Borgia tra le righe.

Ho finito, Lisaveta. Mi ascolti. Io amo la vita, questa è una confessione. L’accolga e la custodisca-, non l’ho ancora fatta a nessuno. Si è detto, si è perfino scritto e stampato, che io odio la vita, o la temo, o la disprezzo o la aborrisco. Ciò mi ha fatto piacere, mi ha lusingato; ma non per questo è meno falso. Io amo la vita… lei sorride, Lisaveta, e io so perché. Ma la scongiuro, non prenda per letteratura quello che le sto dicendo. Non pensi a Cesare Borgia o a una qualche ebbra filosofia che lo esalta! Non è nulla per me, questo Cesare Borgia; non lo tengo in nessun conto; e mai e poi mai capirò come si possa venerare come ideale ciò che è aberrante e demoniaco. No, la “vita”, come eterna antitesi allo spirito e all’arte, non è una visione di sanguinaria grandezza, di beltà selvaggia, non è l’anormalità, per noi anormali. Il paese della nostra nostalgia è proprio la normalità, il decoro, la grazia, la vita in quello che ha di deliziosamente comune! E’ ancora molto lontano dall’essere artista, mia cara, colui per il quale l’ultima e più profonda esaltazione sia la raffinatezza, l’eccentricità, il demoniaco, colui che non conosce la nostalgia per ciò che è ingenuo, semplice e vivo, per un po’ d’amicizia, di dedizione, di confidenza e di felicità umana… la nostalgia segreta e struggente, Lisaveta, per le delizie della normalità…