La donna nel Rinascimento

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    Rinasita (Renaissance) is the historical period that follows the so-called "dark ages" and that brings the rebirth of the greco-roman artistic values. In the Renaissance one observes the transition from a sacred/metaphysical culture to a secular/physical one. For instance, Lux and Tenebrae (light and darkness) change their meaning. While in the Middle Ages Lux was a synonym of the divine revelation of Christ, in the Renaissance it was linked to a scientific progress, to the development of modern thought, to the idea that one can shape his own destiny. While Tenebrae in the Dark ages referred to the ignorance of the nonbelievers, in the Renaissance it was connected to the failure to rediscover classical culture. Keeping in mind the differences between the two periods, one can evaluate the place of women in the Renaissance.

    Did they have a Renaissance? What was their role in society?

    The woman of the Middle Ages (in the poems of Dante for example) was an embodiment of the Madonna -- full of platonic (spiritual) love, endowed with marvelous qualities, virtuous and holy. She was timeless in her intangibility in the sense that she christianized everyone she was in contact with.

    The woman in the Renaissance poems of Gaspara Stampa (1523-1554), on the contrary, was the Donna -- the embodiment of passion, of eros, and of sensuality. In writing her poems, Stampa identifies with a male point of view, conforms to the conventions of society, and accepts the system as a whole. But while professing female emancipation, she becomes a real martyr torn between two opposite feelings:

    But either way it nourishes my heart
    And either way brings suffering and joy.
    To this end I was fated from my cradle.
    Isabella d'Este (1474-1539), on the other hand, turns out to be a stong woman and a clever diplomat. Having received a classical male education, she was relentless about collecting artistic works from the leading artists of the century. Aggressively assertive, she knew her own mind and set clear conditions to the artists: "but you are forbidden to introduce anything of your own invention." Her educational level could be reached by a woman only if she followed certain educational criteria.

    According to Leonardo Bruni (1370-1444), a young woman's education should aim at acquiring literary skills and factual knowledge. Literary skills were essential since they included the reading of the most outstanding classical writers, the knowledge of literature and grammar, the selection of good word choice and the use of excellent expression. Factual knowledge was necessary because it was related to logic, mathematics, and the sciences. However, in all these skills rhetoric had no importance for a young woman for she was not granted any significant social functions. For Bruni learning of the "finishing touch" becomes negligible compared to the emphasis on the studia humanitatis or the liberal arts.

    To conclude, upper-class women in the Renaissance were given ways to express themselves. Their voice, however, was shaped by a male point of view since the education they received was male oriented. Did women have a Renaissance? Yes, compared to the Middle Ages perspective, and not, compared to the modern perspective. Women were allowed to express themselves but not sufficiently. Their role was marginal but still existant.

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    CITAZIONE
    Nel XVI secolo un gruppo di scrittrici e di poetesse crearono un primo rapporto con la letteratura, producendo anche opere letterarie.

    La letteratura precedente era esclusivamente maschile ed era dedita a ricordare il ruolo della donna nella società. A seguito di questi scritti tra il 1400 e il 1600 cambia il rapporta tra i due sessi.

    La donna in questo periodo, ha nella bellezza una qualità imprescindibile, il suo compito è il saper governare le facoltà del marito, la casa e i figli; in più deve saper vivere secondo le regole della vita cortigiana: in particolare, deve intrattenere ogni sorte d’omo con ragionamenti grati e onesti: quindi lei deve essere a conoscenza di molti (meglio tutti) gli argomenti, ma deve essere modesta e onesta.

    Il nuovo ambiente sociale e culturale seguente ai cambiamenti storici del ‘500 porta a novità nella letteratura riguardante la donna. La maggiore comprensione, in quanto parte attiva, della crisi politica ed economica che si era formata in Italia scuote il ceto intellettuale e segna l a fine del sogno rinascimentale.

    Con lo scisma religioso e le sue conseguenze in termini di fatti e avvenimenti, l’ambiente familiare cresce d’importanza: la solidità matrimonio è uno strumento per preservare l’integrità economica della famiglia. Si sposta così l’attenzione sulla famiglia e sul matrimonio, come tutela dell’ordine sociale, come ad esempio nel Degli ammaestramenti pregiatissimi (1545) in cui il poligrafo veneziano Lodovico Dolce marca gli argomenti principali dell’educazione femminile nei tre stadi di vergine, moglie e vedova. La ricca produzione di trattati sull’universo femminile del secondo ‘500 segna il passaggio dall’ideale di donna cortense a quello di moglie e madre, concepiti come ruoli ben segnati, con la capacità di sviluppare il potenziale disordine della natura femminile nell’ordine dell’organizzazione sociale.

