FanFiction CL"Siblings"(versione alternativa)

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    CITAZIONE (‚dafne @ 10/6/2014, 11:12) 
    Molto intenso quest'ultimo, un po' più cupo! Mi ha ricordato Siblings più degli altri, la parte buona di Siblings o dell'episodio dopo... adesso non ricordo XD (li ho visti una volta sola tutti e due)

    In effetti è una rivisitazione dell'episodio dopo Siblings (che adesso non ricordo come s'intitolava,forse the ball of chestnuts xD) Diciamo che l'idea di stravolgere e complicare tutto dopo la"fisicità"ci stava,accade tra amanti normali,figurarsi tra fratello e sorella. Ma anche stavolta l'idea è stata sviluppata così così (a mio modesto parere). Dato che sinceramente il fatto che Lucrezia se la prendesse con Cesare perché non aveva potuto impedire la consumazione in pubblico (e come avrebbe potuto?) e per giunta che lo obbligasse ad assistere...non stanno molto in piedi.Per carità nemmeno la mia versione è del tutto credibile(forse soprattutto per il fatto che Vannozza sappia la verità a metà) però quantomeno forse ha un pò più di logica xD Lucreziadallenuvole,quella frase su loro due la volevo scrivere da sempre *_*
     
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    Ohhh letta quasi tutta ! La scena di Rodrigo che si complimenta con il figlio per la prestazione è stata agghiacciante, anche se non mi è parsa inverosimile ! Mi piace molto che Vannozza sia una quasi alleata di Lucrezia e Cesare , però la mia simpatia va sempre verso più Cesare che appare prettamente cosciente su quello che vuole e desidera XD
     
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  3. Vænessa
     
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    Continuazione! Colpo di fulmine (finalmente!) tra Lucrezia e Alfonso.


