confalonieri non si abbandona alla sofferenza, che pure prova in tutta la sua intensità, ma trova la forza di combattere, pensando prima di tutto al bene del marito, a quanto può ancora fare per lui.
    Falliti i tentativi coll’Imperatore, la contessa decide di ricorrere alla sua amicizia con Maria Luigia duchessa di Parma, vedova di Napoleone e figlia dell’Imperatore, sperando che possa intercedere per lei presso il padre; ma anche questo tentativo rimane vano. Allora prende contatti col Governatore di Venezia, Inzaghi, e gli fa recapitare sue notizie al marito quando questi si reca in carcere a visitare i prigionieri. Federico e Teresa, separati dalle circostanze ma non nell’anima, riescono anche a comunicare eccezionalmente tramite dei bigliettini clandestini, servendosi della complicità delle guardie.
    Ma le notizie sono rare e spesso, purtroppo, illeggibili: Federico scrive sul retro di carta usata con inchiostro simpatico, al fine di non essere scoperto, e tutt’ora alcuni dei biglietti che riuscì a far recapitare alla moglie rimangono oscuri nel contenuto.
    Sono lontani i tempi in cui vivevano insieme felici, e Federico li ricorda con sofferta nostalgia nelle sue Memorie: “Correva la primavera del 1815, Teresa mia, e viaggiavamo insieme! Quante rimembranze nel tuo povero cuore, quante se ne ridestano nel mio.”
    Ora Federico è in carcere, a scontare il suo amore per la Patria, e Teresa ne condivide le profonde sofferenze.
    Dopo i fallimenti del 1925, Teresa comprende che è rimasta una sola possibilità: far fuggire Federico. La donna, intraprendente e caparbia, tenta quindi di approntare delle vie di fuga. Poco ci è dato di sapere su questi progetti, a cui non si accenna che vagamente nelle testimonianze che ci sono pervenute: sembra che i tentativi furono tre e che riguardassero in un caso la complicità del carceriere Schiller, in un altro l’intervento di Camillo Casati, fratello di Teresa. Tuttavia fallirono o non furono nemmeno messi in atto e pare che il cattivo esito fu dovuto anche alla volontà del Confalonieri di non tradire i compagni, che sarebbero stati abbandonati a condizioni più dure, quando i carcerieri avessero scoperto che un prigioniero fosse riuscito a scappare.
    Alle soglie del 1830 Teresa inizia ad accusare dei problemi di salute, fiaccata ormai nel corpo e nello spirito. Nonostante il suo dolore e la sua infermità, che le causa fatica anche nello scrivere, riesce a far pervenire qualche lettera al marito, e continua a lottare per lui.
    In un ultimo disperato tentativo, chiede al Manzoni, tramite il Pallavicini, di comporre una supplica per l’Imperatore in occasione del suo genetliaco.
    Il Manzoni, devoto anch’egli alla causa Italiana e commosso dalla vicenda, accetta immediatamente e scrive una supplica.
    Insieme ad essa la contessa invia anche una nuova lettera all’Imperatrice, una lettera della contessa Bubna e una del conte Vitaliano Confalonieri (padre di Federico)
    Ma nemmeno questo basta a smuovere il cuore del duro Imperatore: la supplica non riceve risposta.
    Teresa è ormai allo stremo delle forze. Federico, ricevuto qualche accenno alla sua cattiva salute tramite le lettere clandestine, la invita a riguardarsi e le scrive in uno dei pochi biglietti leggibili: “ Tutti i maggiori e più minuti dettagli che potrai darmi intorno al tuo fisico e morale saranno i soli ed unici soggetti coi quali se mi vorrai trattenere a lungo comporrai il dono più caro e prezioso a questo povero cuore. Non temere che nulla mi sia troppo doloroso a sentire, tutto il male possibile io lo so già tutto come se ti vedessi, e ti fossi allato, nel riceverne da te stessa ogni più minuto dettaglio anziché aumento non potrò certo trovarvi che qualche alleviamento. Le nostre anime, mia cara, sono da dieci anni temprate dalla disgrazia, esse hanno bisogno di tutta conoscerla ed approfondirla e fra di loro discorrerne per meglio poterla sopportare.”
    In questa lettera, datata settembre 1830, Federico parla anche del riavvicinamento alla religione che sta attraversando, come accadrà anche al Pellico. Le dice di essere cambiato, di sentire pienamente la fede come non aveva mai fatto prima, e la invita con parole serene a confidare in Dio.
    La esorta a conservarsi in salute, a pensare un poco a se stessa: “pensa che tu hai già dato tutta te stessa all’idolo del tuo cuore, che ora la tua conservazione è tutto ciò che egli ancora vuole. Egli ama riabbracciarti, egli vuole vivere ancora molti giorni con te, egli sente sente di ciò una tal fiducia in cuore che non ebbe mai l’eguale quando tu eri sana.” E ancora: “Ricordati, ricordati, anima mia, che la tua conservazione è la mia vita.”
    Ma proprio quando Federico abbraccia tale serenità d’animo e si sente in grado di sperare per l’avvenire, Teresa esaurisce le energie vitali; stanca, fiaccata dal dolore, aveva combattuto finché le forze l’avevano sorretta.
    Invano negli ultimi giorni la Confalonieri si era recata a Buccinigo in Brianza per migliorare la sua salute con l’aria pura della campagna, e ritrovare un po’ di serenità; morì a soli 43 anni, il 26 settembre 1930, « come un fiore inaridito dal lungo dolore e nell'insistenza d'un pensiero tormentatore» ebbe a dire il Mazzini.
    Teresa venne sepolta dai fratelli a Muggiò presso Monza in un mausoleo, dove ancora oggi riposa.
    La tragica vicenda non mancò di colpire la società dell’epoca. Il Manzoni si ispirò al dramma di Teresa per la creazione del personaggio dell’Ermengarda. Si offrì inoltre di comporre l’epitaffio:

    « Teresa , nata da Gaspare Casati e da Maria Origoni il 18 Settembre 1787, maritata a Federico Confalonieri il 14 Settembre 1806*, ORNÒ MODESTAMENTE LA PROSPERA
    SORTE DI LUI, L'AFFLITTA SOCCORSE CON L'OPERA E PARTECIPÒ CON l'ANIMO, QUANTO AD OPERA E ad animo umano è conceduto. consunta, ma
    non vinta dal cordoglio, morì sperando nel Signore dei deboli il 26 settembre 1830.
    «Gabrio, Angelo, Camillo Casati, alla
    SORELLA amatissima ED AMANTISSIMA ERESSERO, ed a sé prepararono questo monumento per riposare un giorno accanto alle ossa care e venerate.
    Vale intanto, anima forte e soave, noi, porgendo tuttavia preci ed offrendo
    SACRIFICI PER TE, CONFIDIAMO CHE ACCOLTA NELLA ETERNA LUCE, DISCERNI ORA I MISTERI DI MISERICORDIA, NASCOSTI QUAGGIÙ NEI RIGORI DI DIO. »

    Silvio Pellico, che era uscito poco tempo prima dallo Spielberg e conosceva personalmente i Confalonieri, ricorda Teresa in una sua poesia:
    “ No, pia, no, gentile,
    Per me non sei morta!
    Ti veggio, simìle
    Ad angiolo sorta,
    Su sposo e fratelli
    E amici vegliar.
    Dal ciel mi risuona
    Tua dolce parola.
    Che spiriti innalza,
    Che petti consola:
    Così già solevi
    Di Dio favellar.
    (…)
    Ell'era di quelle
    Serafiche menti,
    Vissute nel mondo
    Sublimi, innocenti,
    Amando, pregando,
    Chiamando a virtù.
    Doloran pei cari,
    Doloran per Dio,
    Lor merto arrichisce
    Chi in avanti fallì
    Lor vita è Calvario,
    Lor norma è Gesù!”

    Anche il Berchet le indirizzò alcuni versi:

    « Patria, Sbilbergo, vittime
    Suona il suo gemer tristo ;
    Quel che dir voglia il sanno.
    Come ella pianga han visto
    E niun con lei partecipa
    Tanto solenne affanno,
    Niun l’infelice e il carcere
    Osa con lei nomar. »

    Ecco alcune immagini:

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    Ciao, Vanilla! ^_^ Prima di tutto, ti ringrazio per aver condiviso con noi questa bellissima e struggente storia d'amore, ne ero del tutto ignara! Da come hai descritto l'intera vicenda si evince la tua grande passione nei confronti di Teresa. Devo dire che sono rimasta molto colpita dalla sua caparbietà e dalla sua dedizione, un'altra persona avrebbe abbandonato la causa, ma lei no, Teresa ha continuato a lottare fino all' ultimo istante di vita per la libertà di suo marito, possiamo affermare che ella ha dedicato la sua stessa vita al suo coniuge, sembra quasi una favola con un mancato lieto fine! Devo ammettere che verso la fine di questo racconto mi dono commossa (ho la lacrimuccia facile :D) e l'epitaffio del Manzoni mi ha dato il colpo di grazia :cry:
     
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    Ciao! grazie mille per aver letto, sono contenta che la vicenda ti abbia appassionata. Mi sono accostata a questa figura quasi per caso, leggendo una biografia trovata su un archivio online, e ne sono rimasta subito profondamente colpita. Ammiro molto la forza d'animo e la tenacia con cui Teresa lottò per il marito e il suo altruismo. Le lettere che si scambiò con il marito quando questi era in carcere sono veramente commoventi. Purtroppo è una vicenda quasi sconosciuta al giorno d'oggi!
    Su questa storia c'è anche uno sceneggiato molto bello degni anni '50, si chiama "Il conte aquila" e si trova su youtube.
     
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    Per caso esiste una raccolta di queste lettere? Mi piacerebbe leggerle.
    Dopo la sessione invernale darò un'occhiata allo sceneggiato, grazie per la segnalazione. ^_^
     
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    Ho potuto leggere le lettere su questo archivio online: https://archive.org/details/carteggiodelcont00conf/page/n8
     
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4 replies since 1/2/2019, 16:34   752 views
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