    Uno dei temi più in voga in questo periodo è stato certamente il matrimonio; tale relazione comporta la convivenza con una realtà pericolosa e instabile come la donna. Nel periodo umanistico, la vita di coppia e l’ambiente familiare sono visti come contrastanti all’impegno civile e culturale dell’uomo nella società. Secondo altri pensatori invece il matrimonio era una forma di garanzia dell’ordine sociale e di controllo per l’imprevedibile natura femminile; proprio da qui nascono testi dedicati alla donna e inquadrati in primo luogo sui criteri di scelta della buona moglie e sull’educazione della giovane dal marito.

    Nell’opera “consigli a una moglie giovane” Ludovico Dolce presenta la sua idea di matrimonio come mezzo per dirigere nella vita sociale la forza sviante della figura femminile per fare in modo che la sua imperfezione naturale possa disciplinarsi alla presenza dell’universo maschile. La donna deve riconoscere il marito come suo unico punto di riferimento e vivere in sua funzione, ha come dovere primario l’adattarsi ad ogni situazione e di amare sempre il consorte, non considerando come si comporta. Lei non gestisce il suo corpo, esso è “proprietà” del marito che ne usufruisce a suo piacimento.

    Usuali sono in Italia i testi che delin eano l’ideale della bellezza femminile, con una minuziosa analisi di ogni particolare del corpo della donna e con la descrizione di quelle caratteristiche (colore, forma, consistenza) che accontentano l’occhio maschile: è il caso del trattato francese di Jean Liébault dal titolo “Trois livres de l’embellessiment du corps humain” nel quale il medico parigino mostra l’immaginario di bellezza femminile del ‘500 secondo una visione tipicamente maschilista. È eloquente che al nuovo ideale cinquecentesco, che presenta una donna ben in carne e formosa, corrisponda anche, nei ceti alti, la diffusione di nuove abitudini alimentari ricche di grassi e zuccheri; come si può scoprire dai libri di cucina e pasticceria ritrovati dagli studiosi. Per l’uomo del XVI secolo la carnagione bianca e le forme opulente del corpo evocano un pensiero di sanità fisica, di bellezza e di appartenenza all’elitè sociale, mentre la gracilità e l’abbronzatura sono associate alle donne del popolo. Osservazioni alquanto strane visto che il nostro modello di bellezza predispone proprio l’attitudine a scegliere donne magre e con una carnagione scura.

    Aspetto degno di attenzione e particolarmente rilevante del XVI secolo è la presenza di un gruppo femminile alla vita culturale; la donna modifica il suo ruolo, oggetto di scrittura maschile, in soggetto nei discorsi al femminile dove si manifesta una visione autonoma del mondo, dell’amore, del matrimonio e del rapporto con l’altro sesso. Affiorarono figure di donne colte come Alessandra Scala e Cassandra Fedele ambedue ammirate dal Poliziano; queste donne spinsero anche la formazione di una scuola poetica al femminile. Ogni poetessa aveva caratteristiche specifiche ma tutte i loro testi erano influenzati dal genere lirico e dai testi di Petrarca. Tra le poetesse più famose dell’epoca spiccano i nomi di Vittoria Colonna, Gaspara Stampa, Veronica Gambara, Tullia d’Aragona, Veronica Franco, Isabella di Morra e Laura Bacio Terracina. Il loro humus culturale è rappresentato dalla corte, nella quale sono non solo partecipi in qualità di nobili dame, ma anche di cantanti e musiciste di grado sociale più modesto.

    Nella seconda metà del ‘500 invece si può notare la testimonianza di uno spostamento dell’interesse femminile verso altri generi letterari come il poemetto, la favola pastorale, l’epistolario, la scrittura mistico-religiosa e anche trattatistica, zona di esclusiva competenza maschile. “Il merito delle donne” di Moderata Fonte e “La nobiltà et eccellenza delle donne” di Lucrezia Borgia sono stati scritti proprio per dare risposta alla pubblicazione, sul finire del secolo, di alcuni poeti contrari che mettono in discussione il sesso femminile. Ne “Il merito delle donne” l’autrice vuole parlare dei meriti del sesso femminile, il che porta il discorso all’esame comportamenti reali, non ideali o metafisici, del soggetto: invece di celebrare la figura femminile o istruirla, Moderata Fonte preferisce partire dal modello di comportamento già presente nella società ponendo in risalto le contraddizioni caratteristiche, al fine di dimostrare quanto di falso ci sia nella realtà dei rapporti fra i sessi.

