Lorenzo "Il Magnifico" de' Medici e Clarice Orsini

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    Appartenente alla potente dinastia dei Medici, Lorenzo fu uno dei maggiori esponenti del Rinascimento italiano. Signore di Firenze, ebbe un ruolo di grande rilievo nella vita della sua città e dell’Italia. Fu politico, letterato e mecenate, mercante e banchiere, e per le sue doti eccezionali fu denominato ‘il Magnifico’

    Il governo di Firenze

    Il nonno di Lorenzo, Cosimo, era stato il fondatore della potenza dei Medici a Firenze, dove Lorenzo nacque nel 1449. Appena ventenne, Lorenzo era succeduto nel 1469 al padre Piero nell’esercitare, con il fratello Giuliano, la signoria cittadina. Una grave crisi fu da lui superata allorché sopravvisse alla congiura messa in atto nel 1478 contro i Medici, col decisivo concorso della Roma papale e della corte di Napoli, dalla famiglia loro antagonista dei Pazzi, congiura che costò la vita a Giuliano. Lorenzo ne uscì riuscendo a consolidare il proprio primato, che non venne più sfidato sino alla sua morte.

    Egli agì in due direzioni: quella della politica interna e della politica estera. In primo luogo accentuò il potere suo personale e poi quello delle potenti oligarchie senza il cui consenso non avrebbe potuto governare, mostrando però l’accortezza di cercare di contemperare gli interessi delle varie parti della società fiorentina. Ridusse l’influenza del Consiglio del popolo e del comune e delle Arti medie e minori e accrebbe quella delle oligarchie a lui legate, che avevano i loro maggiori centri di influenza nel Consiglio dei Settanta e nella cancelleria signorile. In secondo luogo, impose l’egemonia di Firenze su città come Siena e Lucca e su Romagna e Umbria, sottomettendole alla sua autorità.

    La politica di equilibrio

    In politica estera Lorenzo operò in modo da unire gli Stati italiani in un’alleanza (di cui Firenze doveva costituire ‘l’ago della bilancia’) con Milano, Roma e Napoli, avendo lo scopo di pervenire a uno stato di equilibrio volto a preservare la pace. Questo disegno di Lorenzo, tessuto superando varie difficoltà, dopo una prima fase di sostanziale successo venne eroso dal contrasto degli interessi tra gli Stati regionali fino al punto di diventare evanescente.

    Ma la minaccia maggiore venne infine dall’esterno, e cioè dai progetti espansionistici prima della Francia e poi della Spagna in direzione dell’Italia. Lorenzo morì nel 1492, proprio quando il re francese Carlo VIII andava già progettando tale invasione, che divenne una realtà nel 1494.

    La figura di Lorenzo assurse ben presto al livello del mito, inducendo a opposte valutazioni. Mentre Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini videro in lui l’incarnazione di un principe di grandi qualità politiche, Girolamo Savonarola e i suoi seguaci, che aspiravano a una riforma politica guidata da intransigenti principi religiosi, lo denunciarono come l’esponente di uno spirito tirannico e corrotto dalla mondanità.

    Letterato e mecenate

    Lorenzo non fu soltanto un politico di grande rilievo, ma anche un finissimo letterato e poeta. Vissuto quando Firenze era grande capitale del Rinascimento italiano ed europeo, contribuì in prima persona allo sviluppo dell’Umanesimo. Si adoperò per lo sviluppo della cultura e delle arti, con un’attività di illuminato mecenatismo, di cui tra gli altri beneficiarono poeti come il Poliziano e filosofi come Marsilio Ficino.

    Egli stesso si dedicò alla poesia, con un’ispirazione improntata all’arguzia e al disincanto verso il valore delle cose umane, destinate tutte a perire. Ha lasciato numerose opere divenute un capitolo importante della letteratura nazionale, quali i Canti carnascialeschi, la Nencia da Barberino e le Selve d’amore.