    Era trascorsa appena una settimana e sia Cesare che Lucrezia avevano cercato in tutti i modi di evitarsi, pur non riuscendo a sfuggire all’infinità di obblighi comuni che l’etichetta imponeva loro. Si osservavano di sottecchi a distanza,ciascuno furioso con sé stesso per quella debolezza,eppure decisi a non venirsi incontro,orgogliosi e testardi. Poi, una mattina,giunse in Vaticano Alfonso D’Aragona, col suo nutrito seguito,ritto sul suo cavallo riccamente bardato,salutando la folla festante attorno a sé. Lucrezia lo scorgeva già da lontano e si protendeva tutta,come volesse spiccare il volo dalle alte gradinate su cui era stato posto il seggio papale,il suo,quello degli altri dignitari e quello di Cesare,ovviamente. Quest’ultimo, compostamente seduto,sogguardava la sorella intenta a indovinare i lineamenti del giovane riparandosi gli occhi dal sole con la mano. Se i ritratti non mentivano quel ragazzino avrebbe fatto una certa impressione sulla sua sorellina ribelle.
    Quando infine Alfonso giunse ai loro piedi, smontò elegantemente da cavallo,senza l’aiuto dei valletti,risalendo le scale con passo leggero e rivelando così un corpo snello e slanciato. Ma fu appena s’inchinò dinanzi al Pontefice che Lucrezia credette di aver solo immaginato cosa fosse la gioia pura,libera da ogni costrizione o timore. Quel viso che ora si abbassava con deferenza dinanzi a suo padre sembrava recare su di sé la testimonianza della perfezione del creato. La bellezza stessa si concentrava in quegli occhi caldi che sembravano imbevuti d’ambra,mentre i boccoli,come foglie d’autunno piegate dal vento,gli ricadevano delicatamente sulle guance da adolescente ancora imberbe. Le presentazioni, i titoli, gli inchini, gli scambi di doni e cortesie,ogni cosa scorreva via come acqua nella mente di entrambi. Alfonso non aveva potuto nascondere la sorpresa che aveva provato osservando la delicatezza ultraterrena della sua promessa, avvolta in quel miraggio dorato che erano i suoi capelli, con quello sguardo ieratico che lo privava del benché minimo controllo sul suo.
    Si amavano. Fu sotto gli occhi di tutti fin dal primo istante. Ovviamente non fu permesso loro di conversare privatamente e la corte si spostò subito all’interno, dove ogni genere di rinfresco era stato predisposto. Quelle ore di formalità pesarono su quei due cuori molto più di quanto avrebbero creduto in precedenza. Cesare intanto sorseggiava il suo vino, guatando il futuro cognato e dannandosi tra sé e sé di non riuscire a intercettare e smembrare gli sguardi famelici che Alfonso e Lucrezia si lanciavano al di là dell’enorme tavola. Si chiedeva cosa sarebbe successo appena fossero rimasti soli. Inutilmente tentava di ricordarsi che era anche opera sua, che ora la sua ascesa era resa più facile dalla”condiscendenza”di Lucrezia,termine del quale non poté far a meno di sghignazzare. Condiscendente? La sciagurata era fuori di sé dalla contentezza! Il suo petto,nell’ampia scollatura,si sollevava e si abbassava così veloce che Cesare per un attimo si chiese se ella avesse mai provato la stessa cosa per lui,senza però poterlo mostrare così sfacciatamente! Non resistette ancora e quando ormai i festeggiamenti iniziavano a scemare decise che sarebbe andato da una delle sue cortigiane,o da uno dei suoi amici spagnoli…qualsiasi cosa pur di levarsi davanti quella patetica scena. Si scusò con suo padre che sembrò contrariato ma che infine lo lasciò andare ed egli, furente come una nube nera,uscì svelto dalla sala,notato però da Lucrezia. L’impulso di seguirlo come avrebbe fatto un tempo la paralizzò per un istante. Poi distolse lo sguardo dall’ingresso vuoto e decise che avrebbe parlato da sola ad Alfonso ben prima di trovarsi con lui davanti all’altare, per scoprire se il suo animo rendeva giustizia al suo volto. Fece scivolare all’orecchio di una delle sue dame poche parole per il duca di Bisceglie,il quale, all’udirle sorrise in maniera complice,alla promessa di un’incontro”casuale”per l’indomani all’ora settima, nella cappella privata. Egli allora aveva lasciato detto ai suoi che voleva confessarsi di buon mattino e si era avviato, speranzoso. Lucrezia era avvolta in un mantello azzurrissimo,finemente ricamato,che la copriva interamente,prostrata com’era ai piedi della statua di San Giovanni Martire. “Perdonatemi,Madonna”-si sentì dire alle spalle-“Non sapevo foste qui anche voi. Forse dovrei lasciarvi sola a pregare … anche se la fede di due anime può rendere più efficace qualsiasi preghiera.” Il modo candido di fingere di lui la divertì. Mentre si scansava facendogli posto accanto a sé, continuando a tenere le mani giunte,non osando guardarlo gli chiese:”Siete devoto?””Non particolarmente mia signora. Non lo ammetterei a nessuno se non a voi, che di certo potrete intercedere per me.” Lucrezia sorrise lievemente a quell’ingenua lusinga.”Cosa vi fa pensare che intercederei per voi?”. “Il fatto che mi abbiate permesso di restare a disturbare le vostre orazioni.” Lei era sempre più deliziata dalla galanteria pacata di lui. “Potrei farvi cacciare messere, dire a Sua Santità che sta per concedere la mia mano ad un miscredente.” “Non lo farete mia fulgida signora.”La sua voce era misurata e dolce,si dolce. Non come quell’altra…”Perché mai,di grazia?”Lo stava mettendo alla prova e ne godeva, ma la semplicità di lui la soggiogava.”Perché sapete bene che avreste un buon marito in me, Lucrezia. La vostra serenità, quella che sono certo desiderate con tutte le vostre forze,con me non conoscerebbe mai fine. Vi offro me stesso, senza trattative ulteriori, senza giochi o strategie. Vi offro il mio rispetto, null’altro, se può bastarvi.”Lucrezia inarcò un sopracciglio:”Null’altro?” Il tono ironico di lei fece sì che lui seguitasse prontamente:”La certezza di un cuore che è pronto a darsi e a ricevere…se vorrete essere così misericordiosa,mia signora.” Ora stava davvero esagerando! Si voltò di scatto per rimproverarlo…o cosa? Poco importava, lui stava sorridendo. E dietro quel sorriso non c’era nient’altro. Si ritrovò a sorridergli a sua volta. I baci immediati a fior di labbra che si scambiarono strapparono ad entrambi dei risolini quasi infantili, che echeggiavano piano nella cappella. Non avevano potuto rivedersi da soli nei giorni successivi. Giorni durante i quali si erano finalmente ultimati i preparativi per le nozze. Cesare intanto se li mangiava entrambi con gli occhi ad ogni occasione, notando che la sorella ormai lo ignorava palesemente. O piuttosto fingeva d’ignorarlo, illudendosi di aver trovato il vero amore! Davvero l’avrebbe sostituito,in cuor suo, con quel damerino ambrato? Cos’era dunque,cos’era che aveva fatto perdere a Lucrezia la sua solita compostezza? Quei modi garbati di lui, quel discorrere così fine,il suo buon animo? Aveva sperato di sistemarla in un’unione conveniente, non di trovarle l’innamorato perfetto! Iniziò a prestare più ascolto ai racconti dell’ambasciatore francese sulla bellezza scura della sua Carlotta d’Aragona e decise che sarebbe partito il prima possibile,per punirla. Lo sposalizio per sua fortuna si tenne di lì a breve, con tutto lo sfarzo immaginabile,coronato infine dalla liberazione dei colombi da parte dei novelli sposi. Scena che rischiò di far andare di traverso il vino a Cesare. Al ”volo” pronunciato da entrambi dinanzi all’altare,nella formula latina, sia Lucrezia che Cesare si erano brevemente spiati, com’era accaduto al matrimonio con Giovanni Sforza. Stavolta però non c’era afflizione nei loro sguardi,o il desiderio che s’invertissero i ruoli. C’era esultanza,anche se combattuta,in quello di Lucrezia, rancore in quello di Cesare e…fiducia in quello di Alfonso.