    Questo sviluppo della donna durante il XVI secolo è stato fondamentale per una presa di coscienza dello stato di inferiorità delle donne e soprattutto per la formazione di poetesse e scrittrici grazie alle quali si è potuto finalmente mostrare come la donna vedeva se stessa in rapporto all’immagine maschile.

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    Edited by ‚dafne - 10/5/2013, 18:20
     
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  2. Nainerouge
     
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    Per chi fosse molto interessat* all'argomento consiglio senza dubbio il volume tre della Storia delle donne in Occidente di Duby e Perrot. La prospettiva abbraccia tutta Europa e segue una scansione temporale abbastanza ampia nei vari capitoli, dove si cerca di dare un quadro su diverse tematiche. E' estremamente affascinante perché oltre alla vita delle nobili, di cui più o meno si sa qualcosa, si parla anche delle donne del popolo e della borghesia... oltre al fatto che è scritto quasi solo da donne ;)
     
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    Io ho letto solo "Le donne nella storia europea" di Gisela Bock e non era affatto male ovviamente, ma abbracciava praticamente tutta la storia d'Europa in un libro solo, quindi non si concentrava troppo su questo periodo soltanto. Senza contare che per un po' parla praticamente solo di Christine de Pizan (non che mi dispiaccia :wub: )
    C'erano passaggi illuminanti comunque tipo, di Leon Battista Alberti: ogni fanciulla si deve sposare perché non abbia a pervertirsi nell'attesa del matrimonio, ché le donne divengono viziose quando non hanno quello che la natura richiede.

    Poi c'è qualche statistica: dieci figli l'anno in media per le donne fiorentine, nove per le contadine francesi (che si sposavano dopo), a Firenze nel tardo medioevo in media sopravvivevano ai genitori solo due figli. Circa una madre su sette in tutte le classi sociali moriva di parto, molte di più riportavano dal parto danni cronici alla salute. Un quarto dei bambini moriva durante l'allattamento.

    Purtroppo non trovo un passaggio medievale tremendo il cui riassunto era sostanzialmente che le donne dopo un po' erano da buttare perché diventavano brutte XD
     
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    Un quarto dei bambini moriva durante l'allattamento.

    Moltissimi morivano soffocati dalle balie durante la notte, pareva che li schiacciassero durante il sonno, solo dopo il Concilio di Trento credo che questo tipo di "infanticidio" venne considerato reato. Altrimenti si possono trovare molto bambini morti proprio per questo anche di famiglie patrizie.

    CITAZIONE
    dieci figli l'anno in media per le donne fiorentine, nove per le contadine francesi (che si sposavano dopo),

    Si le contadine si sposavano dopo, ma anche quelle italiane per diversi fattori che concernevano sempre il maschio e la media dei nati nelle famiglie contadine, e anche qui bisognerebbe vedere se di braccianti oppure di affittuari, variava sensibilmente. Gli affittuari avevano bisogno di braccia perché la loro era una sorta di nucleo familiare lavorativo, mentre i braccianti meno ne facevano meglio stavano e alcune prediche di Bernardino da Siena erano contro questi poveracci che per non fare figli cercavano metodi alternativi XDD Però anche lì la donna era vista come satana o come strumento di esso per portare gli uomini alla sodomia.#robbetta

    Si be' Leon Battista Alberti era un emerito testina di BIP . Ha scritto delle cose che lo prenderei a testate, però non era solo lui, Li Nuptiali dell'Altieri sono pieni di frasi acide nei confronti della donna...
     
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    Ho letto anche che Lorenzo il Magnifico non voleva che Clarice mettesse il naso nell'istruzione dei figli perché era una donna e forse era anche analfabeta (o sapeva solo leggere ma non scrivere, non ricordo). Al che mi chiedo, possibile? Pensavo che già al tempo di Clarice (che è nata a metà '400) le donne fossero istruite, almeno un minimo.
     