    Un magnifico poeta

    «Due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione congiunte»: così Machiavelli definisce Lorenzo il Magnifico. E la diversità è manifesta anche nell’opera letteraria del principe illuminato: poesie colte e delicate, scritti burleschi e sboccati, sacre rappresentazioni colme di devozione. Ma unica è la lingua popolare che egli fu tra i primi a ritenere adatta alle arti e alle scienze non meno che il latino, la lingua dei dotti.«Donne, siam, come vedete,giovanette vaghe e liete.Noi ci andiam dando diletto,come s’usa il carnasciale:l’altrui bene hanno in dispettogl’invidiosi e le cicale»(da Canti carnascialeschi, Canzona delle cicale).

    treccani

    Edited by ‚dafne - 17/11/2016, 00:24
     
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    Nacque presumibilmente a Roma nel 1452 da Iacopo di Orso Orsini, signore di Monterotondo e di altri castelli della Campagna romana, e da Maddalena di Carlo Orsini, sesto conte di Tagliacozzo e d’Alba. La data di nascita, in mancanza di documentazione specifica, si basa sulle portate della famiglia Medici ai Catasti del 1469 e del 1480.

    Il padre era un famoso condottiero al servizio dei pontefici e del re di Napoli, morto nel 1465 (erra Pompeo Litta, 1820, che lo dà vivente nel 1482). La madre era sorella del cardinale Latino e di Giovanni, arcivescovo di Trani e abate di Farfa, nonché dei condottieri Napoleone e Roberto. Di lei, morta nell’ottobre 1477, si conserva un monumento funebre nell’ex convento di S. Salvatore al Lauro a Roma. Dal matrimonio nacquero anche un’altra femmina, Aurante, e due maschi: Orso, detto Organtino, condottiero, e Rinaldo, uomo di Chiesa, divenuto poi, grazie al supporto dei Medici, arcivescovo di Firenze.

    Non si hanno notizie dirette sui primi anni di vita né sull’educazione ricevuta da Clarice, che, alla luce degli avvenimenti posteriori e dall’esame delle lettere scritte di sua mano, dovette essere permeata di contenuti religiosi, ma poco approfondita sul piano delle lettere e della cultura in generale. Le prime notizie che abbiamo di lei risalgono al 1467, quando era già la candidata favorita di Piero e Lucrezia de’ Medici come fidanzata del figlio Lorenzo.

    La scelta dei Medici di attingere a una famiglia non fiorentina, affrontando il rischio di suscitare la disapprovazione dei loro concittadini, si distaccò dalla linea di comportamento da loro stessi seguita fino ad allora: fu un segno, fra molti altri, della loro volontà di affermarsi al di fuori di Firenze e del suo dominio, ma forse costituì anche una necessaria cautela, dopo la crisi politica del 1466, che li spinse a cercare legami di alleanza esterni. In questa prospettiva Roma rappresentava il luogo ideale: oltre a ospitare un’importante filiale del banco Medici, rivestiva, come sede del papato, un ruolo ineguagliabile di potenza sopranazionale. A orientare la scelta verso Clarice, c’era, ovviamente, la prospettiva di una ricca dote, ma determinanti furono i motivi politici: i Medici si proponevano, attraverso di lei, di legarsi a una dinastia di uomini d’arme, cosa che poteva rimediare, almeno in parte, alla mancanza da parte dello Stato fiorentino di un autonomo ed efficiente apparato militare; inoltre la presenza di numerosi prelati nella famiglia avrebbe favorito relazioni più strette con la S. Sede.

    Presumibilmente, i primi contatti informali con la famiglia di Clarice furono presi da Giovanni Tornabuoni, fratello di Lucrezia e dirigente della filiale romana del banco Medici, che, in virtù di questo ruolo, era frequentemente in contatto con il cardinale Latino, camerlengo del papa e zio di Clarice. Quando il progetto si fece più concreto, partì per Roma la stessa Lucrezia, per esaminare di persona la futura nuora. Nelle tre lettere inviate al marito in questo periodo troviamo un ritratto fisico e morale piuttosto accurato di Clarice, oltre a una sintesi efficace delle sue relazioni familiari e della situazione economica degli Orsini