    L’occasione per trascinare giù quel piccolo hijo maldido- come lo chiamava Cesare- dal suo piedistallo, si presentò il giorno dopo. La prima notte di nozze,si mormorava,era stata perfettamente consumata e certificata. Egli ruggiva dentro passando in rivista i suoi uomini,nei preparativi per la partenza verso la Francia. “Immagina,Miguel-che gli camminava affianco silenzioso-immagina come dev’essere doverti fare una donna sotto gli occhi di una manciata di vecchi bavosi, pronti a trascrivere ogni dettaglio su quante volte hai spezzato la tua lancia e via discorrendo.” Aveva atteso che sfilassero gli ultimi capitani prima di lasciarsi andare a quelle osservazioni col suo fido. “Mio signore, purché non pretendessero di avere la loro parte io non mi lamenterei. In caso contrario farei capire loro che non ho bisogno di assistenza,né in questa né in nessun’altra questione.” I due uomini si guardarono e risero all’unisono, di gusto. “Devo far rinsavire questo sbarbatello che crede di aver conquistato il Vaticano intero insieme alle grazie di mia sorella. Manda qualcuno a dirgli che lo invito a caccia per festeggiare. Con la mia scorta,s’intende.” Il viso imperscrutabile di Micheletto si distese:”Sua Eminenza intende rendere madonna Lucrezia già vedova?”. Cesare contorse le labbra:”Sei il mio uomo migliore ma a volte la fantasia ti manca;quando non si tratta di escogitare nuovi modi per,diciamo così, “alleggerirci” dai nostri nemici. Basterà solo far intuire al giovanotto chi è l’uomo qui.” Ma mentre andava ragionando così un’altra idea lo stuzzicò.”Fai preparare anche il mio padiglione di caccia, ci rifocilleremo lì al termine della battuta. Ora seguimi e ascoltami bene…” Non era sicuro del fatto che nel suo secondo giorno di nozze suo cognato si sarebbe azzardato a declinare l’invito,ponendosi in una sgradevole posizione,pur di rimanere con la mogliettina. Ma Alfonso, per quanto mite, non era del tutto sprovveduto. Accettò nonostante le proteste di Lucrezia e le propose anzi, su suggerimento di Cesare, di andare a trovarli al termine della caccia,presso il padiglione.”Amore mio,vedrai,abbatterò pernici,fagiani,ogni sorta di trofeo…per te! E poi stanotte godremo di ciò che gli sguardi indiscreti della scorsa notte ci hanno in parte privati.” Lucrezia respinse il ricordo,splendido solo per metà.”Mio Alfonso…tu non t’intendi di caccia e mio fratello ha una disposizione di carattere… come definirla?Insomma,ascolta: non vi siete detti nulla al di là delle presentazioni ufficiali e preferirei del resto che tu non lo conoscessi oltre, prima della sua o della nostra partenza.”Alfonso le sorrise passandole una mano sulla guancia:”Lucrezia adorata,la tua famiglia è la mia adesso. Lascia che tenti di esserne degno.” Siamo noi a non essere degni di te! Per un attimo lei si rimproverò di aver anche solo pensato una cosa simile. Doveva riprendere il controllo di sé e ricordare chi era,qual’era il suo ruolo,a chi doveva la sua lealtà. Baciò il giovane sulla fronte e si adagiò sul suo esile petto.
    Alfonso si presentò a Cesare abbigliato con grazia, ma sobriamente. L’altro aveva optato invece per le sue vesti migliori, su cui spiccavano l’oro e la porpora,anche sull’ampio cappello a falde che in quel momento si tolse perché non gli fosse d’intralcio durante la corsa.”Mio signore, fratello…sono onorato della gentilezza che mi avete voluto usare permettendomi di unirmi a voi.” Il fastidio di Cesare crebbe a dismisura sentendo la parola”fratello”.”Carissimo Alfonso,l’onore è mio. Spero solo il tuo baio riesca a tenere la mia cavalcatura.” Senza nemmeno attendere diede di speroni e scattò in avanti dando il segnale per far suonare le trombe e dare inizio alla battuta. Si stupì più volte di quanto quel ragazzino riuscisse nonostante tutto a tenergli testa, seguendo la pista,seppur dietro di lui. Cesare si voltava ad ogni occasione, lasciando che i capelli gli schiaffeggiassero il viso contrariato, ma Alfonso non desisteva. Quando infine giunsero stremati dinanzi al padiglione in mezzo alla boscaglia,era chiaro che il maggior numero di prede era da ascriversi a Cesare. Quest’ultimo,soddisfatto, notò la figura scarlatta e slanciata di Lucrezia,le mani giunte,ritta all’ingresso. La si sarebbe potuta scambiare per una delle colonne accanto a lei. Fu allora che Cesare fece un cenno impercettibile a Micheletto che di nascosto lasciò andare due dei cani,già eccitati dalla foga della corsa. In un attimo si avventarono sul cavallo di Alfonso,precedentemente cosparso di un’essenza che aizzava i cani. Egli stava per perdere il controllo sotto gli occhi inorriditi di sua moglie,quando Cesare smontò di sella per gettarsi sui due cani, che nel frattempo avevano distolto l’attenzione da Alfonso,ora rimessosi in equilibrio. Lucrezia eruppe in un grido di puro terrore. Si precipitò verso Cesare, come accecata,le mani tese quasi a volerlo strappare da quella morsa mortale che però non durò a lungo…dato che i due mastini, che mordevano l’adorato padrone con molta meno foga di quel che sembrava,iniziarono presto a mugolare sotto le sue carezze. Le risate beffarde di Cesare si levarono alte, mentre Lucrezia lasciava ricadere le braccia attorno alla vita, girandosi verso le sue donne per cercare un appoggio e rientrare nel padiglione. Non volle rimanere oltre e si fece scortare al palazzo apostolico,mentre Alfonso sorrideva sollevato ma incerto.
    “Ho vinto”. Cesare esultava interiormente mentre saliva di corsa le scale fino alle stanze di sua sorella,ancora sudato e scarmigliato. Si fece annunciare senza troppi complimenti e una volta introdotto si guardò attorno tentando di scorgere qualcosa nella penombra.”La nostra Lucrezia è tormentata da un forte mal di testa. Forse è stato lo spavento. La luce le da fastidio,fratello”. La voce di Alfonso aveva rotto le tenebre. Cesare si schiarì la gola:”Permetti che vegli su di lei?” Un movimento aveva rivelato che il giovane si allontanava,richiudendo la porta dietro di sé. Cesare si chiese come facesse ad essere così malleabile quel povero diavolo. Si chiese inoltre se il fatto di chiedere così spesso si essere lasciati soli non avesse alimentato tutte le voci su di sé e su Lucrezia. Scacciò quel pensiero inopportuno e inutile e si sedette accanto alla massa scura adagiata sul letto, che doveva essere quella di sua sorella. “Credevi di farmi morire lì su quelle gradinate o cosa?”Una voce che non sembrava la sua proveniva ora da sotto il baldacchino.”Nessuno vi avrà fatto caso ma io si: sei rimasta ferma mentre il tuo Alfonso rischiava di essere disarcionato e invece sei corsa in mio aiuto, fuori di te.””Sono corsa in aiuto di un uomo che non ne ha mai avuto bisogno e mai ne avrà.” Cesare si alzò e scostò una pesante tenda lasciando entrare uno spiraglio che incontrò subito i lineamenti solitamente aggraziati della sorella, ora contorti dal dolore.”Mi fai fin troppo arrogante, Lucrezia cara. So bene di aver bisogno degli altri per elevarmi. E di certo Alfonso non eleva la nostra famiglia.” “Sei invidioso,come sempre,non ti dai pace e non vuoi darne nemmeno a noi.””Noi?!” L’ironia nella voce di Cesare era palpabile. Sospirò,poi riprese. ”E’ tutto stabilito e suggellato da tempo ormai, ma domani ci sarà la votazione ufficiale per le mie,come dire,dimissioni dalla carica di principe della chiesa. Non è stato facile accaparrarsi le simpatie di tutti i cardinali ma,come sai,so essere persuasivo. Ovviamente tu sarai fin troppo occupata a recuperare questo giorno perso con Alfonso,per unirti ai miei festeggiamenti privati che si terranno in una casa non distante da qui… Peccato! Perché dopo domani stesso partirò per la Francia. ”E il tuo sguardo angosciato di oggi sarà nulla a confronto, si disse. Sua sorella gli lesse nel pensiero probabilmente perché esclamò:”Dunque amore mio,mi odi fino a tal punto?” Lei si era alzata di scatto e si era avvicinata, barcollante, alla finestra. Lo fissava ora con un misto di pietà e di rimprovero. Lui le sorrise ma non resse più,abbassò lo sguardo e fece per andarsene, dirigendosi verso la porta ma,come colpito ancora da quello sguardo,si voltò. Quando la vide lì,bianca e affranta, che allungava nuovamente le braccia verso lui, bestemmiò e ripercorse la stanza a falcate, sollevandola da terra e stringendola a sé:”Ti scriverò decine di lettere Cesare! E quando tornerai,dopo che finalmente avremo smesso di farci del male a vicenda,saremo di nuovo felici insieme,di nuovo come fratello e sorella.” Egli strusciava la sua guancia alla sua:”Sai che è pura utopia, amore mio,mio dolore,mia salvezza!” Le sue mani la frugavano impietosamente ma lei si ritraeva:”Non posso,non voglio tradire Alfonso!”.”Lo ami dunque?! E’ cosi diverso da me…Perrotto almeno aveva i miei capelli… Perdio, che dico?! Lucrezia, sai bene che lui non è importante quanto me!”“E la tua Carlotta?! Non l’hai nemmeno mai vista! Era importante lei, mentre pianificavi e manipolavi alle mie spalle,come sempre! Ma lei non ti vuole nemmeno! Io,io invece…” “Tu cosa Lucrezia?!” Avevano parlato con le bocche a poca distanza ma ormai le loro lingue si erano fuse. Erano di nuovo sé stessi, anche se per poco. Lucrezia ruppe il bacio e spalancò le imposte, uscendo nell’ampio balcone,inspirando quanta più aria potè. “Affretterò la partenza per Napoli. Prima di allora non voglio rivederti.” Silenzio. Poi sentì solo il rumore sordo dei passi di lui. Poi più nulla.
     
