Niccolò Machiavelli e "Il Principe"

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    Si il problema è che Machia adoVa Cesare più del consentito , è vero che Fransuà ha il suo porco fascino ma così è troppo zerbino Machia.
    Ah altro testo interessante di Niccolò è che nessuno si frega mai non so perché è Dell'arte della guerra, è un po' un monologo di Fabrizio Colonna sulla costruzione dell'esercito da applicare alla Repubblica fiorentina però per me è una specie di continuo del Principe XD
     
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    Scendendo appresso alle altre preallegate qualità, dico che ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà. Era tenuto Cesare Borgia crudele; non di manco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola, ridottola in pace et in fede. Il che se si considerrà bene, si vedrà quello essere stato molto più pietoso che il populo fiorentino, il quale, per fuggire el nome del crudele, lasciò destruggere Pistoia. Debbe, per tanto, uno principe non si curare della infamia di crudele, per tenere è sudditi sua uniti et in fede; perché, con pochissimi esempli sarà più pietoso che quelli è quali, per troppa pietà, lasciono seguire è disordini, di che ne nasca occisioni o rapine: perché queste sogliono offendere una universalità intera, e quelle esecuzioni che vengono dal principe offendono uno particulare. Et intra tutti è principi, al principe nuovo è impossibile fuggire el nome di crudele, per essere li stati nuovi pieni di pericoli.

    capitolo XVII

    CITAZIONE
    PASSING to the other qualities above referred to, I say that every Prince should desire to be accounted merciful and not cruel. Nevertheless, he should be on his guard against the abuse of this quality of mercy. Cesare Borgia was reputed cruel, yet his cruelty restored Romagna, united it, and brought it to order and obedience; so that if we look at things in their true light, it will be seen that he was in reality far more merciful than the people of Florence, who, to avoid the imputation of cruelty, suffered Pistoja to be torn to pieces by factions. 1
    A Prince should therefore disregard the reproach of being thought cruel where it enables him to keep his subjects united and obedient. For he who quells disorder by a very few signal examples will in the end be more merciful than he who from too great leniency permits things to take their course and so to result in rapine and bloodshed; for these hurt the whole State, whereas the severities of the Prince injure individuals only.
    And for a new Prince, of all others, it is impossible to escape a name for cruelty, since new States are full of dangers.


    Edited by ‚dafne - 6/6/2013, 12:29
     
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    Uno dei miei capitoli preferiti. Adoro come Machia anteponga anche in questo caso il bene collettivo alla percezione che si ha del singolo.
     
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    Io vado pazza del suo buonsenso: ciascuno principe debbe desiderare di essere tenuto pietoso e non crudele: non di manco debbe avvertire di non usare male questa pietà. Quando si dice tra essere buoni e essere fessi c'è differenza!
     
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  5. marie.
     
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    Il pensiero politico di Machiavelli