    La prima di queste lettere, scritta il 28 marzo 1467, è dedicata all’aspetto fisico della fanciulla, che ricalca i canoni allora comunemente diffusi: prima di tutto l’età («da quindici in sedici anni»), poi la descrizione del corpo. Il viso, dalle guance rotonde e un po’cascanti, non le parve particolarmente bello, ma comunque gradevole; i capelli non biondi, come forse le erano stati descritti, ma fulvi. Dal preciso e impietoso ritratto della futura suocera Clarice si presenta come una donna piuttosto alta e longilinea, dalla pelle chiara e dalle abbondanti chiome. Nell’insieme è una fanciulla fuori dell’ordinario, anche se priva del portamento fiero delle fiorentine, anche per l’abitudine di Clarice, dettata forse dall’innata modestia, ma soprattutto dalla severa educazione ricevuta, di tenere la testa bassa («va col capo non ardito, come le nostre: questo mi stimo perché si verghognava»). A parte le caratteristiche fisiche, la futura suocera dà ampi ragguagli sulla famiglia, descrivendo i vari rami degli Orsini, i prestigiosi legami di parentela, nonché gli estesi possedimenti. Nel complesso, Lucrezia appare piuttosto soddisfatta, anche se lascia l’ultima parola al marito Piero e, soprattutto, al figlio Lorenzo, il quale, a detta della madre, aveva avuto già occasione di vederla. La risposta di Lorenzo fu positiva, benché, curiosamente, alcuni anni dopo egli, a proposito del suo matrimonio, annoti nei suoi Ricordi: «Io Lorenzo tolsi donna Clarice figliuola del signore Jacopo Orsino, o vero mi fu data, di dicembre 1468» (cit. in Roscoe, 1799, p. 44).

    Le trattative si protrassero per molti mesi per la necessità di armonizzare gli usi giuridici fiorentini in tema di matrimonio con quelli vigenti a Roma e furono condotte per conto dei Medici da Giovanni Tornabuoni e da parte degli Orsini dal cardinale Latino. Finalmente, il 27 novembre 1468 gli accordi furono raggiunti: prevedevano una dote, fra contanti e oggetti, pari al valore di 6000 fiorini romani da corrispondere ai Medici, mentre questi ultimi dovevano versare, secondo l’uso vigente a Roma, una controdote o ‘antifato’, pari a un quarto della dote. La dote fu effettivamente corrisposta, sia pure in tempi lunghi, a Lorenzo de’ Medici, che ne rilasciò ricevuta con atto notarile del 5 gennaio 1479. Erra quindi anche su questo punto Litta, ripreso poi da altri autori, affermando che Clarice non portò dote. Si giunse così, il 10 dicembre 1468, al matrimonio per procura, celebrato a Roma, dove lo sposo fu rappresentato da Filippo de’ Medici, arcivescovo di Pisa.

    Dopo il matrimonio Clarice rimase a Roma per alcuni mesi. Proprio a questo periodo di forzata lontananza risalgono le prime tre lettere scritte da lei al marito, che mostrano il non alto livello della sua cultura e la scarsa dimestichezza con la scrittura nella povertà di contenuti, nella grafia incerta e nella presenza di errori e cancellature. Dopo il suo ingresso in casa Medici avrebbe fatto scrivere le sue lettere a segretari, scrivani o fattori, limitando al massimo il ricorso all’autografia. Finalmente, ai primi di maggio 1469 si mosse da Firenze il fratello minore di Lorenzo, Giuliano de’ Medici, accompagnato dal cugino Pier Francesco e da altri, per andare a prendere la sposa. Il 15 maggio Clarice prese congedo dai parenti e si mise in viaggio, a piccole tappe, per Firenze, dove giunse il 30 o il 31 di maggio. In attesa della ‘messa del congiunto’, che tradizionalmente segnava l’inizio della vita in comune degli sposi e che fu celebrata nella basilica di S. Lorenzo la domenica 4 giugno 1469, la sposa fu ospitata dalla famiglia Alessandri.

    Piero Parenti (1870; secondo alcuni, l’autore sarebbe in realtà suo padre Marco) ha lasciato una particolareggiata descrizione dei festeggiamenti nuziali, che durarono dalla domenica fino a martedì 6 giugno e ai quali parteciparono più di mille persone. Grandiosi furono l’afflusso di regali provenienti dalla campagna e il corteo nuziale che accompagnò Clarice in palazzo Medici. Le nozze ispirarono anche componimenti poetici in ottava rima (Rime di Comedio Venuti in onore degli sposi Lorenzo de’ Medici e Clarice Orsini [1911]). La sposa ricevette molti doni personali, tra cui un libro d’ore in lettere d’oro su fondo azzurro, regalo di Gentile Becchi.