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    La scena con i cani è stata davvero ben descritta, mi è piaciuto molto lo stratagemma di Cesare per trarre in inganno la sorella e anche il loro "addio" ;___; ! Alfonso io proprio non lo sopporto...aspetto con CIOIA che schiatti.
     
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  5. Vænessa
     
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    Ecco la continuazione. Avevo postato questa come fanfiction a parte ma in realtà è inserita nel resto della storia.Dopo Lucrezia e Alfonso stavolta abbiamo Cesare e Charlotte,dal punto di vista di quest'ultima.


    Rideva. Tutti segretamente lo fuggivano come l’incarnazione stessa della peste nera, eppure quel Cesare Borgia rideva di tutto e di tutti. Alla corte di Luigi XII,dove si era recato per ordine del Papa Alessandro VI,lo rispettavano ossequiosamente ma erano pronti a vendere l’anima al diavolo pur di non rimanere da soli in una stanza insieme a lui e al suo servitore De Corella. Costui seppur non seguendolo più dappresso restava sempre pronto, nei quartieri inferiori del palazzo reale, ad un cenno del padrone. La stessa Carlotta D’Aragona che egli s’era infisso di sposare, al solo sentirlo nominare saettava ed evitava Cesare con un garbo velato d’ilarità ma con decisione. A nulla però era valso a lei, Charlotte D’Albret,evitare il suo sguardo e la sua presenza: egli le seguiva ovunque,corteggiando Carlotta fino al ridicolo,non mancando occasione per offrirle i suoi servigi, apparire nei momenti meno opportuni, recando doni inusitati e sproporzionati. Charlotte si ribellava contro se stessa ricordando il giorno in cui egli era giunto a corte. All’ingresso di un giovane che sembrava sommergere la sala tutta col suo solo avanzare ella aveva interrotto una risata a metà. Era stata vittima all’istante di quel viso illuminato d’una magnifica superbia,circondato da una nube corvina che pareva non aver requie, in quei viluppi che erano quasi boccoli. Ma se il suo aspetto la lasciò priva di forze, furono gli occhi la rovina di Charlotte. Due occhi verdi come l’invidia stessa, occhi che si erano posati distrattamente su lei e sul gruppo delle dame di compagnia della regina Giovanna di Valois. Gli aveva sorriso,sciocca,se lo rammentava. Innamorata. Dopo un solo,disgraziato sguardo. Ma quando Carlotta le aveva sussurrato all’orecchio”Costui è Cesare Borgia,mia cara…è qui per me…Ah,e per ottenere un esercito dal nostro re…non so quale delle due ambizioni sia più folle”. Al suo nome qualcosa si contorse in lei. Il malessere subitaneo che la colse non sfuggì all’uomo, che se prima si era accorto vagamente dell’ingenuo sorriso indirizzatogli non mancò ora di rendersi conto del gelo che aveva serrato quelle stesse, graziose labbra…Ella non seppe se quel colpo le fosse stato inferto maggiormente dall’apprendere l’identità di colui o per il fatto che venisse a corteggiare “l’altra Charlotte”. Lui,che era sembrato così fiero e regale, alle presentazioni sembrò colto da un turbamento d’un istante,quando baciò la mano incerta che quella fanciulla dal visino tondo e fastidiosamente candido gli porgeva. I fiotti dei capelli color del fogliame d’autunno le ricadevano molli sulla veste dello stesso colore, il medesimo che le dardeggiava negli occhi terrorizzati. Mentre Cesare si sforzava di non lasciarsi prendere dall’eccitazione rifletté che tendeva a sentirsi attratto da ciò che gli era negato, oltre da ciò che gli somigliava…e quella bellezza lievemente scura spiccava tra quelle bionde,perfino sulla sua bruna Carlotta d’Aragona, che ora stringeva gli occhi, altrettanto neri. Al baciamano, quando fu annunciato come messo papale,la sua”promessa”lo punzecchiò con un:”Vostra Eminenza”,per poi portarsi una mano alla bocca, seguitando: “Oh, perdonatemi! Avevo dimenticato che ormai non siete più cardinale, messer Borgia…”Le altre dame avevano riso di sottecchi, ma Cesare si era subito vendicato:”Forse non immaginate nemmeno, mia signora, che se l’avessi voluto per me, tale titolo non mi sarebbe mai stato strappato per volere altrui… sovente però mi chiedo se la mia scelta sia stata dettata dalla giusta ponderazione…ma,ahimé! Ormai è tardi per ripensamenti di sorta…so che voi siete molto devota invece, perciò vorrei pregarvi umilmente di concedermi l’onore di accompagnare la vostra graziosa persona alle funzioni religiose. Sapete, per potere più agevolmente,in compagnia di un’anima così candida,riaccostarmi al Sacramento che a lungo,sentendomi in fallo per il mio abbandono, ho trascurato…” Charlotte e Carlotta urlavano dentro:costui usava un pretesto talmente irrispettoso pur di starle a fianco! Ma trovandosi in presenza della regina che, a giudicare dai sorrisi radiosi che emanava, aveva stranamente preso in simpatia il giovane, Carlotta abbassò il capo lievemente. ”Saggio proposito messere. Domani mattina ci attenderete nel cortile antistante la cattedrale, ora mie belle, al ricamo!” Egli aveva mangiato con gli occhi ogni singola figura femminile che gli era sfilata davanti ma, più di tutte, la piccola ammiratrice spaurita di cui non aveva sentito ancora la voce, fuorché quella risata interrotta. Ella, aveva pensato Cesare, a sentir pronunciare il suo stesso nome e titolo di duchessa di Valentinois era sobbalzata che pareva la stessero battezzando e investendo del titolo in quello stesso momento. Sorrideva tra sé mentre rifletteva che non gli era riuscito di udirla discorrere nelle settimane successive in cui, fallito miseramente ogni tentativo con l’aragonese,ci aveva guadagnato solo il piacere di vedere il visetto di quell’altra contrarsi d’indignazione ogni volta che tentava un affondo con la sua prescelta. Carlotta era implacabile e lo respingeva con motti canzonatori,se non di fastidio palese.”Dirigerei le vostre mire su qualchedun’altra, non fosse che so bene che la condannerei all’inferno per togliermene d’impaccio io…ebbene messere,toglietemi quello sguardo di dosso, ve ne prego!”Cesare intanto si diceva che sia Carlotta che Charlotte facevano mostra di detestarlo, ma solo una di loro due lo faceva spontaneamente... Quando poi fu chiaro,ad un regolamento di conti sul fidanzamento,in presenza del re,che la sua vittima non consentiva e aveva deciso di sposare il suo pretendente più devoto,Guy De Leval, Cesare si rassegnò. Ma non avrebbe più consegnato la dispensa papale che consentiva a Luigi XII di divorziare dalla moglie sterile, per risposarsi con la moglie del defunto re suo predecessore, Anna di Bretagna. Il re allora si era visto perduto, ma tutto si era risolto quando il Borgia gli aveva dato a intendere che lo avrebbe contentato, a patto che gli dessero Charlotte D’Albret (ah! Ella ora immaginava il suo nome sulle labbra di costui mentre ricattava Luigi pur di rovinarla!). Lei non era stata allora avvertita dal padre, a cui era stato chiesto di accettare in silenzio l’imposizione di cinquantamila ducati e la cessione di metà suoi possedimenti come dote. Pur di non incorrere nell’ira del re aveva preferito mettere la figlia davanti al fatto compiuto. La prima mossa era stata a quel ballo. Cesare era entrato nella sala col suo solito portamento altero e fiero,aveva bevuto vari calici di vino, smanioso, osservandola danzare dappresso. Ella odiava il suo sguardo su di sé,soprattutto ora che era libero da quello strampalato progetto matrimoniale ed era, come aveva sentito mormorare, alla ricerca di un’altra preda, stavolta consenziente. Si costringeva perciò ad assumere delle espressioni di impassibilità ferrea mentre volteggiava leggera. E lui che non ballava mai si diresse,mentre lei gli dava le spalle,al centro della sala,introducendosi nella danza giusto in tempo per trovarsi dinnanzi a lei,mentre si voltava a cercare un compagno. Ma il volto imberbe e chiaro di poc’anzi era stato sostituito da