Il cibo e la tavola nel Rinascimento

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    La tavola medievale eredita da quella romana l’uso della tovaglia e della credenza, ma è assai povera di utensili. Mancano i bicchieri e il coltello resterà per molto tempo l’unica posata che i commensali possono usare in comune. Il Rinascimento conserva l’uso della tovaglia e recupera nuovi materiali per le stoviglie come la maiolica, spesso decorata, e il vetro. Gli invitati più illustri del banchetto rinascimentale hanno bicchieri individuali ma non usano posate. Il vasellame non è tuttavia collocato a tavola: è posto su un’apposita credenza dove boccali d’argento, bicchieri di vetro, saliere preziose, candelieri, taglieri, bacili per mani e oggetti ornamentali fanno bella mostra di sé sottolineando la ricchezza dell’ospite. Quest’uso continua nel secolo seguente [...]

    A partire dal Rinascimento l’uso della tovaglia e dei tovaglioli sarà sempre legato a eventi conviviali di rilievo, ma anche, sempre più, alla vita quotidiana. Fin dall’antichità l’uso di mangiare con le mani aveva reso necessario l’impiego di tessuti adatti ad asciugarsi le mani dopo averle bagnate con acqua. Nel Medioevo questi erano spesso condivisi tra due commensali, ma già nel Cinquecento si fa strada l’idea che il tovagliolo debba essere individuale e che debba essere usato propriamente e non imbrattato in modo indecoroso. Nel Cinquecento e nel Seicento il tovagliolo assolve un compito ornamentale con piegature spettacolari codificate nei trattati, ma dal secolo successivo esso dovrà essere tassativamente collocato sulle ginocchia assumendo la sola funzione di preservare l’abito. [...] Con tutto ciò, l’iconografia del tempo presenta insistentemente tavole del tutto sguarnite di tovaglioli (8), che gli storici ci dicono venissero comunemente rimpiazzati dalle tovaglie; il commentatore delle Cronache del Monferrato di Galeotto del Carretto (9), descrivendo il banchetto tenutosi nel 1368 per le nozze di Violante Visconti, parla di due tovaglie stese sopra la tavola, la più pesante ricadente sino a terra, con sopra la più leggera che “servirà ai commensali per asciugarsi la bocca e le mani”.
    Anche questa era una novità venuta d’Oltralpe, dove la chiamavano longiere (o longuiere), e in genere non era una tovaglia nel senso proprio della parola, ma una striscia di tessuto più stretta della tavola e stesa per il lungo sopra la tovaglia, dal lato occupato dai commensali (10). Una testimonianza fra le più chiare ci viene offerta da Dieric Bouts nell’Ultima Cena della chiesa di S. Pietro a Lovanio (1465 circa), dove le longuieres, che percorrono i quattro bordi della tavola, sono due: se ne individuano i capi sull’angolo della mensa in basso a destra, e mentre la prima si stende verso il secondo piano, la seconda ricade a festoni tra i personaggi girati di schiena in primo piano, poi segue l’angolo a sinistra e va presumibilmente ad incontrare l’altra alla destra del Cristo. [...]
    Così ciascun invitato trovava al proprio posto (o posta, da cui viene il termine posata) un tovagliolo ripiegato che ricopre quanto gli è destinato: le posate, una pagnottina e i dolcetti da inzuppare nell’aperitivo di malvasia. Ecco da dove deriva l’odierno termine “coperto”, che andò diffondendosi in Francia a partire del sec. XVI (12). Una volta scoperto il pane e tutto il resto, il tovagliolo veniva parzialmente spiegato e deposto accanto al piatto, oppure appoggiato sulla spalla, alla maniera degli scalchi e dei trincianti, o addirittura sulle due spalle e attorno al collo come una stola (13). [...]