    Machiavelli elabora un sistema teorico compatto incentrato sul rapporto organico tra antropologia e politica; sul conflitto come principio dinamico, in questo contesto dell’agire politico; sulla funzione della legge; su una visione tragica, in ogni caso, dell’uomo, della natura e anche della politica.
    Ho dunque voluto insistere sulla questione dei «limiti» attraverso cui si sviluppa la riflessione di Machiavelli per abbozzarne una interpretazione differente da quella consegnata in genere alle genealogie moderne; ma questo non toglie, ovviamente, che Machiavelli abbia una considerazione massima per la politica come forza e che se essa non si configura come tale è destinata all’insuccesso radicale. Per il Segretario fiorentino si può essere un politico di grande qualità ma essere travolti dagli avversari e dalla storia se non si dispone di una forza, cioè di armi adatte ai propri obiettivi. In questo senso è veramente esemplare la valutazione che Machiavelli da su Girolamo Savonarola, un grande personaggio ai suoi occhi, autore oltre che delle grandi prediche in San Marco anche di un testo fondamentale, ispirato a una polemica violentissima contro il tiranno, come il Trattato sul governo di Firenze.
    I giudizi di Machiavelli su Savonarola sono una sorta di radiografia della sua concezione della politica, oltre che del rapporto tra politica e religione. I documenti su cui intendo concentrarmi sono essenzialmente tre: la lettera, famosa, a Ricciardo Becchi, del 1498; il giudizio su Savonarola nel I libro dei Discorsi; la valutazione sulla ragione della sconfitta del frate espressa nel III libro dello stesso testo. Tutte queste posizioni hanno in comune un punto: sono di carattere strettamente politico e riguardano il modo con cui il frate utilizza la sua forza in un momento a lui favorevole e la maniera con cui viene sconfitto in una situazione che invece gli è avversa secondo quella relazione tra virtù e fortuna alla quale si è sopra fatto riferimento. Nel primo caso Machiavelli dimostra come Savonarola utilizzando in modo spregiudicato il testo biblico, e paragonandosi implicitamente a Mosé, cerchi di guadagnarsi il popolo fiorentino – quello colto e quello rozzo – aizzandoli contro un nemico che sarebbe pronto, nelle sue parole, a farsi loro tiranno, ma mirando solamente a salvaguardare il proprio potere, e facendolo con successo «colorando» le proprie bugie come meglio gli conveniva.
    Nel secondo caso si serve di Savonarola per mostrare la potenza della religione come forza – e sottolineo il termine: forza – genuinamente politica. Sarebbe interessante insistere su questo punto ma la stessa insistenza di Machiavelli poche pagine prima sulla figura di Numa come fondatore della potenza di Roma più dello stesso Romolo – e proprio per il modo in cui aveva saputo usare la religione- , è probabile che fosse stata generata proprio dal’aver visto all’opera Savonarola, concepito qui e sempre, anzitutto come grande politico.
    Le qualità di Savonarola
    Nel terzo caso invece Machiavelli si interroga sulle ragioni della fine di Savonarola pur continuando a riconoscergli, ed è questo l’importante, qualità di grande politico, privo però della forza necessaria per farsi valere. È spietato, ma paradigmatico e perfino didattico il paragone che in queste pagine Machiavelli stabilisce fra Savonarola e Pier Soderini: il primo grande politico privo di forza; il secondo pieno di forza ma incapace di usarla. Paragone che ci consente di scavare ulteriormente nell’argomento perché dimostra, anzi conferma, come per Machiavelli la forza a sé presa, cioè infondata, non sia in grado di conseguire successi se non è animata da una vigorosa azione politica la quale può essere tale solo quando sgorghi da una radice più profonda nella quale si intrecciano elementi civili, culturali ed anche religiosi.
    Come è noto queste posizioni di Machiavelli hanno rappresentato nella cultura italiana, variamente articolate, un vero e proprio paradigma: sono state riprese, per fare qualche nome, da Giordano Bruno o da Pietro Giannone mentre sono state invece radicalmente rifiutate da Fra’ Paolo Sarpi che sostiene una concezione della politica, della religione e dei loro rapporto polarmente estranea a quella di Machiavelli.
    C’è però un dato, che emerge invece in modo particolare dal rapporto con Bruno e che conferma la estraneità di Machiavelli alle tematiche ermetiche e magiche. Giordano Bruno nello Spaccio della bestia trionfante riprende molti temi di Machiavelli, come ormai è diventato ordinario sottolineare, ma li situa in un contesto in cui la magia ha un valore decisivo. Per Bruno il politico è un cacciatore d’anima, un vincolatore, un sapiente: appunto un mago; e così del resto Bruno interpretava sé stesso. Machiavelli invece espunge ogni considerazione di questo tipo dalla sua analisi della politica, della potenza, che invece è sviluppata secondo criteri rigorosamente naturalistici, di ascendenza sostanzialmente lucreziana.
    A differenza di Bruno che pure riprende a larghe mani Lucrezio ma lo complica alla luce di problematiche neoplatoniche e neopitagoriche aprendosi la strada a una concezione della natura in cui la dimensione magica, sia pure concepita in termini naturali, assume valore centrale. Questa differenza non toglie, però – anzi conferma la centralità del paradigma machiavelliano nella storia italiana – che lo stesso Bruno svolga una concezione della religione in cui gli elementi civili di matrice machiavelliana hanno un valore essenziale.
    Alla luce di quanto si è cercato finora di dire si vede come sia complessa la concezione machiavelliana della politica e come essa abbia connotati caratteristici della cultura rinascimentale, come del resto dimostra ampiamente il paradigma biologico-qualitativo che caratterizza la sua concezione del sorgere, dello svolgersi e del finire delle civiltà. Tanto più colpisce come lungo secoli moderni Machiavelli sia stato progressivamente espropriato dei suoi aspetti fondamentali e sia stato decifrato secondo criteri che appartengono al pensiero politico moderno di Bodin, di Hobbes, ma non a quello propriamente rinascimentale.
    Per quanto possa apparire paradossale è stato proprio Antonio Gramsci a sottolineare con energia che l’effettivo fondatore della concezione moderna dello stato va individuato in Bodin e nei libri della repubblica, e non in Machiavelli. Osservazione ineccepibile; eppure lungo i secoli moderni la lezione di Machiavelli, confondendosi con l’esperienza della ragione di stato, è venuta diluendosi progressivamente nel machiavellismo con una perdita radicale della sua originalità e novità.
    Fenomeni che si sono particolarmente accentuati soprattutto nei momenti di crisi politica e statuale quando la sua lezione è sembrata imporsi con imprevedibile forza ed attualità. Machiavelli non ha però niente in comune con il machiavellismo e neppure con l’ideologia della ragion di Stato. Quello che a noi tocca oggi fare è confrontarsi con la sua opera per quello che essa è stata ed ha voluto essere senza deformare i suoi lineamenti alla luce di vicende che con la sua esperienza umana e intellettuale hanno poco da spartire.
    Ma per fare questo, ed è la mia ultima notazione, va riconsiderata la generale interpretazione del Rinascimento che è arrivata fino al Novecento e che ora va rimessa in discussione fin dalle fondamenta. Simul stabunt, simul cadent.