quello barbuto e sfacciato di Cesare. Di più: se solitamente la danza richiedeva di poggiare le mani palmo a palmo lui le aveva afferrato le dita in un modo talmente rapace da farla fermare per un attimo,per poi riprendere, sospinta a viva forza da lui.”Danzo così male da farvi spaventare, mia signora?” Ella moriva, stretta nel corsetto porpora e nello sguardo di lui. Balbettò miseramente:”Al contrario,vi muovete anche con troppa grazia…” Poi, con una punta di orgoglio aggiunse:”…Vostra Grazia!”Le ultime parole pronunciate con un fremito ma anche con una nota stridente nella vocina quasi infantile, lo avevano colto di sorpresa. Si era rivolta a lui col titolo che egli sperava di ottenere da lei. Il sottinteso era lì! Il fuoco di lui divampò…Ella non era ingenua come sembrava,timorosa si,squisitamente…ma non ingenua…temeva già che lui la volesse in sposa per divenire Duca di Valentinois! Sbuffò:”Sapete, la musica, la danza,il canto…non le ho mai trovate di mio gusto…preferisco le opere di scultura…l’idea di poter plasmare qualcosa a proprio piacimento…”Le serrò vieppiù il polso e lei con tono sempre meno convinto gli sussurrò”Messere, mi fate male…”.Cesare strinse ancora più forte:”Voi sarete mia, madonna,che vi piaccia oppure no. La vostra amica, l’aragonese, si è già rifiutata, povera pazza,ma sappiate che un Borgia non accetta un no, men che meno due no di seguito!”Il bagliore verde che le saettò davanti fu troppo. Fuggì via rossa di umiliazione e frustrazione. Voltare il proprio cavallo quando lui giungeva al galoppo nel parco reale, cercare di sedersi a tavola il più lontano possibile,rientrare nelle sue stanze quando passava di gran carriera, sotto le arcate buie, ai piedi del suo balcone …a che serviva? Un giorno maledetto, quando la sorte sua e quella di Giovanna di Valois erano ancora sconosciute ad entrambe, passeggiando sulle alture del castello con la regina e Carlotta D’Aragona, lo aveva incontrato,appollaiato tra le merlature,con una caraffa in mano, evidentemente assorto. Dopo i convenevoli più disparati,la regina, segretamente invaghita del Borgia che doveva tradirla di li a poco, le consigliò incautamente: ”Mia piccola D’Albret, siete così pallida ultimamente,non c’è bisogno ci seguiate nel buio del chiostro del convento. La beneficenza può attendere. Rimanete pure qui a godere di un po’ di sole.”Dicendo questo aveva leggermente annuito verso Cesare e poi verso le guardie appostate poco lontano, per assicurarsi di non lasciarla in balìa di quel “mostro”. Un orrendo moto di gelosia s’impadronì di Charlotte pensando invece che egli aveva forse potuto assicurarsi le simpatie della regina in modi a lei ignoti. Ma poi si ricordò delle voci che circolavano circa una malformazione di costei. Si rimproverò anche per questo pensiero crudele e chinò il capo anch’ella con sommissione,abbassando gli occhi,infelice. Appena svanite le due nobildonne, Cesare riprese con piglio beffardo la conversazione del ballo interrotto, come se fosse avvenuto il giorno innanzi:”Madonna, danzate divinamente e qualcosa mi dice che lo fate nonostante un lieve scompenso al cuore,una costrizione forse… perciò ve lo annunzio adesso per evitare scenate d’isteria femminile coi vostri parenti:ho appena concluso l’accordo in maniera definitiva,cosicché voi mi sposerete,con o senza il vostro volere.”La fanciulla si sentì aprire una voragine da qualche parte nel petto e contemporaneamente una gioia immensa, ricacciata indietro dalle sopracciglia aggrottate, tentava di invaderle gli occhi. Quelle parole dovevano renderla felice eppure sentiva di non poter più essere felice. “Vi leggo in volto molti pensieri Charlotte …starete pensando di essere una sostituta,ebbene…”Quasi non volesse sentire il resto lei fiatò:”Ebbene, mio signore siete riuscito nel vostro intento di ottenere una moglie nobile. Ma non avrete una vera moglie in me…Io…”“Di più infatti…avrò una schiava!”Lei inorridì ma egli rise forte.”Non tentate d’ingannarvi e d’ingannarmi: so quel che vi anima fin dal primo momento…aspiravo a qualcosa di più alto,certo,un trono più che un ducato…ma come costringere una futura regina? Prendendo voi ho voluto andare sul sicuro stavolta.” La crudeltà che traspariva da quelle parole superava tutti suoi timori.”V’illudete! Io non vi voglio Cesare Borgia!” Un singhiozzo le era salito dalla gola,voltò il capo oltre le mura, oltre la vista della distesa inondata di sole che non la consolava affatto.”Dovete odiarmi molto mia signora,se piangete a una tale lieta novella…”Osservò il suo profilo schiaffeggiato dal vento e le pose un dito sul mento, attirandolo a sé e rivelando così, sulla guancia che prima era nascosta al suo sguardo,una lacrima.”Invero, un odio sconfinato il vostro…”sogghignò, trionfante. La ragazza sembrò volergli perforare gli occhi coi suoi,per poi correre via e riapparirgli soltanto una settimana più tardi,vestita di bianco e bianca in viso,gli occhi bassi. Lo aveva guardato solo al momento del si,pronunciato in un bisbiglio,più morta che viva,perché,come Cesare ben sapeva,stava acconsentendo a ciò che più agognava e temeva. L’aveva condotta a braccetto fuori dalla cattedrale, affettando gran cura, così come lei aveva affettato un gioia pacata. Alla cerimonia dell’accompagnamento in stanza, gli sposi erano parsi a tutti felici,soprattutto Cesare che non cessava di brindare al Valentinois, non sapendo ancora bene dove si trovasse. Finite le chiacchiere per la corte, una volta concordato, con l’imbarazzo crescente di Charlotte, che per Cesare Borgia non vi era bisogno di assistere alla consumazione, uscirono tutti,lasciando la giovane insieme al suo incubo. Egli chiudendo la porte le era venuto alle spalle di soprassalto, aveva rimosso in pochi gesti esperti la sottoveste alla sua sposa, assaporando le fattezze quasi infantili di Charlotte. L’aveva afferrata bruscamente,gettandola sul letto, per scoprire che lei covava già intenti fuggitivi. Una volta atterrata sulle ricche stoffe del corredo ella si era aggrappata alla spalliera del letto, tentando invano un debole calcio al petto di lui, per poi prendere la spinta e balzare giù dal talamo nuziale. Lui l’aveva inseguita ridendo di gusto, rompendo qualche mobilio qua e là e infine schiantandola al suolo, i polsi serrati, gli occhi festanti. Tra le piccole grida di lei aveva iniziato a rimuovere gli ultimi veli ma Charlotte ad un tratto,circondata dal fiato di lui, vedendolo così intento e deciso, gli aveva afferrato la mascella a due mani, baciandolo, per la prima volta, con una tal foga da lasciarlo interdetto.”Io ti amo,Cesare!Ti amo!”singhiozzava la povera sciagurata. Staccandosi dal bacio le pupille di lui si erano contratte,le palpebre socchiuse:”Oh ma questo lo sapevo già moglie mia…per quale motivo credete ch’io vi abbia sposata? Per queste?” Ringhiò, afferrandole i piccoli seni. “Diciannove anni, una bellezza che promette faville, da far invidia a mia sorella Lucrezia…o quasi…e invece cosa mi serbate per la notte di nozze?” La frugava con un ardore che la stupiva e la paralizzava. ”Ad ogni modo un’alleanza con la Francia era ciò che volevo, quanto al resto: voi dite di amarmi Charlotte?” Le sorrise, bello e implacabile come un dio pagano… e lei,incosciente, si sentì salva: “Ebbene,povero amor mio, mi dispiace per voi!” Un altro singhiozzo l’aveva scossa. Sapeva a cosa andava incontro. Lui, si mormorava, rovinava ogni fanciulla su cui posava lo sguardo. Era suo adesso ma sarebbe stata forse l’unica donna a non averlo mai. Lui l’avrebbe tradita, contagiata col suo peccato, umiliata… e sentir nominare Lucrezia in quel momento, poco prima che lui le rubasse la pace per sempre, oltre alla verginità, la ferì mortalmente. Un attimo prima di gridare si era chiesta in quale follia sarebbe precipitata se avesse scoperto che le voci su quei due fossero state veritiere….

