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Inizia oggi la mostra su Artemisia:
CITAZIONE Vittime e vendicatrici: le donne di Artemisia in mostra a Roma A Palazzo Braschi una grande rassegna su Gentileschi e la sua opera. Capace di assimilare e reinterpretare l'estetica caravaggesca, la pittrice romana pagò sulla sua pelle la ferrea volontà di affermare un talento al femminile nel SeicentoUn universo femminile popolato di monumentali figure di madonne con bambino o di divinità pagane, di nobildonne e di fantesche, di sante dallo sguardo estatico e di fiere vendicatrici bibliche è al centro dell'esposizione intitolata "Artemisia Gentileschi e il suo tempo", ospitata fino al 7 maggio 2017 al Museo di Roma, presso Palazzo Braschi. La mostra si propone come una rievocazione non solo del percorso artistico della pittrice ma anche della sua avventura umana. Perché, se ci sono veramente pochi artisti dei quali è possibile dire che abbiano avuto, in vita, vicende intense e appassionanti quanto la loro arte, tra loro c'è, senz'ombra di dubbio, Artemisia. Al punto che è sempre dietro l'angolo il rischio che i particolari romanzati della sua biografia offuschino la memoria del suo talento creativo. Invia per email Stampa 29 novembre 2016 79 Un universo femminile popolato di monumentali figure di madonne con bambino o di divinità pagane, di nobildonne e di fantesche, di sante dallo sguardo estatico e di fiere vendicatrici bibliche è al centro dell'esposizione intitolata "Artemisia Gentileschi e il suo tempo", ospitata fino al 7 maggio 2017 al Museo di Roma, presso Palazzo Braschi. La mostra si propone come una rievocazione non solo del percorso artistico della pittrice ma anche della sua avventura umana. Perché, se ci sono veramente pochi artisti dei quali è possibile dire che abbiano avuto, in vita, vicende intense e appassionanti quanto la loro arte, tra loro c'è, senz'ombra di dubbio, Artemisia. Al punto che è sempre dietro l'angolo il rischio che i particolari romanzati della sua biografia offuschino la memoria del suo talento creativo. Un talento solo in parte ereditato dal padre Orazio, ma poi sostenuto e alimentato grazie a un temperamento fuori dal comune, che l'aiutò a emergere in un mondo prettamente maschile come quello della pittura, e grazie all'ambizione e alla curiosità vivida e instancabile per tutto ciò che le accadeva intorno. E non era poco quel che accadeva, dal momento che era venuta alla luce a Roma nel 1593, in un periodo di grande fermento e di grande rinnovamento edilizio per la città. Soprattutto era il tempo in cui si andava affermando lo stile rivoluzionario di Caravaggio. La pittrice, grazie alle capacità innate e allo studio tenace, riuscì a reinterpretarne in maniera autonoma il linguaggio drammatico e potente, sapientemente bilanciato tra realismo e teatralità. Ma non è solo questo ad avvicinare i due artisti, che si somigliano straordinariamente anche per la sorte avversa che segnò profondamente e molto presto la loro esistenza. Venuta su senza madre, all'ombra di un padre padrone, Artemisia visse a diciotto anni il dramma dello stupro. Il colpevole, Agostino Tassi, paesaggista e scenografo, al quale la ragazza era stata affidata perché perfezionasse la tecnica della prospettiva, fu denunciato. Per paradosso, però, fu la vittima a subire le pene peggiori: insinuazioni infamanti, interrogatori sotto tortura e pubblico ludibrio. Alla fine di un tormentato processo, Tassi fu condannato all'esilio ma anche Artemisia fu costretta ad abbandonare Roma per lasciarsi alle spalle il disonore attraverso un matrimonio combinato in fretta con lo squattrinato artista fiorentino Pierantonio Stiattesi. Il destino le riservava ancora dolori con la morte prematura di tre dei suoi quattro figli e un amore clandestino e infelice. Ma anche estimatori illustri della sua arte, come Galileo Galilei, Michelangelo il giovane e Carlo I d'Inghilterra, e grandi successi vissuti tra Roma, Firenze e Napoli, dove morì nel 1653, e nei brevi ma operosi soggiorni a Venezia e Londra La mostra che racconta di questi successi è stata ideata da Nicola Spinosa, che è anche il curatore della sezione napoletana, insieme a Francesca Baldassari e Judith Mann, che si sono occupate, rispettivamente, della sezione fiorentina e di quella romana, e segue un andamento cronologico pressoché privo di lacune, grazie a prestiti provenienti da diversi musei internazionali. In tutto in esposizione ci sono novantacinque dipinti che, insieme a due filmati, illustrano l'opera della pittrice mettendola a confronto con quella di artisti coevi. Tra questi, oltre naturalmente a Orazio Gentileschi, anche Massimo Stanzione, verosimilmente il più affine, per stile, ad Artemisia, e Simon Vouet, autore di un suo ritratto. Non che il volto dell'artista sia poco noto: lo conosciamo attraverso un paio di autoritratti ma anche attraverso i lineamenti delle protagoniste dei suoi dipinti, anche di quelle delle scene più cupe e violente. Secondo una lettura in chiave psicologica di alcune tele, da Giuditta che decapita Oloferne a Giaele e Sisara, è probabile che l'artista abbia voluto vendicare con l'arte il dolore per le violenze patite in quanto donna. E ritorna l'ombra di un pericoloso cliché, quello che ammanta la sua figura di retorica al femminile. Ma Artemisia, proprio come Caravaggio, cadde dopo la morte in un lunghissimo oblio. Li rivalutò, intorno al 1950, il grande Roberto Longhi, ma non fossero stati gli anni Settanta a farli assurgereuno a simbolo delle lotte di classe, l’altra a icona delle rivendicazioni femministe, forse oggi non sarebbero tanto amati. -- fonte
