Isabella d'Este

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  1. marie.
     
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    CITAZIONE
    Un micio per la marchesa Isabella d’Este

    Per secoli i gatti, tanto utili nel contrastare il proliferare dei topi portatori di malattie e ladri di cibo e come tali assurti a divinità al tempo degli Egizi che ben avevano valutato la loro abilità nel tenere liberi i granai da animali molesti, furono ignobilmente perseguitati dalla superstizione religiosa cristiana che li associava al demonio. La ferrarese Isabella d’Este, marchesa di Mantova, amava questi esseri tanto affascinanti, specie “quelli listati che vengono de Levante da pigliare ratti” (detti soriani perché presenti in Sorìa ovvero Siria), come scriveva in una lettera del 1495: perché ormai in Italia i gatti erano rarissimi, sterminati dai fanatici. E così i topi ballavano, “non ce lassano vivere in casa”, sospirava Isabella, che vedeva i suoi splendidi pavimenti lignei intarsiati e le tende di seta divorati dai roditori. Sapendo di questa sua passione per i gatti, i cortigiani e gli amici cercavano in tutti i modi di procuragliene. Tolomeo Spagnolo, in una missiva del 1498, racconta le buffe peripezie occorsegli a Venezia per trovare un gatto per la marchesa. Prima egli vuol far rubare un gatto che appartiene a certi frati evidentemente senza pregiudizi sui mici, ma la cosa non va in porto. Poi ammira ad un davanzale “uno bellissimo gatto suriano che havea alquanti sonagli al collo” e sembra quasi di vedere il micione con il suo elegante collarino: attratto anche dal fatto che alle finestre del palazzo osserva alcune ragazze promettenti, l’uomo batte all’uscio ma, afferma con stizza, “vennemi incontro la più brutta vecchiaza che vidi mai”, e inoltre l’anziana si rivela coriacea, non vuole mollare il suo gatto per nessuna ragione, così che Tolomeo le fa il nome altisonante di Isabella d’Este come di colei che è alla ricerca di gatti, ma anche questa mossa non funziona. Offre addirittura un ducato d’oro per il gatto, ed è così agitato per la faccenda che nello smontare dalla gondola mette un piede in fallo e rischia di cadere in canale. Ma pure il figlio della vecchia non vorrà privarsi del felino, e per il mantovano “non è lui mancho asino che la matre sia asina”. Un altro personaggio al quale Isabella richiedeva di cercarle gli amati gatti era Lorenzo da Pavia, un espertissimo liutaio e fine intagliatore di legni pregiati ed avorio, attivo a Venezia, da dove le scriveva spesso. Gli richiedeva oggetti fatti con essenze rare, e strumenti musicali che lei suonava abilmente. Lorenzo acquistava per Isabella anche oggetti di lusso di ogni genere. Da tutto il mondo arrivava a Venezia merce preziosa che trovava la via di Mantova per deliziare la raffinata nobildonna ferrarese: limoni di Rodi, carciofi genovesi, pelli di zibellino, penne di struzzo, libri dalle ricche legature, aromi esotici, cappelli di Fiandra, pietre dure, sculture antiche, scacchi arabi, porcellane, pistacchi e zenzero indiano. Il 27 novembre 1498 Lorenzo invia ad Isabella dei bussoletti (contenitori) da profumo d’ebano e legno d’olivo, ma anche un “gatesino soriano”, il più bello che è riuscito a trovare. L'animale purtroppo giungerà morto a Mantova, perché, scrive Isabella dispiaciuta tre giorni dopo, “quel tristo del nochiero lo ha lassato morire in nave, che molto n’è rencresciuto, però bisogna che di novo faciati praticha per trovarne une che sia ben machiato e bello, che ne fareti cosa grata”. Ma bisognerà attendere il 19 marzo dell'anno seguente perché Lorenzo trovi un altro felino per la marchesa. Stavolta, scrive, “ve mando una belisima gata soriana portata da Damascho et è molto piasevole. Ò fato grande diligencia per trovare dita gata che fose bela”. Il 3 agosto 1501 il fratello di Lorenzo porta da Damasco un gatto soriano, ma la povera bestiola ha sofferto per il lungo viaggio in nave ed è malconcia, quindi non viene inviata a Mantova: purtroppo un altro gatto, più ben messo, era stato rubato. Ancora nel 1501 Francesco Trevisano, un corrispondente di Isabella, ne combina una grossa. Gli viene consegnata una gatta soriana che Alvise Marcello vuol regalare alla marchesa. I Marcello appartengono alle famiglie nuove di Venezia di recente patriziato, ma vantano per tradizione un’origine risalente all'antica Roma, ed un Marcello, Nicolò, è stato doge negli anni 1473-4. Alvise è quindi un personaggio di riguardo. Ma prima che la si possa portare a Mantova “per malla fortuna essendo in amore” la micia salta giù dal balcone della casa del Trevisano e non si riesce più a trovarla. Ora lui è preoccupato, e invoca la marchesa di non far sapere la cosa a Marcello “per evitar ogni scandollo et parolle che sopra dicta gatta potesse ocorrer”, ed anzi sfacciatamente e con mille salamelecchi le chiede di scrivere a Marcello per ringraziarlo del dono in realtà mai ricevuto, così che il ricco veneziano non pensi “El mi par stranio che la Illustrissima Madona non me dagi aviso de la ricevuta gatta”. Chissà se alla fine Isabella l’accontentò. La marchesa desiderava assai più che un solo esemplare, di aver una coppia di mici da far riprodurre, e sguinzagliava i conoscenti per riuscire ad ottenere una cucciolata. E’ poi noto che molte lettere serissime e meste furono scritte per informare parenti ed amici di Isabella della morte del suo gatto preferito, Martino, deceduto nel novembre 1510 e che ebbe un solenne funerale cui parteciparono anche i cani di casa. Al dolce Martino furono dedicati tre epigrammi scritti da intellettuali come il Calandra e Mario Equicola, noto per aver a lungo vissuto a Ferrara. Le lettere citate si trovano in: C.M. Brown-A. M. Lorenzoni, Isabella d'Este and Lorenzo da Pavia. Documents for the History of Art and Culture in Renaissance Mantua, Genève, Droz, 1982.

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