    Edited by Vænessa - 16/6/2014, 18:18
     
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  6. Vænessa
     
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    Il viaggio di ritorno verso Roma era stato più breve di quanto immaginasse, eppure non abbastanza.
    Cesare aveva trascorso un mese ben strano con Charlotte,prima che una lettera del padre lo richiamasse. Molte città si erano mostrate disobbedienti nei riguardi della Santa Sede e urgeva prendere provvedimenti. Non gli era sembrato vero di poter addurre un tale pretesto per rientrare a Roma, arricchito di un titolo e della dote di Charlotte. Infinite erano state le schermaglie,le ripicche,le gelosie di lei alternate agli scoppi di passione. Le liti burrascose li trascinavano per ore l’uno contro l’altra,lontano dagli occhi altrui che,in pubblico,li credevano solo e soltanto felici.
    Cesare non s’aspettava che quella fanciullina serbasse così tanta energia. Ella, prevedibilmente,aveva subito esultato all’apprendere la notizia della sua partenza,ma quando quella mattina lo vide lasciare il letto,dovette voltarsi per nascondere l’apprensione. Accogliendo con un sorriso freddo il bacio sulla guancia che lui le diede prima di uscire dalla stanza aveva risposto che sì, avrebbe curato gli interessi dei loro possedimenti come se lui fosse presente e l’avrebbe atteso fino al suo ritorno. Forse il mese passato insieme, forse la partenza, l’avevano addolcito alquanto. Fu questo a trarla in inganno:le aveva accarezzato il viso dicendole addio,assorto, prima di rivestirsi e scendere dabbasso. Ma Charlotte non aveva resistito oltre. Quando si erano ormai salutati montò a cavallo e lo seguì fino ai confini delle loro terre. Egli si fermò sentendola arrivare, lasciando che il suo seguito proseguisse. Charlotte si era avvicinata accostando il cavallo al suo.“Cesare,mio amore!-lui non seppe trattenersi dal guardarla in tralice-mi hai pretesa,mi hai scippata alla mia famiglia, come un tributo di lealtà verso il nostro re. Egli mi ha ceduta insieme al mio ducato,insieme alla mia vita…per contentarti! Ma ora non puoi,non puoi andartene così! Dov’è il dovere di un marito verso la moglie? Hai giurato di proteggermi,di starmi accanto,di amarmi … Oh Cesare,resta!”.Egli aveva inspirato a fondo.“Moglie,il mio dovere è verso la mia famiglia e come ben sai la vera famiglia è quella data dal sangue. Io ho giurato di prenderti in moglie,di dare il mio nome ai tuoi,ai nostri figli. Non farmi ricordare quali obblighi hai tu nei miei confronti.”Lui aveva parlato con decisione, trattenendo le redini e lo sguardo fermo su di lei,implacabile. Lei allora l’aveva supplicato ancora,lamentando che non sarebbe più tornato da lei, che era tutto un pretesto per abbandonarla. Lui intanto aveva scartato di lato per evitare che fossero uditi mentre Charlotte,esasperata dai cenni di diniego,proruppe:“Allora spero di non aver concepito da voi marito mio! Ché crescere il frutto dei vostri lombi,da sola,quasi come ripudiata,non potrei tollerarlo! Mi auguro che non abbiate mai un’erede!”Era tornata bruscamente al “voi” e Cesare si chiese se,col tempo,non avrebbe potuto imparare a gestire quella sorta di sentimento fastidioso di intimità, di legame, che era stato sul punto di provare per lei. Strinse gli occhi e le rispose:“Madonna,probabilmente cerchereste una qualche compagnia per alleviare le vostre sofferenze durante la mia assenza. Ma o Cesare,o nulla. Sappiate dunque che se dovessi venire a conoscenza di un vostro tradimento… No, non voglio minacciarvi moglie mia. Agite seguendo il vostro sentire. E facendo ciò sono certo che non sbaglierete.” Le sorrise, sardonico.” Vi saluto Charlotte. Non temete, ci rivedremo e potrete dirmi ancora quanto mi detestate.” Partì al galoppo di scatto, lasciando la ragazza interdetta,in lacrime. O meglio, egli non le aveva viste, ma era certo che in quel momento avevano avuto la meglio su di lei. E ora che era alle porte della città si rendeva conto di quanto Roma,la grandezza che gli ispirava,gli fosse mancata. Si disse che era lì che voleva vivere e morire. Ma mise da parte questi pensieri quando,dopo aver salutato calorosamente il padre,si chiuse a colloquio per ore con lui.
    Lucrezia si teneva in equilibrio su una panchina, in giardino. Stava allungando una mano verso una delle pesche più mature, così simile al colore delle sue guance che ora si arrossavano,mordendosi le labbra per il disappunto di non riuscire a raggiungerla. Sapeva del ritorno di Cesare ma voleva rimandare il più possibile l’incontro con lui, rimandare il più possibile quel dolore così familiare, preferendo concentrarsi sulla sua felicità presente,semplice e innocua. Suo padre, per l'occasione, l’aveva richiamata al palazzo apostolico facendole abbandonare temporaneamente il palazzo di Santa Maria in Portico,che condivideva con suo marito. Era stato lì che quei primi mesi di matrimonio erano germogliati in tutto il loro splendore, non lasciandoli mai sazi. Una successione di feste, balli, passeggiate, gite, risate, risvegli insieme…E poi, quella benedizione.
    Lucrezia era incinta di sei mesi e il pancione ormai sporgeva alquanto dalla veste color lilla dalle ampie maniche a sbuffo.”Mia adorata, te ne prego, scendi, se ne occuperanno le serve, è rischioso nello stato in cui sei”. “Stato?” Aveva chiesto lei con leggerezza.”Alfonso, so ancora stare in equilibrio anche se sono gravida. Non temere.” Le risatine di entrambi nel vento,il sole che penetrava dai rami,e una voce.”Sorella!”. Lucrezia,come colpita da qualcosa,aveva sollevato di scatto il capo, mettendo un piede in fallo e rovinando al suolo in un istante. Cesare corse, trafelato,col fiato intrappolato in un grido inespresso. Intanto Alfonso l’aveva soccorsa, la disperazione nel volto, le mani incerte su di lei. Il cognato lo scansò malamente,prese in braccio quel fagotto inerme e si fece largo tra la servitù sconcertata.

    Per ore le numerose levatrici fecero avanti e indietro dalle stanze di Lucrezia, recando bacili, teli, brocche fumanti. Quegli oggetti sfilavano davanti ad Alfonso rendendolo più nervoso, mentre Cesare, come ipnotizzato dalle grida che provenivano dall’interno, fissava un punto indefinito nel complicato disegno sul marmo del pavimento. Quando infine il marito di sua sorella si era arreso al sonno, semi disteso sulla sua poltrona, si era alzato. Si era sentito dire da una donna smilza poggiata alla porta che Lucrezia aveva congedato tutte le levatrici. Ella non aveva voluto permettere a nessuna,tranne alla sua saracena fidata-l’ostetrica-di vedere il bambino. Cesare ristette alquanto. La saracena dietro la donna era ricoperta di sangue e lo fissava interdetta. Diede il permesso a entrambe d’andare a lavarsi ed entrando, sospirò profondamente per la testardaggine di sua sorella. Ricordava tutto quel sangue anche per la nascita di Giovanni, ma Lucrezia era stata più ragionevole allora. Sbuffò prima di richiudersi la porta alle spalle. A chiave.