    Conosciuto e diffuso già nel mondo antico, il piatto poteva essere prodotto nei materiali più vari, dal vetro al legno, dal coccio al cristallo fino alla terracotta, materiale estremamente comune; sulle mense più ricche potevano esserci anche piatti d’oro o d’argento incastonati di pietre preziose. La focaccia era sovente usata con simile funzione, infatti su di essa si servivano le pietanze, uso che sembra perdurare anche dopo la fine dell’impero romano. Nel Medioevo si diffusero prevalentemente piatti fabbricati in legno, che assunsero forma rettangolare o tonda. Non sempre tali contenitori erano individuali, era anzi frequente che nei banchetti fossero condivisi da due commensali. Nel corso del Rinascimento s’impone il gusto per il piatto in maiolica, in peltro, in oro e in argento, non solamente in qualità di oggetto funzionale ma anche come pretesto per finalità decorative. Con l’affermarsi delle regole dell’etichetta nasce in quest’epoca un nuovo concetto di rispetto fra i commensali e con esso l’idea che ciascuno debba mangiare in un piatto individuale.
    [...]
    Nonostante la presenza dei trincianti, incaricati del taglio della carne, spesso nei banchetti del Rinascimento ognuno portava il proprio coltello personale e talora anche il proprio cucchiaio. Entrambi venivano posti sulla tavola e proprio da questo gesto deriva la parola “posata”. Nel Cinquecento si affaccia l’idea che il commensale di buone maniere debba prendere un certo distacco dal cibo, diverso rispetto alle epoche precedenti, e la posata assume per questa ragione una funzione nuova e rilevante, sancendo la fine dell’usanza di afferrare il cibo con le mani. Questo processo culminerà con il Settecento, quando accanto al coltello e al cucchiaio verrà posta anche la forchetta, fino ad allora relegata prevalentemente in cucina. [...] Assenti dalle cronache conviviali trecentesche, le forchette vengono sovente menzionate negli inventari post mortem o nuziali come quello di Valentina Visconti sopra ricordato, confuse tra un gran numero di argenti destinati all’altare, alla tavola o alla credenza di mostra (6). E’ una posata che troviamo non solo sulle tavole dei nobili ma anche alla mensa di due borghesi come Noddo e Giovanni Cascio che, nella novella di Franco Sacchetti, se ne servono per disputarsi i maccheroni serviti bollenti e fumanti sul tagliere che usano in comune (7). Presenta due soli rebbi all’estremità di un esile gambo e viene usata per portare alla bocca ogni cibo caldo e umido, come nel caso dei maccheroni che difficilmente si potrebbero afferrare con le dita.

    Note e testo intero qua!
    (Silvia Malaguzzi - Il cibo e la tavola – Dizionari dell’arte – Electa)

    Edited by ‚dafne - 7/9/2016, 12:20
     
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    Menu di una cena a Ferrara nel 1510, in onore di Prospero Colonna:

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    Dopo che i convitati si sono lavate le mano con acque di rose in coppe d'argento, vengono portati in tavola pane di latte, ciambelle biscotti, marzapani, pinocchiate, insalata, cannelloni alla crema, sfogliate, acciughe, capperi, asparagi, gamberi, latte di storione allo zucchero, aranciata e vini, dal moscatello al trebbiano al vino dolce frizzante. A questo punto i convitati si lavano di nuovo le mani con acqua di rose cui è stata mescolata della cannella, e passano ai secondi, che sono lucci, storioni, anguille e altri pesci lessati in salsa verde. Vengono poi le fritture di lucci, tinche, storioni, trote, carpioni, accompagnati da finocchi, olive, pomarance, ossia arance e limoni. Poi è la volta di una zuppa all'ungherese e delle crèpes e dei ravioli e perfino, una minestra al limone. Un attimo per riprendere fiato, ed ecco irrompere in tavala i lucci alla gelatina, lo storione arrosto, poi rane fritte, tortelli alla lombarda e una zuppa di anguille, e poi altre crèpes, uova ripiene. Un attimo e poi giungono le specialità allo spiedo, ossia anguille grosse, frittata ostriche, caviale, pesci persici, altre frittate alla verdura, ma non basta, incedono, recate dai camerieri alte che tutti le possano ammirare, schiacciate di riso, nastri dolci fatti con sfoglia tagliata a strisce, castagne lesse e poi ostriche, calcinelli, costracei e varie specialità marinare. Ancora acqua di rose per le mani e poi mele, pere, formaggi di Piacenza, mandorle, uva passa, zibibbo, castagne secche, frutta cotta, confetture allo sciroppo, pere moscardine alla glassa, pesche sciroppate, cedro candito, pinoli, nocciole, anici alla confettura, il tutto fra suoni di liuti, di viole e di cornette, mentre una volta tanto Lucrezia in onore di don Prospero, rinuncia a farsi leggere le solite letture sacre e ammette che cantoni intonino salmi con voce grave.

