Il cibo e la tavola nel Rinascimento

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    Alcuni lo preparano in casa; in questo caso il pane deve essere rigorosamente cotto nel forni pubblici allo scopo di permettere alle autorità di controllare, attraverso il consumo di ogni famiglia, le possibilità economiche di ognuno e procedere così alla tassazione.

    La finanza! Che poi mi sa che ancora i nostri nonni o almeno bisnonni dovevano andare a cuocere il pane altrove, ma non tanto per il fisco quanto perché non tutti avevano il forno o il camino (almeno credo)

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    Aahahahahah non so da me è un piatto che ancora si cucina e di solito si fa per la cena del Natale , da me si chiama "stracciatella" non ho idea se si usi anche in altre regioni, comunque in Toscana i piatti a base di pane raffermo abbondano. A parte la minestra di pane e cavolo nero, mettiamo il pane anche nella minestra di fagioli per esempio e poi c'è la famosa "panzanella" che a me non piace, però è un piatto della tradizione.

    Da me la stracciatella è un'altra roba, una specie di brodino con le uova sbattute e il formaggio che detto così pare una schifezza ma in realtà è buono XD comunque il pane raffermo il mio nonnino lo usa eccome, però non grattugiato. Diciamo che si ingegna XD
     
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    Btw studiacchiando alcuni dispacci di un ambasciatore fiorentino presente in Spagna ho scoperto che in Spagna l'ananas e il cocco erano frutti molto apprezzati e venivano importati in grosse quantità! In più l'ambasciatore scrive che l'ananas ha un gusto tra quello della fragola e quello del melone, sto pensando veramente che i sapori da 500 anni a questa parte siano cambiati totalmente .
     
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    In più l'ambasciatore scrive che l'ananas ha un gusto tra quello della fragola e quello del melone

    wtf???

    Ma ananas e cocco sono arrivati in Europa diciamo relativamente presto dopo la scoperta dell'America? Perché ad esempio il cacao a quanto pare ci ha messo un po', nonostante Colombo ne abbia avuto un po' in *regalo* poi pare che solo Cortes l'abbia veramente importato. Sarebbe bello sapere quanto c'hanno messo a capire che farci XD
     
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    Senti la lettera è degli inizi del '500 quindi penso che siano arrivati prestino considerando che già alla metà del secolo l'ananaZ *come la chiama l'ambasciatore* era già in auge nella corte del granduca de' Medici , per il cioccolato è un dubbio atroce, anche se nelle tavole dei nobili pareva non mancare, ma forse era un po' la novita come per noi quei fritti stile litchi che non sappiamo mai come mangiare.
     
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    Poteva mancare il formaggio di Da Vinci?

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    lnZr9fx

    Ieri 9 marzo, presso Gambero Rosso, Città del Gusto di Torino, il Distretto del Novese, raggruppamento di comuni dell'alessandrino, ha presentato in una divertente iniziativa enogastronomica, uno Speed Date votato ai prodotti tipici del territorio, alcune “chicche” su cui val la pena di soffermarsi. Prima tra tutti il formaggio Montébore.
    Ci è stato raccontato dai rappresentanti dell’azienda, l’agriturismo Vallenostra, che la storia del formaggio incontra nel passato addirittura la figura del genio fiorentino Leonardo da Vinci.

    Leonardo da Vinci fu cerimoniere di un nobile matrimonio tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza, nipote di Ludovico il Moro, dove in tavola venne portato come unico formaggio, una delizia prodotta nella provincia di Alessandria a Montebore, frazione del paese di Dernice, in Val Curone. Proprio il formaggio Montébore.

    [...]