    Impiegò qualche minuto prima di rendersi conto che quella nuvola bianca a vermiglia adagiata sul letto, apparentemente priva di vita, era lei. Si avvicinò fulmineo. “Lucrezia, perché hai mandato tutti via?! Hai bisogno di cure! Non tollererò oltre! Farò chiamare-“ S’interruppe notando come un bozzo,accanto a sua sorella,che gli dava ancora le spalle.“Il bambino? Amore mio, spero non sia un maschio! Ma lo è di certo,non ho udito il suo pianto!”. Provò a scherzare ma Lucrezia si era voltata piano,rivelando,alla luce delle candele un tenue sorriso.”Bambino? Quale bambino?”La sua voce si era rotta,seguitando:”Oh si, un maschio! L’immagine stessa di suo padre…”. Cesare si sedette,scostando una ciocca umida dal viso della sorella.”Allora sarà l’immagine stessa di Adone…che dico! Alfonso è Eros in persona!”. Lucrezia lo fissava come supplice. “Non un dio ho generato…ma un mostro!”.Il fratello, smarrito, non resistette e volle sollevare il lembo che ricopriva il piccolo,incontrando però la mano di lei a fermarlo.”No!Non guardarlo! Cesare,fermati,vedresti la mia,la tua stessa condanna!”. L’ultima frase giunse al suo orecchio,così vicino alla bocca di lei,solo quando ormai l’orrore gli si era manifestato,solo quando aveva compreso.
    L’esserino era come contorto da uno spasmo che gli attraversava tutto il corpicino difforme. Era stato lo spasmo della vita che per un attimo l’aveva animato? E quale forza avrebbe animato quelle manine rattrappite,chiuse a pugno,in una sfida muta e impossibile? Ma era negli occhietti spalancati, illuminati a giorno dalle candele,che Cesare aveva intravisto l’abisso di sé stesso,un abisso verde,dal fondo nero pece. Quella piccola bocca dal labbro inferiore più sottile di quello superiore,come la sua,sembrava atteggiata ad una piccola smorfia che gli ricordava qualche immagine di sé rinviata dallo specchio. Il lieve ciuffo dei capelli,corvini almeno quanto i suoi,circondava quella testolina e sembrava morbido al tatto, ma Cesare non poté continuare a toccarli,ad accarezzarli involontariamente. Si girò, sperso, verso Lucrezia,ancora stesa accanto a lui,muta negli occhi e nella posa.”Era nostro.” Il viso di lei non accennava a scomporsi ma la sua voce era poco più di un sussurro mentre allungava una mano fino alla mascella di Cesare,debolmente,senza giungere a toccarlo.”Mio e tuo.” Egli la guardava,incredulo delle sue stesse parole:”Nostro figlio…il frutto del nostro-“ “…del nostro amore? E’ amore ciò che vedi qui Cesare? Qui in questi tratti stravolti dalla mano di Dio?Oh, egli ci ha voluti punire,ci ha colpiti dove sapeva che più avremmo sofferto! Ciò che abbiamo fatto si è riversato su questo bambino,egli è il simbolo del male che abbiamo commesso insieme,del male che siamo,insieme!”. Cesare strinse le labbra,forte.”Dunque per te era solo il frutto del nostro peccato? Meritevole forse d’essere sacrificato per la nostra “salvezza”? Come se una salvezza ci attendesse,sorella! Ché se tu avessi saputo prima che era mio avresti preferito che morisse così,in questa pozza maleodorante di sangue,tra le tue dannate cosce,prima ancora che io potessi tenerlo tra le braccia?!”Stentava a contenere la sua ira,verso lei,verso Dio,verso quella creatura inanimata che morendo l’aveva privato del suo diritto di essere padre per la prima volta. Lucrezia si era sollevata a fatica,prendendogli il volto tra le mani, guardandolo interrogativamente. “Credi davvero ciò che hai detto? Io l’ho amato non appena ho sentito la sua presenza,la tua presenza, dentro di me…l’ho amato ancor più di Giovanni,non solo perché era mio figlio,ma ancora di più perché era tuo figlio!”. Cesare si era abbassato su di lei,per baciarla, ma lei si era scansata dandogli la guancia. Allora lui, furibondo,si era alzato di scatto,iniziando a camminare per la stanza. Poi, come tramutato, soggiunse:”L’ho forse ucciso io? T’ho spaventata a tal punto,chiamandoti a quel modo?!”. Lei si ribellò dolcemente:”Sono stata io sciocca a spaventarmi udendo la tua voce.” Lui le sorrise,sofferente. “Dunque hai paura di me? Del padre di tuo figlio?” Si era riavvicinato al letto,sporgendosi su di lei che aveva continuato a fissarlo senza rispondere. Cesare si chiese se le parole di Charlotte sulla sua progenie non avessero celato una maledizione. Scosse la testa, poi riprese:”Non appena si sarà liberato dagli impegni,arriverà Sua Santità-non riesco mai a chiamarlo nostro padre con te,strano vero? Nostra madre sarà qui a momenti, per non parlare della folla di curiosi di palazzo che ti aspetta poco oltre queste porte. Il tuo Alfonso,il tuo hermoso hijo- del quale non mi hai nemmeno chiesto-si era addormentato, tant’era l’ansia sua per te! Ma presto si sveglierà e busserà e di nuovo il mondo farà irruzione in questa stanza e io-“Diede un pugno al muro dietro la testata del letto.Lucrezia sobbalzò ma lui di nuovo si tramutò e continuò.”Dobbiamo disfarci del”corpo”. Sentir definire il suo piccolo un”corpo”,fu straziante per Lucrezia. “Lo porterò via io. Lo custodirò, non voglio dimenticarmi ciò che è impresso su quel viso.” Senza guardarla,aveva preso ad avvolgere il bimbo nelle fasce umide,portandoselo al petto senza disgusto. “Fammelo baciare un’ultima volta!” Egli si era chinato verso di lei che,dopo aver deposto un lieve bacio sulla fronte del piccolo,ne posò un altro sulle labbra di lui. I loro occhi s’incontrarono. Si sentirono uniti come mai lo erano stati prima di allora. Il padre,la madre e il figlio,stettero abbracciati per un po’ finché i rumori all’esterno convinsero Cesare ad uscire da una delle porte in fondo all’appartamento Borgia,non prima di voltarsi e raccomandarsi.”Dì a tutti che era talmente atroce-fece una pausa-che hai disposto immediatamente per la sepoltura. Penserò io al resto. Dì inoltre che sarà stata la caduta ad averlo reso deforme…Dì che-. Ma le parole mancarono a lui, a lei la forza di guardarlo ancora. Lucrezia chinò la testa quando la porta si chiuse, fissando la chiazza scura dove fino a poco prima giaceva il segno del suo amore.
     
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    Ma che bello questo capitolo, mi piacciono tutti! Persino Alfonso
     
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  8. Vænessa
     
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    Riuscire a far quasi piacere Alfonso è un'impresa,grazie :D Anche se ho cercato di renderlo buono ma non proprio"scemo" xD L'aborto che ho descritto a quanto pare avvenne davvero:fu il primo aborto di Lucrezia,nel febbraio del 1498,a sei mesi dal matrimonio con Alfonso,a causa di una caduta non meglio specificata. Porella :( Nel prossimo capitolo:Cesare e Caterina *_*
     
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    Molto bello il capitolo, Alfonso mi fa quasi e dico quasi tenerezza, ma anche Cesare..il povero bambino ;____; Lucrezia anche in questo capitolo mi è piaciuta, anche se sulle prime del dialogo con Cesare avrei voluto prenderla a mazzate, ma capisco che il trauma non sia esattamente facile da digerire quindi la capisco. Mi è piaciuto molto l'abbraccio tra i due, lo ritengo un bel gesto d'amore vero.
     