    Dal matrimonio nacquero sette figli che sopravvissero all’infanzia, nell’ordine: Lucrezia (4 agosto 1470), che sposò Iacopo Salviati; Piero (15 febbraio 1472); Maddalena (25 luglio 1473), che sposò Franceschetto Cybo; Giovanni (11 dicembre 1475); Luisa (dicembre 1476), che morì nel maggio 1488; Contessina (gennaio 1478), che sposò Piero Ridolfi; Giuliano (12 marzo 1479). Due gemelli, nati prematuri nel marzo 1471, morirono subito dopo la nascita.

    Clarice rimase molto legata alla famiglia di origine. Nell’aprile 1472 tornò a Roma e a Monterotondo, per presenziare al matrimonio del fratello Organtino. Il viaggio, anche questa volta effettuato a piccole tappe, fu costellato da festose accoglienze da parte dei rappresentanti delle Comunità in cui fece sosta, come: Figline, Arezzo, Cortona. Ricevette inoltre un’ambasciata ufficiale da parte del Comune di Siena. Fece ritorno a Firenze solo alla fine di giugno.

    A favore degli Orsini Clarice faceva continue richieste al marito: Lorenzo ottenne l’arcivescovato di Firenze per il cognato Rinaldo e tentò senza successo di fargli avere la porpora cardinalizia. Nel 1470 scrisse al duca di Milano chiedendogli di assumere al suo servizio Organtino Orsini; quattro anni più tardi si attivò per concludere un matrimonio per una figlia di Aurante; nel 1481 chiese un beneficio ecclesiastico nel Regno di Napoli per il figlio di Aurante, Latino, cui aveva già fatto ottenere vari benefici in Toscana. Clarice intercedeva anche per persone estranee alla famiglia, soprattutto per religiosi, cui cercava di far ottenere benefici ecclesiastici, ma anche per altre categorie di persone (per esempio, nel 1477 raccomandò al podestà di Campi un tal Simone di Bartolo per l’incarico di spedalingo).

    I Protocolli del Carteggio di Lorenzo ricordano diverse lettere scritte per conto di Clarice. Per poter dispiegare in modo efficace la sua attività di mediazione, ella si doveva tenere costantemente informata degli affari correnti e per avere le notizie che di volta in volta le servivano si rivolgeva ai segretari e ai dipendenti dei Medici; questi ultimi, del resto, si ritenevano al servizio anche di lei e la informavano non solo dell’ordinaria amministrazione, ma anche di avvenimenti politici e militari.

    Un periodo molto critico nella vita di Clarice, come del resto per l’intera famiglia Medici, fu quello seguito alla congiura dei Pazzi del 26 aprile 1478. Preoccupato dalla situazione interna e internazionale, oltre che da un’epidemia di peste scoppiata in quel periodo, Lorenzo volle allontanare da Firenze la famiglia. La meta prescelta fu Pistoia, dove Clarice e i figli, insieme con Angelo Poliziano, precettore dei ragazzi, e le altre persone del seguito, trascorsero i mesi da agosto a ottobre 1478 in casa di Andrea Panciatichi, uno dei capi della fazione filomedicea pistoiese. Presto la città, tradizionalmente teatro di aspre lotte di fazione, apparve non abbastanza sicura per la famiglia Medici. Si scoprì infatti l’esistenza di un complotto tendente a far ribellare Pistoia e a prendere in ostaggio Clarice e i figli per bloccare qualsiasi reazione da parte del governo fiorentino. Il 13 novembre 1478 fu arrestato Piero Baldinotti, uno dei responsabili della trama, che rivelò l’esistenza di accordi segreti con il re di Napoli. Baldinotti fu condannato a morte e impiccato il 3 dicembre successivo, mentre Clarice e i figli si spostarono in Mugello. Fino al maggio 1479 rimasero a Cafaggiolo, dove, forse con il contributo del forzato isolamento, i disaccordi di Clarice con il Poliziano sfociarono in scontro aperto, tanto da determinare il licenziamento di quest’ultimo dall’incarico di precettore.

    Le divergenze vertevano soprattutto sui contenuti dell’insegnamento: il Poliziano, d’accordo con Lorenzo, intendeva dare ai ragazzi Medici una solida preparazione in lettere classiche. Clarice, che non ne comprendeva l’importanza, si ribellava soprattutto all’idea che l’insegnamento dei classici andasse a detrimento della formazione religiosa. Lorenzo de’ Medici, messo al corrente dell’accaduto, non volle tuttavia sconfessare l’operato di Clarice e il Poliziano fu presto sostituito dal più convenzionale e malleabile Bernardo Michelozzi, fratello del cancelliere principale di Lorenzo.

