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Ed eccomi qui dopo lunghe fatiche con le citazioni poetiche su Ludovico (e Ascanio):
Questo è l'antefatto della disfatta:
«Torno a Milano, ove è 'l Moro sospeso; pensate che un hom degno sempre pensa, quando se vede con inganno offeso, s'el potesse frenar la furia immensa, ma quando tanto è 'l foco intorno acceso, mal extinguer se pò la fiamma accensa, e quando quassa el fondo della torre, quel che non fuggie presto a morte corre.<br/ El Moro, ch'avea el mondo gubernato, e ha più ochii assai che non hebbe Argo, vedendo tutto lo so imperio e stato oppresso d'uno acerbo e fer letargo, disse a sé stesso: questo è un duro fato, el seme in scolio et in harena spargo, non val guberno el mar leto e iocundo, se la nave è schusita in meggio el fondo.»
(La guerra del Turco e la presa di Modone (II-5.5 I: 12-13))
Sempre antefatto:
«Tornian al duca de Milan signore, ch'avantia ogn'altro de triumpho o fama, dico a colui c'ha in sé valore e che ciascun pianeto e stella chiama. Lodovico, un chiar sol, un chiar splendore, chome sol quel che gloria e honor ama come de far ciascun c'ha senno e forza, che pocha acqua gran foco non amoza.
Quando con la sua coda guiza el pesce, illustrato dal ciel nel ragio chiaro, e più non calla el zorno e ancor non cresce, nel Cinquecento a sei dì de febraro, e già la serpe for della sepe esce, recogliendo el venen tristo e amaro. Lodovico tornò dentro a Milano, ma chi combatte col ciel s'arma in vano.»
(La guerra del Turco e la presa di Modone (II-5.5 I: 41-42))
Ecco la disfatta di Novara, quando fu abbandonato dagli svizzeri e la susseguente cattura:
«E quando al signor l'ultimo soccorso dovean con forza dare e con l'ingegno, fecen come el caval che spretia el morso: non se volsen partir dal primo segno, unde s'accorse el Mor tristo ch'el corso era finito del so impero regno, ché facilmente un s'accorgie del foco quando vede la fiamma in qualche loco.
Hor che del tempo amato e gionta l'hora e bisogna mostrar c'ha cor nel petto, ch'indarno s'affatica in van lavora ch'a iusto tempo non segue l'effetto cridava el Moro: e voi fati dimora come di guerra non fusse sospetto hor fu che tanto el servitio più vale quanto te scampa da più danno e male
Se io torno nel mio regno in el mio impero, el serà vostro, che per voi l'aquisto, se ve partite dal iusto sentero, dolenti al fin sareti: io sarò tristo. ogni alma generosa abracia el vero, fu sempre el traditor da ogni hom mal visto. Perde la fede ch'usa tradimento, e senza quella l'hom de polver al vento
Ma il vento via portava le parole, ch'uno ostinato cor mai non si piega, ma quanto è il mal più grande men se dole, e quanto è più pregato el ben più nega; fecen costor come el vilan far sole, che per robar el grano el patron lega, dissen: sta' forte, signor, che sei preso. A questo modo fu da lor diffeso
Vedendose pigliare cridò: Fortuna! a questo modo me dai pena e doglia! non è per me in celo virtute alcuna che se conformi a la mia iusta voglia. El giorno s'è mutato in notte bruna, harà de me la gloria, havrà la spoglia el mio nemico, e viverà contento, ma dolmi ch'io son preso a tradimento!
[...] Cussì fu preso Ludovico al lacio. O ciel, tu sei talhor crudel et empio! Superbia, crudeltade, orgolio e straccio son scripti ne la fronte del tuo tempio. O mortal gloria, tu ti fondi in giaccio, non si pò più negar, ecco l'exempio. Chi nega cosa tanto nota e chiara, spesso perdendo a le sue spese impara.
Quel che sedeva in sì superbo seggio, quel ch'a so modo regeva ogni terra, quel ch'era nel consilio tanto egregio, quel ch'a so posta faceva pace e guerra, quel ch'aveva di fortuna el privilegio, quel ch'abracciava ciò che mondo serra, hora è pregione et ha ciascun nemico ch'el misero non trova alchun amico.
Lasso pensare a voi che pena acerba patischa quel magnanimo signore, ch'una anima gentil sempre è superba et ha gran forza e sdegno in gentil core, e tanto più che come el serpe in l'herba trovato ha el lacio ascosto senza errore. Troppo è grave dolore e grave affanno quando un si vede piliar con l'inganno.»
(La guerra del Turco e la presa di Modone (II 5.5 I: 51-55 e 59-61))
Questo è un altro veneziano o partigiano dei veneziani che lancia improperi contro Ludovico:
«Caligula morì che morir volse, che reggie mal s'occide con soa mano, secondo el seme sparso el frutto colse; el core a sé passò Domiciano, e mal vivendo a sé la vita tolse. Non ha caciato alcun for de Milano el Moro: anci lui stesso s'é scaciato, sé scaccia che non vol raggione in stato.