    fonte: ladyreading

    Altri menu rinascimentali:

    CITAZIONE
    Sfogliata di vitella
    Ravioli con ripieno di parmigiano
    Salsa di erbe aromatiche, sfogliata di salmerino
    Polli variopinti
    Selvaggina al pepe
    Crema di piselli
    Crema di fichi
    Crema di amarene
    Tortino di riso
    Torta di pere
    Torta all’inglese

    CITAZIONE
    Rognoni di vitello su crostini
    Tortellini con ripieno di maiale
    Zuppa di funghi
    Pesce in brodetto
    Agnello macinato
    Riso gratinato
    Cavolo alla romanesca
    Rotolo di datteri

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    Edited by ‚dafne - 3/5/2013, 12:43
     
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    Ho trovato il menù del pranzo di nozze di Maddalena Gonzaga e Sforzino !

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    La prima portata, di aperitivo, era sempre dolce, mentre le successive mescolavano il salato ed il dolce : "Prima c'era la colazione di confetti , pasta reale (pan di spagna), pignocate (torte di pinoli) , biscottini e cialdoni di zucchero fino con malvasia moscatella." La seconda portata comprendeva : "latticini, fegato di porco, fegatelli di pollo, oche , tordi, quaglie, tortore, prosciutti con vino bianco e vermiglio dolce" E così via alternando carni e pesce con salse salate e dolci, fino ai dolcetti portati in tavola . dopo essersi lavati le mani alla tredicesima imbadigione (portata) : "pinoli, mandorle, anici, coriandoli grossi e piccoli con vino rosso"

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  4. marie.
     
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    Iih grazie! Ma allora è proprio vero che partivano col dolce... mamma mia. E' vero che sono della scuola del "ma tanto lo stomaco che ne sa", però il dulcis va in fundo, checcavolo.
     
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    Si ma questa cosa del prima il dolce e poi il salato non la capisco, ma vogliamo parlare di questa portata :

    CITAZIONE
    latte di storione allo zucchero

    Lo storione non è un pesce ?? Ma che schifo era ? Con tutto il rispetto, ma adesso capisco perché al quarto posto come causa di morte ci sta il verme dello stomaco !
     
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  6. marie.
     
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    Ahahahahahah non ci avevo mica fatto caso! Non trovo spiegazioni ma è anche in questo menu estense:

    CITAZIONE
    Il festino allestito a Belfiore nel 1529 e voluto dall’arcivescovo di Milano, Ippolito d’Este, in onore del fratello Ercole e di Renata di Francia offre un’idea della creatività di Cristoforo: gli invitati furono condotti in sala da musici e ballerini che continuarono ad esibirsi mentre gli illustri ospiti si lavavano le mani e cominciavano a consumare le insalate. Le portate includevano pastelli di trote, uova sode alla francese, latte di storione, orate, pizze alla catalana, milze di luccio, minestra d’amido, piccoli pesci del Po, storione lesso, pesci fritti conditi con succo d’arancia, cannella e zucchero, pastelle di anguille, lucci fritti coperti con confetti di anice, fette di storione cotte sulla brace e quindi insaporite con prezzemolo e potacchio di seppie alla veneziana; il tutto alternato a danze, concerti e rappresentazioni teatrali. Al termine, una musica polifonica con sei voci diretta da Alfonso della Viola pose fine a questo pranzo “privato” il quale, proprio perché riservato a pochi intimi, mostra tutta la raffinatezza raggiunta dalla famiglia estense.