    Intanto continuava il soggiorno di Clarice e dei figli in campagna: da Cafaggiolo, essendovisi manifestato un caso sospetto di peste, si trasferirono al Trebbio, villa del cugino di Lorenzo, Pierfrancesco de’ Medici e poi a Gagliano, per poi tornare a Cafaggiolo, soggiorno che si protrasse fino all’autunno del 1479.

    A parte i soggiorni nelle varie residenze di campagna, ben poche furono le occasioni di viaggio per Clarice; tra queste si ricorda un soggiorno termale al Bagno a Morba, nel Volterrano nel 1485, il cui tragitto di ritorno a Firenze fu descritto in modo arguto da Matteo Franco, uno dei letterati clienti della famiglia (Un viaggio di Clarice Orsini de’ Medici, Bologna 1868).

    L’ultimo viaggio della sua vita fu intrapreso da Clarice nel novembre 1487 per accompagnare a Roma la figlia Maddalena, promessa sposa di Francesco Cibo, figlio di papa Innocenzo VIII. Oltre al desiderio di prender parte alla cerimonia, a spingere Clarice a questo viaggio c’era anche la speranza che il clima più mite della città natale giovasse alla grave malattia polmonare da cui era affetta. A Roma il 5aprile incontrò la cugina Alfonsina Orsini, sposa per procura di suo figlio Piero, con la quale si recò a Bracciano presso i parenti, dove furono raggiunte da Piero. Nel mese di maggio la comitiva, di cui faceva parte anche Maddalena de’ Medici, si mosse per tornare a Firenze, dove giunse il 23 maggio.

    Clarice morì a Firenze il 30 luglio 1488 e fu sepolta con solenni funerali nella basilica di S. Lorenzo.

    Al momento della morte il marito era assente da Firenze e non tornò neppure per i funerali, motivo per cui non fu esente da critiche. [...]

    treccani

    Edited by ‚dafne - 3/11/2016, 15:49
     
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  3. reine noir
     
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    Era una mostra dell'anno scorso:

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    CITAZIONE
    Tre Spettacolari codici Miniati elaborati e realizzati come dipinti: sono i codici miniati fatti realizzare alla fine del Quattrocento da Lorenzo de’ Medici, per le figlie Lucrezia, Luisa e Maddalena. Capolavori assoluti del Rinascimento per la prima volta dopo cinque secoli saranno riuniti ed esposti insieme a Firenze nella mostra “Magnifici tre. I libri-gioiello di Lorenzo de’ Medici”.
    Commissionati dal Magnifico come doni nuziali per le figlie Lucrezia, Luisa e Maddalena. Riccamente decorati e impreziositi da sontuose legature con ori, argenti, pietre dure e smalti policromi, questi codici sono dei capolavori dell’arte orafa e della miniatura. Oggi i codici sono gelosamente custoditi da tre diverse biblioteche: la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco e la Rothschild Collection di Waddesdon Manor, in Inghilterra.

    fonte
     
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    Vedi? Quando Lori non era impegnato con la Lucriscia comprava anche delle belle cosine :)
     
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    Eh lasciava qualcosa di carino ai posteri ù_ù
     
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  7. xcusemymonkey
     
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    Da un lato pensare che due di questi tesori siano fuori dall'Italia mi dispiace, dall'altro credo che sia meglio così.

    Comunque bellissimi, cioè, non si può dire altro. A parte il valore inestimabile dei materiali, c'è tutto il lavoro, il valore storico ed affettivo. *O*
     