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    Analfabete no, ma spesso l'istruzione della donna non era portata molto avanti per esempio e anche lo studio di materie come le lettere, l'arte ecc ecc non era contemplatissimo. Le patrizie però almeno leggere e scrivere,sì , ma non tutte avevano una cultura artistico letteraria , per di più rosari e sermoni.
     
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    Uhm ha senso, forse siamo noi che tendiamo a giudicarle troppo colte perché siamo abituate a una Isabella d'Este e facciamo di ogni erba un fascio. Eppure Isabella volle riprendere a studiare dopo il matrimonio! Ad esempio molti, primo su tutti Zapperi, pensano che a dettare a Giulia la citazione evangelica "Dov'è il tesoro è il cuore mio" nella lettera al papa sia stato il fratello, perché difficilmente una donna poteva conoscerlo a menadito.

    Ah e mi ero scordata di commentare ciò

    CITAZIONE
    Moltissimi morivano soffocati dalle balie durante la notte, pareva che li schiacciassero durante il sonno

    #cheppaura
     
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    Ma infatti Isabella o altre erano famose mecenati anche per il loro grande livello di cultura, perché non era sempre così e perciò erano delle eccezioni alla regola...
     
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    In un libro su suor Colomba da Rieti c'è un passaggio che riassume abbastanza bene la condizione delle giovani donne nel medioevo/rinascimento:

    o760zc5

    Si aggiunge che mediamente lo sposo era molto più vecchio della sposa e che quest'ultima passava la gran parte della propria vita a partorire, spesso rischiando la morte.

    Gli statuti civici reatini aggiornati a metà del '400 stabiliscono che una donna pur non avendo voce in capitolo sul proprio matrimonio poteva rivolgersi al giudice se si faceva un uso dissoluto della sua dote. Tuttavia una donna dotata perde il diritto di successione sia di linea patrilineare che matrilineare; anche in mancanza di altri eredi se non è fedele alla memoria del marito defunto.

    C'è anche un pezzo su stili di vita a metà tra quello laicale e quello religioso:

    UDo4bKJ

    Le donne che sceglievano questa vita si comportavano quasi a tutti gli effetti da suore, portavano anche una "divisa".

    Le donne nubili, prosegue il libro, erano considerate un'eccezione ed erano quasi sempre nubili in quanto malate o deformi: facevano una vita abbastanza misera perché vivevano dapprima col padre e poi coi fratelli con uno status simile a quello di serve.

    Tutto da: Colomba da Rieti. Una scelta di vita religiosa nella prima età moderna di Ileana Tozzi
     
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    [QUOTETuttavia una donna dotata perde il diritto di successione sia di linea patrilineare che matrilineare; anche in mancanza di altri eredi se non è fedele alla memoria del marito defunto.][/QUOTE]

    Io ricordo di aver studiato che una vedova aveva ancor meno diritti di una donna sposata, anzi non aveva nessun diritto, sopratutto se erano mogli di secondo matrimonio e quindi erano i figli di primo letto a decidere cosa fare della vedova, spesso la rimandavano nella casa paterna in camicia e niente altro ! Addirittura il ruolo della donna /moglie e vedova senza diritti era stato descritto in una novella del Boccaccio quella di Griselda, che poi è diventata l'archetipo della moglie sottomessa , la quale solo attraverso la sottomissione di accettare ogni svilimento , avrebbe potuto trovare il proprio riscatto essendo accettata come ideale femminile. Ora non so se Boccaccio avesse questo intento perché io quando la lessi ne vedevo solo il sarcasmo boccaccesco di ironizzare sulla condizione delle povere donne nel suo tempo, però magari io parto con l'idea che Boccaccio riesca a smitizzare anche Dio e quindi lo faccia anche con i luoghi comune del proprio tempo. Il bello è che la leggenda di Griselda è totalmente veritiera, perché per esempio prendi la condizione di Giovanna la Pazza poteva possedere un impero, ma dopo che è morto Filippo le è stato tolto anche il baugigi dal proprio stesso figlio, il fatto è che anche i figli non avevano nessuna affezione per la madre, sono pochissimi i casi in cui un maschio se ne sia sentito legatissimo, anche perché venivano mandati a balia da appena nati ,spesso lontani dalla casa natale, proprio perché non si voleva che il piccino si attaccasse troppo alla madre. La donna veniva considerata sempre e comunque non "una" di famiglia, e in questo modo il maschio avrebbe sempre tenuto prima alla propria "famiglia" inteso come proprio cognome e alla morte del padre avrebbe incanalato anche i beni della madre senza rimorsi.
     