    E continua con la figura del trinciante:

    CITAZIONE
    Accanto alla figura dello scalco, nei trattati del Cinquecento, molto attenti alla forma e ai rituali cortesi, viene nominato il trinciante. Si trattava di un nobile, quindi non un vero e proprio servitore, preposto al taglio delle carni, del pesce e della frutta. Se nel Medioevo quest’azione era riservata al signore perché percepita come una manifestazione di forza, nel Rinascimento cominciò ad essere considerata potenzialmente offensiva nei confronti degli ospiti, dal momento che veniva considerato quantomeno poco opportuno il maneggiare armi durante feste e banchetti. Nel 1520 Giovanni Francesco Colle scrisse il Refugio del povero gentiluomo, dedicato proprio al trinciante, esponente della nobiltà decaduta e impoverita, ma non un suddito o un servitore comune. Questa figura doveva qualificarsi come un vero e proprio cortigiano, capace di dissimulare la perizia tecnica sotto il garbo e la naturalezza, in grado di svolgere un vero e proprio rituale quotidiano che prevedeva riverenze, una postura dritta, un’espressione lieta del volto, non deformato da alcuna smorfia. In più, nello svolgimento delle proprie funzioni, il trinciante doveva ragionare con il principe riguardo agli alimenti e ai loro effetti sul corpo umano, mostrando di intendersi sia di medicina che di filosofia.

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    Nel 1520 Giovanni Francesco Colle scrisse il Refugio del povero gentiluomo, dedicato proprio al trinciante, esponente della nobiltà decaduta e impoverita, ma non un suddito o un servitore comune. Questa figura doveva qualificarsi come un vero e proprio cortigiano, capace di dissimulare la perizia tecnica sotto il garbo e la naturalezza, in grado di svolgere un vero e proprio rituale quotidiano che prevedeva riverenze, una postura dritta, un’espressione lieta del volto, non deformato da alcuna smorfia. In più, nello svolgimento delle proprie funzioni, il trinciante doveva ragionare con il principe riguardo agli alimenti e ai loro effetti sul corpo umano, mostrando di intendersi sia di medicina che di filosofia.

    In pratica ti serviva una laurea per tagliare due fette di carne ! Comunque doveva essere un grande onore, ma d'altronde Castiglione ha scritto il Cortegiano non per niente, perciò penso che tutto ciò che riguardasse la corte dovesse seguire i protocolli della grazie e della SPREZZATURA XD


    CITAZIONE
    pesci fritti conditi con succo d’arancia, cannella e zucchero

    Vogliamo parlare pure di questa cosa ?? Io non sono un amante di queste sperimentazioni dolci/salate , però mia zia ha un libro di cucina sull'antica roma e anche loro utilizzavano moltissimo sapori dolci mischiati al salato. E' vero che con la scoperta delle Americhe sono arrivate altre spezie però dovevano anche costare molto...un banchetto di questa portata non voglio pensare a quanto possa aver ammontato in fatto di spese !
     
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  8. marie.
     
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    In uno dei tanti libri su Enrico VIII che mi sono dilettata a divorare nel corso degli anni ho letto di sprechi spaventosi, perché le portate erano moltissime (non poteva essere altrimenti perché bisognava mostrare opulenza) ma difficilmente la gente le terminava, il che significava che troppa roba andava buttata se non poteva essere riproposta per altre vie. Lessi anche che in Inghilterra bevevano solo vino e non acqua, non so se valesse anche qua.
     
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    Penso che valga anche qua credo ! Credo che l'acqua fosse considerata troppo "povera" proprio per quel discorso che facevi tu sull'opulenza ...! Io però sapevo anche che alcuni avanzi venivano dati ai poveracci di strada ?
     
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  10. marie.
     
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    Non so se si facesse di solito, però al matrimonio di Lucrezia li lanciavano dal balcone XD che schifo
     
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  11. lucrezia97
     
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    È riferito al medioevo, ma credo che anche nel rinascimento bevessero le stesse cose:

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    In epoca moderna l'acqua rappresenta una scelta comune per la bevanda con cui accompagnare un pasto. Nel Medioevo invece, le preoccupazioni riguardo alla sua purezza, le raccomandazioni mediche e il suo scarso prestigio la rendevano una scelta di secondo piano e le bevande alcoliche venivano sempre preferite. Erano infatti considerate più nutrienti e migliori per favorire la digestione rispetto all'acqua, inoltre avevano l'ineguagliabile pregio, grazie al loro contenuto alcolico, di essere meno inclini a guastarsi ed andare a male. Ilvino veniva consumato quotidianamente nella maggior parte della Francia e in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo dove si coltivava lavite. Nei paesi del nord era la bevanda preferita dalla borghesia e dalle classi elevate che potevano permetterselo, ma molto meno comune tra i contadini e la classe lavoratrice. La bevanda della gente comune nei paesi nordici era labirra. Data la difficoltà di conservare a lungo questa bevanda (specialmente prima dell'introduzione del luppolo) veniva per lo più consumata fresca; era quindi meno limpida rispetto alle birre moderne ed aveva un contenuto alcolico minore.