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    Mèdici, Lorenzo de', detto il Magnifico. - Figlio (Firenze 1449 - Careggi 1492) di Piero di Cosimo il Vecchio e di Lucrezia Tornabuoni, ebbe presto incarichi politici: nel 1466 entrò a far parte della balìa e del Consiglio dei Cento. Nel 1469 sposò la nobile Clarice Orsini. Alla morte del padre (2 dic. 1469), accettò "la cura della città e dello stato", pur restando ufficialmente privato cittadino: da quel momento fu il vero signore di Firenze. Modificati in parte gli ordinamenti di Firenze, per acquistare più saldo e legale potere, divenne membro a vita del potenziato Consiglio dei Cento. Le relazioni col papa Sisto IV, buone fino alla guerra di Volterra (1472), voluta per rafforzare l'unità del dominio, finirono col guastarsi, per le mire di Girolamo Riario, nipote del papa, sopra Imola: fu allora che i Pazzi, rivali anche negli affari dei Medici, accordatisi con l'ambizioso Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, e ordita una congiura, consapevole il papa, uccisero in S. Maria del Fiore il 26 apr. 1478 Giuliano de' M. (v.), mentre Lorenzo riuscì a porsi in salvo. La violenta reazione dei Fiorentini mentre Sisto IV lanciava la scomunica contro Lorenzo e l'interdetto contro la città, si tramutò in piena guerra, con l'appoggio di Venezia e di Milano contro il papa e il suo alleato Ferdinando di Napoli. La situazione, fattasi criticissima per Firenze, fu risolta da Lorenzo che, recatosi personalmente a Napoli (6 dic. 1479 - 15 marzo 1480), riuscì a staccare dalla lega nemica il re Ferdinando, costringendo così il papa alla pace. Il successo gli consentì una nuova modificazione degli statuti con incremento della sua potenza. Iniziò allora in Italia, dove era considerato il capo assoluto dello stato fiorentino, una politica di alleanza, di accordi, di equilibrio, rafforzando la sua posizione col rendersi amiche Lucca, Siena, Perugia e Bologna, acquistando Pietrasanta (1484), Sarzana (1487) e Piancaldoli (1488), ristabilendo una normalità di rapporti con Forlì e Faenza, dopo che ne erano stati uccisi i signori Girolamo Riario e Galeotto Manfredi, e soprattutto coltivando l'amicizia con Napoli. Durante la guerra di Ferrara (1482-84) si alleò con Ercole d'Este, il duca di Milano e il re Ferdinando per frenare le mire espansionistiche del papa e dei Veneziani, partecipando anche, come oratore ufficiale di Firenze, alla dieta di Cremona (febbr. 1483). Quando poi Innocenzo VIII (succeduto nel 1484 a Sisto IV) mosse guerra al re di Napoli, Lorenzo concorse a salvarlo alleandosi con lui. La pace (1486) così instaurata fu riconosciuta gran merito di Lorenzo, il quale costituì "l'ago della bilancia d'Italia", in quanto la potenza politica di Firenze divenne quella determinante l'equilibrio delle forze della penisola. Si impegnò a quel punto a rendere potenti i membri della sua famiglia: il figlio Giovanni divenne cardinale e la figlia Maddalena sposò Franceschetto Cybo, figlio di Innocenzo VIII. La salute malferma, l'impegno politico, la cura continua degli affari della sua casa, per l'interesse economico della quale il tesoro pubblico finì col confondersi con le finanze private dei Medici, non gli impedirono di partecipare con gusto e fervore a quella vita tipicamente rinascimentale di cultura, di splendori e di feste, della quale in Firenze fu il solerte animatore. Intorno a lui si formò un circolo di poeti, di artisti, di filosofi che egli sovveniva e di cui era amico: i tre fratelli Pulci, soprattutto il maggiore Luigi, il Poliziano, il Verrocchio, il Pollaiolo, Giuliano da Sangallo, Filippo e Filippino Lippi, Sandro Botticelli, Ficino, Landino, Pico della Mirandola, Benozzo Gozzoli, Benedetto da Maiano, Mino da Fiesole, per ricordare solo alcuni. Certo il mecenatismo fu per Lorenzo anche arte di governo, oltre che sincero bisogno della sua anima. Ricche la sua biblioteca e la collezione di gemme, cammei, bronzi, statue. Per lui Giuliano da Sangallo costruì la villa di Poggio a Caiano e il castello di Poggio Imperiale. Da lui furono chiamati allo studio di Firenze e di Pisa i più famosi maestri di filologia, filosofia, diritto. Mai Firenze era apparsa così fervida di operosità di studî e d'arti come al suo tempo. Egli stesso, pur tra le molteplici cure di politica e di amministrazione, partecipò a siffatta operosità. La sua intensa attività letteraria fu non già subordinata ma congiunta, come disse Machiavelli, con l'attività politica. Nel 1476 raccolse antiche rime, specie stilnovistiche, e le inviò a Federico d'Aragona con una lettera critica, quasi certamente opera del Poliziano. Negli anni successivi, probabilmente tra il 1482 e il 1484, raccolse 41 dei suoi sonetti, legandoli insieme con un Comento in prosa, a somiglianza della Vita Nuova: in questo narra come alla vista di una bellissima donna morta (Simonetta Cattaneo) gli si accendesse in cuore il desiderio di un altissimo amore e come dopo qualche tempo s'innamorasse di una donna ancor più bella e gentile dell'altra (Lucrezia Donati). Rime e commento sono ispirati alle idee dell'amor platonico filtrate attraverso Petrarca, Landino, Ficino, ma non mancano notazioni psicologiche e motivi poetici originali. Una disputa filosofica con Ficino sul sommo bene sono i 6 faticosi capitoli dell'Altercazione, scritta, almeno nella sua prima redazione, intorno al 1473-74.