CITAZIONE Camaleontica Artemisia Francesca Baldassari, curatrice della mostra romana a Palazzo Braschi: ecco la «vera» GentileschiRoma. Dal 29 novembre all’8 maggio Palazzo Braschi presenta la mostra «Artemisia e i suoi» a cura di Francesca Baldassari, che firma anche il catalogo Skira, Judy Mann, che quindici anni fa sempre a Roma curò la sezione dedicata alla pittrice nella mostra di Palazzo Venezia che la affiancava al padre Orazio, e Nicola Spinosa. Ci si domanda perché a soli cinque anni dalla mostra di Milano e Parigi («Artemisia Gentileschi. Storia di una passione», curata da Roberto Contini e Francesco Solinas, Ndr) si senta il bisogno di tornare su questa figura, pur innegabilmente affascinante e brava, tanto da ispirare biografie romanzate di successo come Artemisia di Alexandra Lapierre e La passione di Artemisia di Susan Vreeland, oltre, naturalmente, al libro di Anna Banti. Fascino che senz’altro deriva da una storia travagliata, una personalità energica, una continua tensione tra vita e opera (a partire dal famoso stupro di Agostino Tassi, collega del padre e suo maestro), dai tanti spostamenti: Roma, dove nasce nel 1593 e impara l’arte, Firenze dove vive novella sposa per circa otto anni, Venezia dove si trasferisce per tre anni forse per amore ma da cui fugge nel 1630 a causa della peste, Napoli dove trascorre l’ultima, lunga e proficua fase della carriera, Londra per assistere il padre malato. La mostra conta 40 opere autografe e oltre 60 di artisti in debito o in credito con lei: Orazio Gentileschi, Cagnacci, Vouet, Baglione a Roma, Allori, Furini, Martinelli a Firenze, Ribera, Stanzione, Cavallino a Napoli, tra i tanti. Abbiamo intervistato Francesca Baldassari. Perché una nuova mostra dopo quella tenutasi a Milano nel 2011? Quella di Palazzo Reale era filologicamente debolissima, presentava opere non autografe. Ha rappresentato un passo indietro negli studi, con tele di donne scollacciate e sante attribuite a lei senza guardare alla qualità stilistica, ma solo puntando sulle vicende biografiche, sullo stupro. Questa invece? Presenta solo autografi, quadri documentati, stilisticamente sicuri, alcuni addirittura firmati, e non mancano novità e inediti. Cerchiamo di ricostruire la carriera stilistica di questa pittrice, certamente una donna camaleontica con una vita avventurosa, che prendeva e dava in ogni città in cui si fermava. Per questo, oltre alle sue opere, ci sono quelle dei pittori in contatto con lei. Per la prima volta si studia il suo stile e non la biografia, che sicuramente ha inciso ma che non è tutto. Non dico che non sia fondamentale. Ci sono state grandi scoperte: Francesco Solinas ha trovato tutte le lettere di lei all’amante, ma sono particolari piccanti che distolgono l’attenzione dalla sua pittura, che qui vogliamo rimettere al centro. Quali novità sono emerse? Forse la maggiore riguarda la «Giuditta» di Capodimonte, identificabile con un’opera realizzata per Laura Corsi nel 1617, un punto fermo. Questo spiegherebbe la sua vicinanza alla «Giuditta» degli Uffizi del 1620-21. Laura Corsini era sposata a Jacopo Corsi, tra i personaggi più illustri della Firenze del tempo. Artemisia, patrocinata da Michelangelo Buonarroti e introdotta alla corte dei Medici, diventa una pittrice affermata. La «Giuditta» di Cristofano Allori della Palatina di Firenze, anch’essa in mostra, spiega questo cambiamento di stile, questo rendersi autonoma dal padre. Lei prende dai pittori fiorentini e accentua la sua rivendicazione di donna: in queste Giuditte c’è la volontà di vendetta di una donna oltraggiata. Sono d’accordo su questo risvolto psicologico, ma non sul basare tutta la ricostruzione della sua carriera su questo. Siete riusciti ad attribuire qualche opera anche ai misteriosi anni veneziani? Un quadro, forse due. Probabilmente l’«Ester e Assuero» di Capodimonte, attribuito al periodo napoletano, da spostare piuttosto a Venezia, per una ripresa dal Veronese. L’opera risente di Firenze e Venezia, se però l’ha dipinta a Napoli deve averlo fatto appena giunta in città. Poi c’è una «Medea che uccide i figli», di collezione privata, un inedito firmato Artemisia romana: dato che a Firenze la pittrice si firmava Lomi, il dipinto potrebbe essere stato eseguito a Venezia, per ricordare le sue origini. La cronologia in generale è difficile, il suo stile invece, camaleontico, dopo questa mostra è piuttosto evidente, a mio avviso. -- fonte
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