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    Io ricordo di aver studiato che una vedova aveva ancor meno diritti di una donna sposata, anzi non aveva nessun diritto, sopratutto se erano mogli di secondo matrimonio e quindi erano i figli di primo letto a decidere cosa fare della vedova, spesso la rimandavano nella casa paterna in camicia e niente altro !

    Sì esatto! E abbiamo visto con la stessa Lucrezia che i figli avuti dal marito morto non se li potevano nemmeno tenere =(

    CITAZIONE
    Il bello è che la leggenda di Griselda è totalmente veritiera, perché per esempio prendi la condizione di Giovanna la Pazza poteva possedere un impero, ma dopo che è morto Filippo le è stato tolto anche il baugigi dal proprio stesso figlio, il fatto è che anche i figli non avevano nessuna affezione per la madre, sono pochissimi i casi in cui un maschio se ne sia sentito legatissimo, anche perché venivano mandati a balia da appena nati ,spesso lontani dalla casa natale, proprio perché non si voleva che il piccino si attaccasse troppo alla madre.

    Probabilmente è un caso particolare ma mi viene in mente Giacomo VI con Maria Stuart, le sue proteste contro il trattamento riservato alla madre in Inghilterra furono solo formali!
     
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    Esatto e infatti se ci pensi Giacomo è stato freddissimo con la madre , i figli maschi erano molto distanti dalle madri perché i padri non volevano che il legame di sangue fosse più forte di quello della famiglia. Non per questo una donna sposata , da vedova non era più nessuno nè del marito nè del proprio stesso padre, oddio c'è anche da ricordare che alcune donne furono trattate con rispetto sia dai mariti che dai figli, ma anche il fatto che una donna ricevesse dal marito dei regali che poi doveva riconsegnare dopo un anno di matrimonio al marito stesso da l'idea dell'assoluto mare di nulla in cui vivevano queste poveracce.
     
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    Le donne nella società: il Rinascimento
    L'entrata nel mondo di una bambina, anche nel Rinascimento, come in altre epoche precedenti, non suscitava la gioia che accompagnava la nascita di un maschio.
    Se la conseguenza della nascita dell’ erede maschio di un signore comportava, a volte, anche il condono di debiti, o la concessione della grazia ai prigionieri, il tutto condito da festeggiamenti sfarzosi, una figlia regalava sempre una certa preoccupazione ai genitori. Una femmina, non solo non perpetuava il nome della famiglia, ma doveva essere allevata al riparo dalle tentazioni pericolose, e doveva essere accasata, con tutto il peso economico che questo significava.


    IL DIRITTO ALL’EDUCAZIONE:CHE TIPO DI EDUCAZIONE?

    Da vari documenti emerge che l'educazione femminile fu una vera e propria innovazione di questo periodo, anche se la maggioranza della gente la riteneva ancora una cosa non necessaria, o addirittura dannosa!
    Sin dall'infanzia le bimbe, appartenenti ad una classe sociale nobile, venivano sorvegliate, perché non avessero troppi contatti con i servi o gli schiavi, persone poco raccomandabili vista la loro appartenenza ad un ceto sociale molto basso. Per evitare questo tipo di inconvenienti, erano mandate all’età di sei anni in convento, dove potevano studiare e stare al riparo dalle cattive compagnie, fino agli undici-dodici anni.


    IL DIRITTO ALLA LIBERTA’:CHI SCEGLIERA’ DI ESSERE?


    Uscite dal convento, le ragazze erano pronte ad imparare i loro doveri di donne, per divenire delle perfette spose, sotto la guida materna.
    Si richiedeva loro innanzi tutto di avere una conformazione fisica adatta alla maternità ed essere sane, in modo da dare al marito ,senza eccessive preoccupazioni e attese troppo lunghe, eredi forti e robusti.