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    Edited by ‚dafne - 28/10/2018, 23:18
     
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    [...]Dalla fine del Trecento, s’era presa a Firenze l’abitudine di celebrare l’Epifania con un suntuoso corteo di Magi. Abiti sgargianti, doni, carri che percorrevano strade e piazze, per devozione, certo, ma anche per far festa, starsene allegri e sfoggiare decoro e opulenza. Alla guida delle sfilate, e larghi di doni, v’erano i Medici, con le loro ricchezze da favola, la banca prospera, e il potere, discreto, temuto, riverito. Così, quando il piccolo Lorenzo di Piero di Cosimo de’ Medici venne al mondo, il primo giorno del mese di gennaio dell’anno 1449, fu naturale pensare ai Magi. Dopo le due femmine, Bianca e Nannina, Lorenzo era l’erede maschio tanto sospirato. Brava Lucrezia, che l’aveva partorito, contento Piero, il padre, che pur avrebbe ereditato un giorno la responsabilità della famiglia, o meglio del clan dei Medici. E felice il nonno, Cosimo, il «gran mercante», come lo chiamavano, astuto, sottile, generoso con gli amici e con i protetti, e, all’occorrenza, impietoso con i nemici. Da una quindicina d’anni, da quando c’aveva quasi rimesso la pelle a causa delle rivalità cittadine, Cosimo controllava a Firenze morte, vita e miracoli. Col guanto di velluto, senza dar troppo nell’occhio – quella fiorentina era pur sempre una repubblica, e i suoi cittadini andavano fieri della loro libertà. Che poi, tra il dirsi liberi e l’esserlo per davvero ci fossero di mezzo i Medici, e in particolare quella volpe di Cosimo, era cosa risaputa, in riva all’Arno, per tutta Italia e anche al di là delle Alpi. Cosimo era anzi più signore fuori Firenze che in casa, e da signore effettivo e domino della politica estera lo trattavano le potenze della penisola e i re oltremontani. Del nipotino, di questo Lorenzino che frignava nella sua culla nell’inverno di metà Quattrocento, Cosimo e tutti i suoi avevano gran bisogno. La roba, gli amici, la reputazione, tutto quanto s’era raccolto nel tempo andava pur trasmesso, passato da una generazione all’altra. [...]
    ra costume a Firenze portare i piccoli al fonte battesimale entro un paio di giorni dalla nascita. Per Lorenzo, però, si fece un’eccezione, la prima di quella lunga serie di deroghe che avrebbe costellato la sua vita, nel bene e nel male. Valeva la pena di aspettare fino al sei gennaio, quando sarebbero arrivati i Magi, e si sarebbe mostrato a tutti che quell’ultimo venuto era destinato a grandi cose. Non era forse stato san Giovanni, patrono della città, a battezzare Gesù? I Magi vennero, per metafora e per davvero, e Piero radunò una combriccola di «compari», i padrini al battesimo, di tutto rispetto. V’era l’arcivescovo di Firenze, ufficiali del reggimento cittadino, quelli scorsi e gli attuali. Persino Federico da Montefeltro, il superbo signore d’Urbino, aveva mandato un proprio uomo a rappresentarlo. Anche per lui, schizzinoso com’era in fatto di nobiltà, accompagnare al battesimo l’ultimo rampollo dei Medici non era onore da disdegnare. Quando, qualche anno dopo, fu completato il grande palazzo di via Larga, con le sue forme severe, la mole imponente e il fasto principesco, Benozzo Gozzoli ebbe l’incarico di dipingere, nella cappella privata, proprio una cavalcata di Magi, vivida di colori e carica d’ottimismo.