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  10. Vænessa
     
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    Una volta uscito dall’appartamento della sorella, Cesare intravide un gruppo che saliva le scale in gran fretta. Alla sua testa vi era quella sventata di sua cognata, Sancia d’Aragona,seguita dall’esile Goffredo,ansimante,nonché dal loro seguito. Si voltò,veloce,attraversando il corridoio di gran carriera,non sapendo di essere stato notato da Sancia. Quest’ultima si era fermata all’improvviso,le pieghe delle vesti scarlatte rialzate tra le mani,gli occhi rapaci e neri contratti dal sospetto. Quella visione fugace di Cesare con un fagotto stretto al petto la lasciò perplessa.”Marito caro,non mi sento molto bene,portate voi i miei saluti a Lucrezia.” Il blu fondo degli occhi di Goffredo si contrasse. Scosse il bel capo biondo e protestò,seppur poco convinto:”Perdonate,moglie adorata,ma mia sorella vi è molto affezionata, le dispiacerà senz’altro non avervi al suo capezzale in questo momento così difficile,ve ne prego…”Sancia aveva già alzato una mano,come a voler fermare il flusso delle sue parole.”Svegliate mio fratello piuttosto.”-Goffredo volse la sua attenzione ad Alfonso,uno dei pochi,insieme a sua sorella,con cui riusciva a discorrere senza essere zittito.”E sia. Raggiungeteci appena potrete,moglie mia.”Senza nemmeno attendere la replica del marito Sancia aveva iniziato a percorrere svelta il corridoio. Attraversò alcune stanze affrescate ormai vuote,col resto della servitù richiamata a raccolta per assistere la padrona. Seguendo il rumore dei passi di Cesare che scendevano verso i quartieri inferiori del palazzo giunse infine,trafelata,ad una svolta oltre la quale sentì distintamente la voce del cognato e di Miguel De Corella. Riconoscendo quest’ultimo dai toni rochi e raschianti, si pentì di aver seguito Cesare. Emise un gemito quando da dietro un pesante tendaggio intravide la creatura tra le fasce e colse alcune parole. Una verità,insieme ad una gelosia bruciante,gli balenò dinnanzi. Stava per fuggire quando la tenda fu scostata di colpo e una mano impietosa le afferrò il collo, mandandola violentemente contro il muro retrostante. Si ritrovò davanti il viso che aveva amato fin da quando era stata promessa in sposa. “Mia bella cognata…la curiosità è donna,e chi è più donna di voi…una donna curiosa,una donna incosciente…”Le loro chiome ugualmente scure, mosse quelle di lui, lisce e lunghissime quelle di lei, si mischiavano ora, i loro visi vicinissimi. Sancia ricordava la prima volta che erano stati stretti in quel modo,quando una notte,frustrata, era uscita in terrazza dopo il tiepido amore di Goffredo.
    Le era parso che lui l’attendesse ed ella aveva deciso che sarebbe stato suo. Non immaginando però quanto fosse lontana dalla verità. Cesare l’aveva osservata,aveva atteso che la noia di quel matrimonio insulso la logorasse e infine l’aveva presa per sé. Da allora,il carattere solitamente impetuoso di lei si smorzava in presenza di lui:”Mio signore, perdonami! Sai bene che non ti tradirei mai!” Cesare soffiò tra i denti:”Ah! Dunque hai già compreso tutto. Non parleresti di tradirmi altrimenti. Ma fossi in te cognata non scorderei facilmente ciò che si mormora di noi due, o di me e di alcune morti inspiegabili…” La fissava quasi rammaricato mentre le labbra carnose di lei tremavano impercettibilmente.”Tuo fratello Alfonso si è ambientato bene ormai. Sarebbe davvero sconveniente se qualcosa venisse a turbare il suo soggiorno qui,non trovi anche tu Miguel?”. Lo sgherro sorrise cupamente oltre la spalla del suo padrone, accarezzando assorto l’involucro che teneva ancora in braccio. “Molti lamentano l’inutilità dell’alleanza con Napoli mio signore, si sa che le simpatie dei romani sono piuttosto capricciose.” Sancia aveva allentato la presa sulla mano di Cesare ancorata al suo collo. Questi si era staccato da lei, circospetto:”Andate adesso. La nostra Lucrezia vi starà attendendo. Non fatele mancare la vostra consueta amicizia, che lei dà per sincera,ma soprattutto prendetevi cura di mio fratello…e del vostro.” L’odio nello sguardo di lei non lo turbò mentre svaniva in un turbinio di gonne, lasciando le risate dei due uomini dietro di sé. Appena fu scomparsa Cesare si fece di nuovo serio.”Miguel, occupatene tu,stanotte stessa,da solo. Trovagli un posto degno del figlio di Cesare Borgia.” Il sicario lo fissò a lungo mentre egli,contraendo i lineamenti continuava:”Nessun battesimo,nessuna croce.” Miguel fece un cenno col capo. Silenzioso come sempre. Una volta uscito,Cesare si tolse la camicia insanguinata, la gettò nelle fiamme del camino dinanzi a sé e si accasciò a terra, il volto tra le mani,gli occhi sbarrati,immaginando tutto. Una fiaccola nella mano nera di De Corella,una pala nell’altra…
    Per Lucrezia la stanchezza di vedersi attorniata da così tanti volti,quando l’unico che avrebbe voluto vedere si stava probabilmente macchiando di un’altra,ignominiosa colpa,era estenuante. Sancia in particolare era stata fin troppo ossequiosa e piena di premure. L’affetto che le portava era sempre stato grande, non aveva mai osato chiedere a Cesare se le voci su di loro fossero vere. E in quel momento del resto i suoi pensieri erano ben lontani da tutto ciò. Alfonso non parlava,era inconsolabile. Goffredo sembrava dispiaciuto per la loro perdita quasi ché il figlio fosse stato suo. Lucrezia sorrise pensando ai dolci versi che suo fratello minore aveva composto in onore della coppia, dopo il loro primo incontro. “Sorella, non temere, avete molti anni davanti a voi. Sono certo che alla prossima occasione saremo di nuovo qui ma non con le braccia vuote.” L’ottimismo e il candore impressi nel viso delicato di Goffredo le riempivano il cuore. Era l’unico vero fratello che avesse mai avuto. Così lontano dal resto di loro, così ignorato e trascurato dal loro padre…Le sue riflessioni furono interrotte proprio dal padre. Egli dopo averle carezzato la fronte, rosso in viso, si era sfogato dietro un paravento, per non farsi udire dalla figlia,tuonando con Vannozza,che aveva appena lasciato la mano di Lucrezia.”Questo clima di ribellione,di pericolo, può forse aver contribuito al malore. Ma il nostro Cesare ci vendicherà! Ci vendicherà tutti per gli affronti subiti da Forlì ed Urbino. Predisporrò tutto, ne abbiamo già discusso stamane. Presto egli raggiungerà le truppe francesi al nord e…” Vannozza lo rimproverava:”Rodrigo non vorrete turbare il riposo di nostra figlia. Avrete tempo per progettare le vostre strategie.”Poi rivolgendosi a tutti:”Adesso usciamo. Lasciamo gli sposi da soli.”
    Ma Lucrezia aveva udito il padre. Consolare suo marito quando non riusciva a consolare sé stessa era una sofferenza doppia. Piccole lacrime interrompevano i sussurri che indirizzava ad Alfonso, accoccolato sul suo petto. Cesare non le aveva detto nulla. Anche stavolta. Per lui, da parte di lei, non c’erano segreti, eppure lui non si rivelava mai del tutto. C’era stato un tempo in cui lei era l’eccezione,ed evidentemente non era più così. Ma c’era qualcun altro che si consumava nella delusione. Goffredo aveva sperato che quell’evento spiacevole potesse avvicinare lui e la consorte in un comune dispiacere, ma ella sembrava assorta in qualcosa che lui si rammaricava di non conoscere. “Sancia, qualcosa vi tormenta,lo vedo.” Lei gli aveva rivolto uno dei suoi sguardi enigmatici.”E i miei tormenti sono i vostri marito mio, lo so.” Mai come adesso, si disse, colta da un’idea, posando le dita sottili sulle guance imberbi di lui.
     
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    pope
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    Madùùù scusami non mi ero accorta del nuovo capitolo (a mia discolpa, ho studiato disperatmente fino a qualche giorno fa)! Mi piace molto, ADORO questa Sancia *w* scrivi troppo bene!
     
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  12. Vænessa
     
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    Hey! Grazie mille ^^ Scusami tu anzi, ho letto solo ora il commento perché sono senza lentine da un pò (aspetto quelle nuove in prova) e ci vedo poco e niente al pc xD Appena posso continuo la storia e torno a visitare più spesso il forum che ho dovuto trascurare per forza di cose purtroppo :(
     
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26 replies since 1/6/2014, 23:03   456 views
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