    Oltre alle caratteristiche fisiche, dovevano anche possedere delle precise qualità morali. La perfetta sposa era: pulita negli abiti e nel corpo, discreta, modesta e, soprattutto, onesta. Doveva rispettare ed ubbidire ai suoi parenti, cosa che lasciava supporre che sarebbe stata fedele nel matrimonio; doveva saper filare, cucire e accudire un'abitazione. Le caratteristiche qui elencate, non dovevano essere tipiche solo della futura sposa, ma anche di tutte le donne della sua famiglia, poiché si riteneva che "quale la famiglia, tale la figlia!".



    IL DIRITTO AD AMARE E AD ESSERE AMATA:COME SCEGLIERE UNO SPOSO?

    La maggior parte delle donne si sposava seguendo il modello che veniva loro imposto.
    Gli anziani del futuro marito indagavano sugli ascendenti delle giovani pretendenti al matrimonio,per stabilirne le qualità morali e fisiche, inoltravano le ragazze allo sposo, e questi sceglieva la sua consorte, non sulle basi di un presunto amore, bensì vagliando i vantaggi di un'alleanza con una famiglia, piuttosto che con un'altra. Possiamo quindi concludere che con il rinascimento ci fu l’emergere della donna. Come abbiamo già avuto modo di dire le ragazze di buona famiglia dovevano ricevere una completa educazione,fino a pochi giorni dalle nozze subivano una specie di clausura durante la quale veniva loro impartita un’istruzione pari a quella degli uomini dello stesso ceto sociale. Le donne colte fondavano delle Accademie dove si discutevano argomenti di cultura. Numerose donne, soprattutto in Italia ma anche nel resto dell'Europa, divennero famose in vari campi, a cominciare da quello letterario.

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    Un articolo sulle donne e il lavoro che prende spunto da questo libro:

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    Si tende a pensare che in quei secoli le donne non fossero impegnate in lavori pesanti: eppure, per esempio, i documenti relativi allo scavo di una roggia nella zona di Pavia, a metà del XV secolo, dicono che dei 600 lavoratori ingaggiati, solo 300 erano uomini. Anche in Francia e in Spagna nella stessa epoca, tante donne erano occupate nell'edilizia, nelle costruzioni di edifici privati e di opere pubbliche, con una particolarità: se avevano la stessa corporatura di un uomo venivano pagate per intero, altrimenti la metà. Ciò avveniva anche in altri mestieri di fatica: stesso rendimento, paga uguale. Con qualche eccezione: nei rivestimenti interni in pelle delle armature, le mani femminili erano più abili e venivano pagate di più.

    A Parigi, nel Duecento, le mogli dovevano alternarsi ai mariti nella custodia delle porte delle città, anche di notte. Sempre in Francia, nelle saline di Salins, nello Jura, le donne non erano solo manovali ma avevano anche compiti di coordinamento e di gestione. In quelle miniere di sale si viveva di più: c'è traccia di una donna invecchiata sottoterra fino a 112 anni, molte a 80 lavoravano ancora. E dopo quarant'anni di lavoro acquisivano il diritto alla pensione, pagata dal datore di lavoro: raro caso di welfare dell'epoca; altri esempi si trovano a Venezia, dove la Zecca dello Stato nel Trecento pagava un assegno d'invalidità ai dipendenti malati o ciechi per causa di servizio.

    Un altro luogo comune rivisto dagli studi della Zanoboni riguarda le nobildonne: si pensa che facesso una vita agiata e oziosa, invece molte si dedicavano a svariate attività, a cominciare dai laboratori di ricamo. Di Lucrezia Borgia, di cui tante cose si sanno, forse s'ignora che fosse un'abilissima imprenditrice. Si occupò di bonifiche di terreni, specie nel Ferrarese, facendosi pagare con parte dei campi valorizzati, grazie ai quali aumentò il patrimonio di famiglia. All'inizio del Cinquecento avviò persino un allevamento di bufale e impiantò una produzione di mozzarella, di cui era ghiotta. Tale Cristofora Margani ereditò dal marito le miniere di allume di Tolfa, presso Civitavecchia, particolarmente importanti dopo la caduta di Costantinopoli; l'allume serviva in molte lavorazioni, nel fissaggio dei colori ai tessuti, nell'industria del vetro e nella concia delle pelli. La vedova diresse con polso fermo l'attività, trattando da vera imprenditrice sia coi clienti che coi minatori.

    Tanti i casi di lavoro autonomo femminile anche in campi più artigianali, per esempio nella produzione di “oro filato”, un filo di seta avvolto in una foglia d'oro usato per impreziosire gli abiti. Le “mercantesse” di oro filato a Venezia furono anche riconosciute dal senato.