    Il latte non veniva bevuto dagli adulti, tranne i poveri e i malati ed era riservato a bambini ed anziani. Era comunque molto meno diffuso degli altri prodotti caseari per la mancanza di tecnologie che gli impedissero di andare a male in fretta.[72]

    Alla pari del vino sin dall'antichità si preparavano succhi con diversi frutti ebacche, che venivano consumati anche durante il Medioevo: il vino dimelograno e di more e il sidro di pere e di mele erano popolari soprattutto nei paesi nordici dove questi frutti crescevano abbondanti. Tra le bevande medievali sopravvissute fino ai giorni nostri si ricorda il prunellé , fatto con le prugne selvatiche (attualmente chiamato slivovitz). Nei ricettari medievali si trovano molte varianti per preparare l'idromele, con o senza contenuto alcolico. Tuttavia, questa bevanda a base di miele diventò meno popolare verso la fine del periodo e finì per essere relegata ad uso medicinale.[73] L'idromele è stato spesso rappresentato come la bevanda d'elezione delle popolazioni slave: questo era vero solo in parte perché l'idromele rivestiva un grande valore simbolico, specialmente nelle occasioni più importanti. Quando concludevano trattati o importanti affari di stato spesso offrivano idromele come dono cerimoniale. Si usava comunemente anche in occasione di matrimoni obattesimi anche se in piccole quantità a causa del suo costo elevato. Nella cultura polacca aveva lo stesso statusdi lussuosi beni di importazione come vino e spezie.[74] Il kumis, bevanda ottenuta dalla fermentazione del latte dicavallo o di cammello di origine asiatica, era conosciuto anche in Europa ma, come l'idromele, era consumato soprattutto se prescritto dai medici.[75]
     
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    il vino dimelograno e di more e il sidro di pere e di mele erano popolari soprattutto nei paesi nordici dove questi frutti crescevano abbondanti. Tra le bevande medievali sopravvissute fino ai giorni nostri si ricorda il prunellé , fatto con le prugne selvatiche (attualmente chiamato slivovitz).

    Il vino di melograno vorrei assaggiarlo , anche se suppongo sia tipo il succo con alcol dentro , comunque questo tipo di bevande mi ricordano Game of Thrones XD
     
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    La cucina moderna affonda le sue radici nel Quattrocento e nel Cinquecento per le novità che arrivano dal Nuovo Mondo e che cambiano e arricchiscono le tradizioni popolari.. Nasce in questo periodo il gusto per la presentazione dei piatti. Sulle tavole delle famiglie più ricche compaiono le minestre preparate con brodo o latte, riso e cereali, mentre le carni più pregiate sono selvaggina e pollame.

    E' di questo secolo l'abitudine di avvolgere le carni in croste di pane. Inoltre alla fine del Quattrocento compaiono le paste "all'italiana". Maccheroni e vermicelli conditi con uvette oppure con burro e sale, e le prime paste ripiene, antenate dei tortellini. Compare anche, ma solo nelle case dei nobili, il cioccolato.

    Come sempre l'attività della giornata delle persone più umili, anche nel Rinascimento, è regolata dalla luce del Sole; ci si alza presto, svegliati dalla moglie o dalla madre che sono già in piedi da tempo. La sera quando tramonta il sole, la giornata si conclude a tavola, imbandita diversamente a seconda del reddito della famiglia che vi si siede attorno. Prima di lasciare la casa per andare a lavoro viene consigliata una colazione a base di una fetta di pane e mezzo bicchiere di vino.

    Questa è la regola dei poveri che nell'arco della giornata devono consumare altri due pasti: il pranzo, la "commestio", verso le undici, e la cena, il "prandium", subito dopo il tramonto. Generalmente la cena è più lunga perchè le persone dopo il lavoro sono più libere e possono passare più tempo a tavola con i familiari.