Guarda come va iusta la bilancia: fece costui con soi fallacie e arte in Italia venir Carlo di Francia e la nave girar con le soe arte per abassar d'Alphonso la possancia che minaciava con so orgoglio a Marte, hor lui per Francia in sorte è dolorosa così chi caccia altrui per sé non posa.
Così del so nemico col nemico Dio fa crudel ma iusta vendetta, dicea damnando Alphonso Ludovico, ecco come el so regno ha perso in fretta. Così va chi non vole alcuno amico e nocer sempre ad altri si diletta, e lui peggio facea: che sempre è ceco el mal fatto del mal che porta seco.»
(La guerra del Moro e del re di Francia (II-5.4: 16-18))
Altri improperi (almeno Ascanio ai veneziani stava simpatico):
«Non pò el flagel che mal vide fugire, ecco ch'il Moro ha perso el richo sceptro, di mo ch'el cerca el turcho far venire el serà posto in qualche loco tetro e morirà più volte anci el morire. O mortal gloria, tu sei scritta in vetro, però finiscon presto le toe pompe, ch'ogni picol percossa un vetro rompe.
Ma ben me dol asai che Ascanio è preso per che fu sempre humano e liberale, e non fu mai contra San Marco acceso, ma facea come un huom che molto vale; el cercava el so regno haver diffeso, che a ogni gran spirto questo è naturale, tenerse fin ch'el pò nel suo favore, pacio è chi perder vole el proprio honore.»
(Giovanni Fiorentino. La guerra del Moro e del re de Francia (1500 ca.) Guerre in ottava rima (II-5.4:32-33))
Sonetto sul rimpianto di Ludovico:
«O bel paese, o gratioso loco, ove soente el mio bel sol apare, al mio dispetto el me convien lasare teco ogni mio piacer contento e ioco. O dolorosa vita, in quanto foco presto te vederò dolente andare! O cor, non so se a tanto mal durare potrai per tropo affanno afflito e fioco. O ciel, questo è pur troppo expresso torto a dir che debia sencia scorta e guida, quando el mar è in tempesta usir del porto. Oimè, ch'el cor conven che me divida e mora se non voglio rimaner morto, a tanto mal questo partir me guida.»
(Soneto del Moro quando perse el so paese (II-5.4:SON))
Ammonimenti:
«Misera, ciecha e sciocha opinione, che fra mortali è misera dolenti, sanno ch'el senso è sopra la ragione, con mille inganni e falsi tradimenti, ma chi rivolterà sua opinione, quanto specular può l'humana genti che spechio habiano inanti al gran tesoro di Ludovicho Sforza detto Moro.
Regnava Ludovicho Moro detto, pensando subiugar il mondo e il cielo, Fortuna ch'è amica al gran dispetto gli pose agli ochi de la mente il velo; per il suo mal operar et mal concepto, pel pocho amor a Dio e mancho zelo, così irato il ciel volse mostrare il suo error pel suo mal operare.»
(Storia di Ludovico duca di Milano (1500 ca.) Guerre in ottava rima (II-5.3:3-4))
E qui parla Ascanio:
«Monsignor va pregione or lamentando, pien di pensieri il pecto e lacrimava, e così per la strada suspirando del stato e suo fradel sempre pensava, cogli occhi chi sempre i aqua bagnando, che esser in pregion alfin gli agrava, vedendosi hora afflicto e mal contento, giva parlando con un tal lamento:
Casa sforzescha hormai dove se' gita? dove son i triomphi e l'alta gloria? dove nostra superbia e l'è smarita? dove la nostra pompa e la memoria? Hai crudel fortuna c'ha sbandita la nostra casa ch'avuto victoria! Or mille volte e mille habiam socorso, nissun al nostro aiuto nonn'è corso!
Misero, a me dolente ov'è la fama di casa nostra? dove è il gran diletto? dove tanti amici? hor chi ti chiama? ch'el ciel el mondo vedo ci à in dispetto. Hora in vilipendio e grande infama, io son condotto pregionier sugietto, e facto è d'altri nostro stato anticho, io pregione e 'l signor Ludovicho.»
(Storia di Ludovico duca di Milano (1550 ca.) Guerre in ottava rima (II-5.3:65-66-67))
E per finire la più dolente di tutte su Ludovico:
«Cossì pensando gli venne a memoria esser stato a Venecia già molti anni e haver visto in San Marco quella istoria che son duo galli che, con forza e inganni, hanno preso una volpe e con gran gloria, recordandosi i vecchi havuti danni, la portan presa su un baston in spalla, ligato i piedi e il capo a terra calla.
E perché havea inteso che ogni cosa ch'è depinta in San Marcho è prophetia, diceva: io son la volpe dolorosa, la consientia mia so qual la sia, de invidia e rabia e inganni copiosa! i galli adesso mi seren la via, e me hanno teso di molte tagliuole. Così meschino si lagna e si duole»
(Ercole Cinzio Rinucci. Historia nova de la Rotta e presa del Moro e Aschanio e molti altri baroni. Guerre in ottava rima (II-5.2:28-29))
Un altro libro questa me la riportava come di Pietro Matteo Carranti, ma la fonte non concorda.
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