    Maria Paola Zanoboni rivede anche un'altra convinzione diffusa: che le donne non fossero ammesse nelle corporazioni. Secondo i documenti rintracciati dall'autrice, erano in realtà le donne a non volervi entrare per organizzarsi da sole e per non essere controllate; ciò in Italia, in Spagna, in Francia. In tutta Europa ci furono anche donne medico, in particolare a Firenze, e anche in questo ambito si registrarono vari contenziosi con le corporazioni. A Parigi fu processata una donna-medico, considerata abusiva dalla corporazione che essa aveva rifiutato: a difenderla furono, in massa, i suoi pazienti. L'iscrizione alle corporazioni era obbligatoria per gli uomini, per le donne veniva tollerato il lavoro nero, purchè non dessero fastidio. Piuttosto nel tempo si fece strada un principio: in attività delicate – beni preziosi, produzione del pane, medicina – l'iscrizione alla corporazione diventò una specie di certificazione, quasi un'abilitazione all'esercizio. Ma – sottolinea la Zanoboni – non è vero che le donne fossero volutamente escluse, considerate negativamente, impiegate in attività marginali e mal pagate.

    Ci furono casi anche di donne capaci di maneggiare il denaro a tal punto da svolgere attività finanziarie, così come la solidarietà tra donne lavoratrici registrò casi clamorosi. Divertente ciò che avvenne a Bilbao nel XIV secolo. Nella piazza del municipio veniva allestito ogni giorno il mercato di sardine e di pesce salato, e tutti i banchi erano tenuti da donne. Il palazzo del Comune, dove si svolgevano le riunioni della politica cittadina, veniva invaso da una puzza insopportabile, al punto che gli amministratori decisero di spostare altrove quell'attività maleodorante. Le donne, una ventina, si coalizzarono e rifiutarono tenacemente il trasloco, difendendo un luogo che consideravano proprio. Ci fu un lungo braccio di ferro, risolto alla fine con un compromesso: nella stessa piazza fu costruito un apposito portico, grazie al quale la puzza di pesce veniva attenuata. Le donne la spuntarono sull'autorità.

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    La violenza sulle donne nel XV secolo

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    La violenza di genere non è purtroppo una novità del nostro tempo ma ha attraversato i secoli della storia spesso passata inosservata per mancanza di documenti o taciuta dalle consuetudini di una società caratterizzata da un patriarcato oppressivo e violento, nei modi e nelle forme.

    Ciò che è una amara considerazione legata alle violenze sulle donne è che, di fatto, sia non così dissimile dalle motivazioni che ricorrono anche nelle notizie di cronaca nera contemporanee: gelosie, tradimenti, motivi economici, comportamenti violenti.

    Se nel XV secolo l’uso della violenza come metodo correttivo era socialmente e giuridicamente accettato anche nei confronti della moglie, era difficile stabilire quando questa pratica oltrepassasse la misura e venisse considerata anche allora una violenza intollerabile da permettere la separazione dal coniuge o la denuncia nei confronti del marito o del tutore violento. Era comunque un sistema a svantaggio della donna che difficilmente riusciva a dimostrare la propria posizione da malmaritata. Non è per esempio questo il caso di Luisella di Napoli che nel 1451 ottiene da re Alfonso la separazione dal marito violento, un notaio, e di tornare a vivere con la sorella insieme al figlio piccolo. Certamente la posizione elitaria della donna ha permesso alla vicenda un lieto fine, ma di certo è difficile pensare ad una così felice risoluzione negli strati più popolari.

    Gelosia, onore e adulterio.

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    La gelosia è sicuramente una delle principali cause di violenza nei confronti delle donne, sia esercitata a livello psicologico che fisico. La celebre opera di Tiziano ci mostra un marito colto da un raptus violento intento a colpire mortalmente la moglie, salvo poi pentirsene.

    L’adulterio, vero o presunto, delle donne provocava nei mariti un dolore iustissimo che sfociava in violenza e molto spesso nell’omicidio. La donna adultera era spesso oggetto di calunnia anche da parte della famiglia di appartenenza, poiché disonorava non solo se stessa ma anche il buon nome della famiglia e quindi il suo era un comportamento difficilmente scusabile, mentre era molto più comprensivo il comportamento prevaricatore e violento dei mariti che vedevano minacciato il proprio onore. Ci vengono riportati vari casi interessanti a tal proposito, dove lo stesso re Alfonso il Magnanimo – ed è proprio il caso di dirlo come vedremo – concederà la grazia o molti uomini giudicati colpevoli di uxoricidio.