    La storia di questo formaggio rarissimo è molto più antica e la si fa risalire dell’arte casearia dei monaci dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Vendersi, sul Giarolo, il monte attorno al quale si sviluppano le tre Valli Grue, Curone e Borbera, già fra il IX e l’XI secolo.
    Ha la caratteristica forma a tronchi di cono dai diametri rastremati verso l'alto e sovrapposti concentricamente, detta "a castellino" e simile ad una torta nuziale.
    Esportato per secoli in Liguria e Lombardia, questo formaggio ha conosciuto un periodo di abbandono fino a pochi anni addietro, quando è stato riscoperto grazie anche all'interessamento di Slow Food.
    Questo è un formaggio a latte crudo dalla forma unica, composto al 75 % di latte vaccino di razza tortonese e al 25 % di latte ovino di razze miste. Il sapore antico del Montebore può essere gustato fresco, semi-stagionato (15 giorni) o da grattugia.
    A oggi l'unico caseificio che lo produce, e che ne è presidio Slow Food, è l'agriturismo di Vallenostra, che a tal proposito da la possibilità di adottare una pecora per incentivare la produzione di questa delizia:
    www.vallenostra.it/adoz…/adotta_pecora_montebore.html, inoltre sul sito troverete delle ricette deliziose da preparare con questo pezzetto di storia gastronomica piemontese!

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    A parte che pare una torre di Babele ed è perciò bellissimo, mi piacerebbe davvero assaggiarlo anche se mi pare di capire che sia una specie di ricotta salata ?
     
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    Sì poi nell'articolo c'è una foto dell'Interno e pare una specie di Asiago? Camoscio d'oro? (io AMO il camoscio d'oro)
    Comunque voglio assaggiarlo e pure adottare una pecora.
     
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    Di recente ho letto due cose che mi hanno lasciato MEH allora :
    - alle vedove che dovevano rimanere caste era vietato mangiare qualsiasi cosa fosse POLLAME secondo la società rinascimentale il pollo in ogni sua forma era afrodisiaco e scatenava gli istinti tipo OSTRICHE insomma.
    - Il nostro amato caffè non arriva dalle Americhe ma dal Medioriente e lo importa Venezia per la prima volta , pare che i veneziani ne facessero grande uso già nei primi decenni del '500.
    - Le patate all'inizio quando vennero scoperte erano viste malissimo in Europa , non ricordo il motivo ma non piacevano a nessuno e le coltivavano solo j contadini più poveri .
    - ah tutti i volatili erano un cibo considerato nobile perché ovviamente veniva dal'alto mentre le rape un cibo per contadini brutti e cattivi.
    Ho trovato queste notizio nel
    Primo volume sulla storia del matrimonio e della famiglia in età moderna di qualche tedesco di cui non ricordo il nome #vaicosi
     
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    - Le patate all'inizio quando vennero scoperte erano viste malissimo in Europa , non ricordo il motivo ma non piacevano a nessuno e le coltivavano solo j contadini più poveri .

    Ahahah non avevano capito niente, potessi mangiare solo insalata di patate a vita sarei prontissima!

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    - ah tutti i volatili erano un cibo considerato nobile perché ovviamente veniva dal'alto mentre le rape un cibo per contadini brutti e cattivi.

    In effetti doveva esserci una spiegazione per questo spopolare di volatili, pensavo fosse una questione "estetica" (facevano molta scena per come venivano serviti).
     
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    Si pure io pensavo fosse per estetica , però pare che tutta la preferenza per i volatili sia nell'associarsi al loro essere più "nobili"della verdura XD
    A me la storia delle vedove a cui era vietato il pollo ha fatto senso direi , cioè non sono riuscita a capire la ragione del perché il pollo venisse visto così male .
     
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    Forse perché è un volatile che non vola? o_O però se ci pensi all'epoca non erano neanche imbottiti di ormoni, se sapessero come sono messi i polli adesso allora sì che non li farebbero mangiare a nessuna donna lol
     
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    Ahahahaha bannati a vita dalla dieta! Comunque non so magari si rifà a qualcosa del bestiario medievale.
     