    A quell'epoca la cena del popolo povero è molto sobria ed è composta da pane, verdure, marmellata e frutta, oltre che da fave, farinata di miglio e di castagne. Le erbe che usano i poveri sono molto spesso usate anche da conservanti; infatti con queste erbe si possono cucinare anche piatti che possono durare più di un giorno.

    Qualche uovo pùo arricchire la cena ma spesso diventa piatto unico quando fritto. Il pane è sempre senza sale perché il sale è molto costoso e difficile da trovare, specie se si è poveri. Il pane, che è alla base della dieta dei poveri, da questi ultimi viene mangiato da solo, mentre i ricchi lo usano come base per appoggiare gli arrosti.

    Alcuni lo preparano in casa; in questo caso il pane deve essere rigorosamente cotto nel forni pubblici allo scopo di permettere alle autorità di controllare, attraverso il consumo di ogni famiglia, le possibilità economiche di ognuno e procedere così alla tassazione.

    Tutto questo serve anche a mantenere equo il prezzo del pane, evitando frodi e speculazioni. Purtroppo il pane viene spesso a mancare, dunque più comunemente viene offerto nelle feste o nei matrimoni. Spesso alla morte di un personaggio vi è l'usanza di distribuire il pane ai poveri, così che questi abbiano un buon ricordo di lui.

    Quando il pane è duro c'è l'abitudine di fare la "panata", una minestra a base di pane duro grattugiato, uova, parmigiano, noce moscata e sale. Sono anche molto usate la pasta e la minestra, compresi i maccheroni; nelle grandi occasioni si mangia anche la carne e il pollo e quando si uccide il maiale è usanza offrire un pò di sanguinaccio al vicino.

    Fra i poveri l'uso delle spezie è quasi inesistente a causa del loro altissimo costo. Le spezie non servono solo a insaporire il cibo, ma anche a mascherare il forte odore della carne, che di solito non è molto fresca a causa della mancanza di sistemi di conservazione degli alimenti. Le zuppe in questa epoca sono spesso a base di erbe odorifere, che possono essere bulbi, per esempio la cipolla, che rende più saporito il pranzo.

    La zuppa di cipolla, ancora molto amata, non è di origine francese come molti pensano, ma in realtà fiorentina.

    Ho trovato questo articolo sul sito del Polo museale fiorentino dove c'è una sezione riferita al cibo per via dell'arte a tavola *___* qua l'articolo e se cliccate troverete anche una sezione sui dolci nel rinascimento
     
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    Nasce in questo periodo il gusto per la presentazione dei piatti.

    Se solo avessero avuto instagram!
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    Quando il pane è duro c'è l'abitudine di fare la "panata", una minestra a base di pane duro grattugiato, uova, parmigiano, noce moscata e sale.

    Non so se vederla male o bene questa cosa! XD
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    Le spezie non servono solo a insaporire il cibo, ma anche a mascherare il forte odore della carne, che di solito non è molto fresca a causa della mancanza di sistemi di conservazione degli alimenti.

    Ouch non ci avevo pensato, che schifo :\

    Grazie Cla è interessante!
     
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    Non so se vederla male o bene questa cosa! XD

    Aahahahahah non so da me è un piatto che ancora si cucina e di solito si fa per la cena del Natale , da me si chiama "stracciatella" non ho idea se si usi anche in altre regioni, comunque in Toscana i piatti a base di pane raffermo abbondano. A parte la minestra di pane e cavolo nero, mettiamo il pane anche nella minestra di fagioli per esempio e poi c'è la famosa "panzanella" che a me non piace, però è un piatto della tradizione.

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    Alcuni lo preparano in casa; in questo caso il pane deve essere rigorosamente cotto nel forni pubblici allo scopo di permettere alle autorità di controllare, attraverso il consumo di ogni famiglia, le possibilità economiche di ognuno e procedere così alla tassazione.

    Invece questa cosa della tassazione è tipo GOD, anche se non so se fosse una pratica fiorentina o magari generica.
     
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30 replies since 11/3/2013, 21:25   6818 views
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