    Nel 1447 Penta Sansonetto viene uccisa dopo che fu scoperta in stato interessante a seguito di una relazione extraconiugale, scoperta dal marito fu percossa fino alla morte. Riconosciuta dal fratello della vittima la condotta immorale della donna, fu stabilito tra le parti un accordo davanti ad un notaio che sanciva la rinuncia alla denuncia dell’omicidio. L’atto verrà poi ratificato dal sovrano.

    Una fatto simile era già avvenuto nel 1445 quando da un altro accordo tra le parti emerse la condizione di adultera e concubina di Marinella, accompagnatasi varie volte con uomini di cattiva fama. Il marito, stanco dell’ennesimo tradimento, la percosse e la strangolò, venendo poi graziato dal re nel 1446. Nello stesso periodo ottenne l’indulto dopo venti anni anche il fratello di Maruccella Zarrillo, che fu uccisa a seguito dello scoprimento dell’adulterio nel 1425.

    Nel 1455 troviamo un altro marito graziato dopo che ha ucciso la moglie casu fortuito potiusquam voluntario, tale Andrea Rango di Gaeta, che sarà costretto al pagamento di una multa di mille ducati alla famiglia della coniuge e alla rinuncia di un terreno, forse parte della dote.

    Gli accordi privati e altre misure erano spesso utili e necessarie ad evitare che si consumassero delle faide familiari ma molto spesso rivelano come l’interesse principale fosse quello di mantenere privilegi economici, di ottenere dei guadagni o di restare in possesso delle doti soprattutto quando veniva dimostrata la condotta immorale della donna.

    Tuttavia non sempre i mariti la facevano franca, come Francesco di Tommaso che fu decapitato per aver ucciso la moglie a Firenze nel 1423; oppure, sempre a Firenze, nel 1470 Marchionne di Valeranchione, seppur fosse stata riconosciuta la disonestà della donna, venne decollato per l’omicidio della moglie.

    Stupri, rapimenti e aggressioni.

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    Negli atti penali di Viterbo giunti fino a noi dalla prima metà del XV secolo abbiamo solamente due processi per stupro, possiamo supporre che non riflettesse la reale situazione circa la diffusione della violenza sessuale, che ancora oggi trova difficoltà ad essere denunciata alle autorità. Particolare è senz’altro il fatto che ai mariti a cui veniva stuprata o rapita la moglie potevano godere di una immunità momentanea per potersi fare giustizia da sé e riparare al torto subito. Infatti anche i rapimenti a causa di faide familiari, rivalse o litigi non erano infrequenti, come era toccato in sorte alla povera Maffia, rapita dal capitano Bernardo de Casello tenendola in suam amasiam nomine meretricis.

    Sempre a Firenze sappiamo che il 31 agosto 1479 Benino della Stefana fu bruciato sul rogo per essere sia un sodomita, ma per aver violentato anche la figlia. Mentre un’altra violenza su una fanciulla appena dodicenne, tale Ambrosia da Fiore, costretta persino al matrimonio riparatore, viene portata all’attenzione del Papa attorno al 1452 dal re Alfonso perché si evitassero alla giovane ulteriori molestie e venissero applicate le sentenze di alcuni processi precedenti per salvaguardarla.

    Anche le aggressioni erano comuni come quelle patite dall’ebrea Zacha Fossana che viene aggredita per strada e quasi strangolata nel 1454, e da Caterina aggredita a bastonate mentre era intenta a raccogliere le castagne. Oltre a quelle fisiche si affiancavano quelle verbali, atte a screditare la donna: mala femina, sozza mastina, puctana, oppure accusate di avere il diabolo in corpo. Esemplare è come si rivolge a Rosa de Augustine un vicino di casa a Cosenza: io non voglo né puctane né missagera ananczo la porta di la casa mia, a seguito di una comune lite “condominiale”; oppure la minaccia fatta ad un’altra donna: puctana ruffiana eo ti voglio taglare lo naso de la fache, tristemente realizzata ai danni di Impernata de Falico a Melissa.

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    Trovate la bibliografia nel link.
     
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