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    834px-Artista_fiorentino,_ritratto_di_Lorenzo_de'_Medici,_terracotta_policroma,_probabilmente_da_un_modello_di_verrocchio_e_orsino_benintendi,_XV-XVI_sec_02

    Anonimo Fiorentino, busto in terracotta policroma di Lorenzo il Magnifico

     
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    Il busto mi piace, la fisionomia mi pare sempre bruttarella ma gli dà un'impressione di vita che ha un certo fascino. Forse mi ricorda un po' James Frain (che detto da me è un complimentone perché lo amo da morire).

    Peggio con le medaglie, ma le medaglie non sono mai carine:

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    Comunque nel busto secondo me si nota la somiglianza con Cosimo , però ammetto che da lì non pare un brutto uomo cioè non lo definirei bello, ma ha qualcosa di fascinoso nella faccia anche con il nasone xD
     
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    Forse quello che affascina è lo sguardo pensoso e in meditazione, come lo era lo sguardo di Cosimo nel ritratto del Pontormo.

    La Canzona di Bacco non si dimentica mai! :D
    CITAZIONE
    Quant’è bella giovinezza,
    che si fugge tuttavia!
    chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Quest’è Bacco e Arïanna,
    belli, e l’un dell’altro ardenti:
    perché ’l tempo fugge e inganna,
    sempre insieme stan contenti.
    Queste ninfe ed altre genti
    sono allegre tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Questi lieti satiretti,
    delle ninfe innamorati,
    per caverne e per boschetti
    han lor posto cento agguati;
    or da Bacco riscaldati
    ballon, salton tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia
    di doman non c’è certezza.

    Queste ninfe anche hanno caro
    da lor essere ingannate:
    non può fare a Amor riparo
    se non gente rozze e ingrate:
    ora, insieme mescolate,
    suonon, canton tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Questa soma, che vien drieto
    sopra l’asino, è Sileno:
    così vecchio, è ebbro e lieto,
    già di carne e d’anni pieno;
    se non può star ritto, almeno
    ride e gode tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Mida vien drieto a costoro:
    ciò che tocca oro diventa.
    E che giova aver tesoro,
    s’altri poi non si contenta?
    Che dolcezza vuoi che senta
    chi ha sete tuttavia?
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Ciascun apra ben gli orecchi,
    di doman nessun si paschi;
    oggi siam, giovani e vecchi,
    lieti ognun, femmine e maschi;
    ogni tristo pensier caschi:
    facciam festa tuttavia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Donne e giovinetti amanti,
    viva Bacco e viva Amore!
    Ciascun suoni, balli e canti!
    Arda di dolcezza il core!
    Non fatica, non dolore!
    Ciò c’ha a esser, convien sia.
    Chi vuol esser lieto, sia:
    di doman non c’è certezza.

    Branduardi la mise in musica anche ai giorni d'oggi:

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    pope
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    Mi piace tutto il componimento anche se non sono granché appassionata di mitologia (il liceo forse me l'ha fatta venire a noia), quindi è il nocciolo che m'interessa. E adoro la frase "Ciò c’ha a esser, convien sia".
     
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    Trovato questo articolo molto interessante:

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    Trascrizione:

    CITAZIONE
    Mette al mondo nove figli, vive nell’ombra, muore giovane: Clarice Orsini, ‘rosa spinosa’, fa’ di tutto per essere una buona moglie per Lorenzo de Medici. Che non la ama, e anche durante le sue gravidanze, continua a comporre sonetti d’amore per Lucrezia Donati. Ma la rispetta: nessuna amante prenderà mai il posto della consorte. Neppure Firenze la ama, come succederà dopo di lei alle altre spose forestiere sbarcate per impugnare il talamo più ambito della città. Ma Clarice sa stare al suo posto, è donna di buon senso, religiosissima, di una moralità castigata: non brilla, ma non è per questo che è stata importata da Roma. Deve dare una discendenza al casato di Cosimo pater patriae, dell’astro nascente Lorenzo, ed è quel che farà: i suoi fianchi robusti saranno generosi di figli. Ma soprattutto, la sposa romana deve rispondere alle ambizioni della famiglia: il suo nome è il trampolino che lancia la stirpe toscana lontano dalle rive dell’Arno, aprendo la strada ai due Papi Medici.
    [...]

    Tutto qui: Clarice, la rosa nell'ombra
     
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