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    La cucina nella Napoli aragonese
    Quando mangiavamo anche i gatti


    Un libro fa luce sulla figura di Ruperto de Nola, misterioso cuoco che conquistò la corte catalana


    «Prenderai un gatto grasso, lo sgozzerai, poi quando è morto gli taglierai la testa e la eliminerai perché non si deve mangiare in quanto si dice che chi mangia il suo cervello potrebbe perdere il senno. Poi scorticalo bene, squartalo, avvolgilo in una tela di lino e sotterralo per un giorno e una notte, prendi dell'aglio e metti il gatto ad arrostire su uno spiedo...». Non sapremo mai se il gato asado fosse tra le portate servite nella fatale cena del 13 agosto 1486 a Castelnuovo, quella nel corso della quale il re Ferrante I fece fuori i Baroni congiurati contro di lui. Sappiamo però che l'autore di questo (e di altri assai meno macabri banchetti) potrebbe essere stato Ruperto de Nola, cozinero al servizio degli Aragonesi a Napoli: sulla cui misteriosa figura fa finalmente luce il saggio di Antonella Laudisi, curatrice del Libro de guisados, manjares y potajes (letteralmente, libro degli stufati, delle vivande e delle minestre) riproposto in traduzione, ricettario originale e «modernizzato» (dallo chef Maurizio Piancastelli), nonché completato dalla ristampa anastatica dell'edizione del 1529, quella tradotta in lingua castigliana dal'originale catalano (Lo Llibre de Coch). Luce necessaria, perché di Ruperto, benché famosissimo all'epoca sua (con un pizzico di spagnolesca esagerazione, gli ispanici sostengono che il di lui ricettario fosse più diffuso della Bibbia), poche e contraddittorie notizie sono giunte fino a noi. Difficile stabilire con esattezza, oltre alle teste coronate cui effettivamente rallegrò la tavola, anche il luogo di nascita.

    DAMNATIO MEMORIAE - Come per Cristoforo Colombo, gli spagnoli dicono Spagna, gli italiani Italia. I nolani, Nola, visto il decisivo riferimento geografico del nome. Ma, sia si trattasse di una gloria locale, sia d'un campano ispanizzato (scriveva in catalano) alla corte del re Ferdinando di Napoli, è adesso certo che la sua cucina rappresenta l'anello mancante della gastronomia partenopea, il primo d'una triade comprendente dopo di lui il «cuoco galante» Vincenzo Corrado e il duca di Buonvicino, Ippolito Cavalcanti. Ma se gli ultimi due fanno parte (o almeno dovrebbero) del patrimonio storico-culinario del Mezzogiorno, non altrettanto noto è il contributo di Mestre Ruperto alla nostra cultura gastronomica: forse in questa damnatio memoriae giocò un ruolo non secondario il sentimento di estraneità dei napoletani verso gli Aragonesi, sempre visti come stranieri e conquistatori a differenza degli amati e coccolati Angioini. Ma è indubbio che con la casata d'Aragona la cucina (e in generale tutta la cultura) partenopea si apre al nuovo, entrando a pieno titolo nello sfarzoso e internazionale clima rinascimentale; e alla precedente impronta francese si aggiunge e sovrappone quella spagnola, con tutte le speziate influenze della dominazione araba.

    INNOVAZIONI ARAGONESI - Ruperto (anche se la sua cucina era ovviamente quella di corte; il popolo sarebbe restato ancora a lungo quello dei mangiafoglie e dei mangiamaccheroni) fu dunque un innovatore, e come tale non sempre apprezzato anche da intellettuali come il Sannazaro, pronto in un suo celebre gliuommero a condannare i «pasticci alla moderna» introdotti dagli Aragona e a rimpiangere la sobrietà angioina. Del resto, è destino degli innovatori non essere (sùbito) apprezzati dai palati pigri: e le ricette di Ruperto, a base di salse, brodi, zuppe e preparate secondo sofisticate tecniche allora sconosciute ai più dovevano fare pressappoco lo stesso effetto della minestra destrutturata o della paella Kellogg's con cui Ferran Adrià (un altro di lingua catalana, come Ruperto!) mezzo milennio dopo scandalizzerà il mondo e scriverà una nuova, gloriosa pagina nella storia della cucina.

    corriere del mezzogiorno
     
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    Le pietanze del banchetto nuziale (1517) di Bona Sforza, molte delle quali specialità pugliesi del tempo:

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    L' incipit del banchetto è dato da un antipasto dolce, la "pignolata", dolce composto di pinòli, farina e zucchero. Ingredienti questi che all' inizio del XVI secolo si trovavano esclusivamente in Puglia. La seconda portata, il "salaceterbolco", una composta di uova di cefalo fresco, salate, pigiate tra due assi e seccate al sole, è un piatto di marca pugliese. Come testimonia un ricettario barese coevo, il "salaceterbolco" si produceva al tempo degli Svevi soprattutto nella zona del lago di Lesina. I baresi erano maestri anche nell' arte di preparare la "jelatina", un brodo grasso rappreso, condensato e raffreddato, che appare nella terza portata. Altra specialità meridionale sono le "pizze sfogliate", della settima portata. Si tratta di "lasagne verdi" che, come tramandano autori greci fra cui Ateneo, si preparavano a Taranto. La città pugliese era famosa in tutto il Mediterraneo per questa pasta ottenuta dall' impasto con farina, lattuga tritata, grasso di maiale e pepe. Il sapore delle paste alimentari pugliesi torna anche nella dodicesima portata: "lo arrusto salvaggio et strangolapreiti". Gli "strangolapreiti", sono l' equivalente, secondo "Il libro della cocina" risalente al XV sec., dei baresi "affucaprèviti seu menuèi", ossia gli odierni "megneuìcchje." Altra specialità barese servita durante la diciassettesima portata sono le "pizze bianche", particolarmente gradite da Bona, di cui le monache di Santa Scolastica erano abili confezionatrici. Ghiotto e gradito contorno del banchetto sono le olive pugliesi. La Puglia accompagna il banchetto nuziale di Bona dall' inizio, alla fine, cioè dagli antipasti al dolce della ventottesima portata, "nevole et procassa". Il termine "nevole", voce dell' area pugliese e siciliana, derivante dal latino medioevale "nebula", indica una composizione in fior di farina. Le "nevole" corrispondono alle odierne baresi "carteddate", confezionate con farina, vino bianco e olio.

    repubblica

    Per chi non conoscesse le nevole/cartellate:

    TcTYstg
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    Ricostruita la dieta dei Medici e degli Aragonesi

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    Una dieta ricca di carne con un apporto di circa il 30% di pesce e poi uova, formaggi e poche verdure: era questa l'alimentazione di Medici e Aragonesi, vissuti fra '400 e '500. Lo ha scoperto uno studio condotto da più gruppi di ricerca coordinati dalla Seconda Università di Napoli e dal Centro Circe di Caserta, dall’università americana del Minnesota e dall'università di Pisa.

    Sono stati studiati i resti di 45 persone (compresi molti bambini), fra cui Ferrante I d'Aragona, Re di Napoli, Ferrante II d'Aragona re di Napoli, la Granduchessa Eleonora di Toledo, il Granduca Ferdinando I.

    Per determinare il tipo di alimentazione delle due famiglie sono stati esaminati i rapporti fra gli isotopi (atomi di uno stesso elemento chimico ma con differente numero di massa) di carbonio e azoto.
    E' emerso così che ''entrambe le famiglie assumevano molta carne e quantità più limitate di pesce e verdura, in linea con le tradizioni alimentari dell'epoca che erano influenzate e condizionate dalla classe sociale'', osserva Carmine Lubritto della Seconda Università di Napoli e del Centro Circe di Caserta, che ha coordinato il lavoro sugli isotopi con lo statunitense Arthur Aufderheide dell'università del Minnesota. Per la Seconda Universita' di Napoli hanno partecipato anche Carmina Sirignano e Paola Ricci.

    Per gli Aragonesi, che vivevano più vicini al mare, il pesce costituiva il 30-40% della dieta, mentre per i Medici era compreso fra il 20-30%. Il resto della dieta era costituita da carne (prevalentemente) e poi uova, formaggi e pochi vegetali.
    La presenza del pesce nella dieta di queste famiglie, prosegue Lubritto, ''e' giustificata dal fatto che queste persone erano molto osservanti e, seguendo i dettami della Chiesa, non mangiavano carne per circa un terzo dell'anno''.
    Per quanto riguarda i bambini lo studio mostra che lo svezzamento avveniva intorno all'età di 2 anni.

    ansa
     
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30 replies since 11/3/2013, 21:25   6818 views
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