    Michele Ciliberto, L'Unità

    Aggiungo manoscritto del Principe dalla mostra a Roma (la foto che fa anche schifetto è mia)

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    Mentre da ogni parte si invoca il ritorno della politica per fronteggiare le sfide globali, dalla crisi economica all'effetto serra, i cinquecento anni del Principe di Machiavelli sono un'eccellente occasione per riaccendere la secolare disputa sulla "vera" essenza del suo pensiero, quella disputa che - diceva Croce - non si esaurirà mai. In attesa di una mostra, il prossimo autunno al Vittoriano, di una nuova edizione critica dell'opera (a cura di Giorgio Inglese) e di una Enciclopedia machiavelliana Treccani nel 2015 (a cura di Gennaro Sasso), bisognerà comunque rassegnarsi all'idea che l'aggettivo "machiavellico" non diventerà mai un complimento. Ma certo Machiavelli non è solo il crudo messaggio del realismo politico.
    C'è ben altro. La grandezza del Principe sta nella scoperta, ben vista da Gramsci nelle sue Noterelle dal carcere, e raccontata da Isaiah Berlin in uno stile più drammatico: i conflitti più difficili non sono quelli tra il vizioe la virtù, ma tra due tipi diversi di virtù, quella che eleva l'essere umano alle altezze della morale e della santitàe quella che lo eleva alle altezze delle grandi costruzioni politiche, principati, imperi (o democrazie). Per Gramsci quella contenuta in nuce nelle dottrine del Machiavelli era una grande «rivoluzione intellettuale e morale»: l'autonomia della politica. Per Berlin è un terremoto che fa crollare lo schema monista della philosophia perennis; non esiste più una sola risposta vera a tutte le nostre domande, entriamo nell'era del pluralismo; e prendiamo atto di una separazione definitiva tra la salvezza nell'al di qua e quella nell'al di là, tra due tipi di vita che sono incompatibili.
    Chi sta oggi sulle orme del Machiavelli? Per rispondere bisogna prima di tutto sapere che la politica, fatta e pensata, era la materia prima di Niccolò, era lei che alimentava le sue notti all'Albergaccio, era lei il contenuto delle sue conversazioni «nelle antique corti delli antiqui uomini», era «quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui», di cui alla celebre lettera al Vettori. Ed era la politica in atto della costruzione degli Stati, non pura téchne al servizio dei tiranni. Si sapeva muovere tra Roma, Parigi, Venezia e la Germania e il suo policy-making era insieme cura delle relazioni internazionali, degli armamenti, del consenso. Ma aveva sullo sfondo anche un disegno unificante, nel quale si intravede l'impossibile progetto dell'unità italiana.

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    Chi sta oggi sulle orme del Machiavelli?

    Mi verrebbe da dire nessuno ! Ala fine anche se molti ambiscono a tale titolo, anche se altri per come sta messa la politica italiana direi che qualcuno dei nostri parlamentari non sa nemmeno chi è Machiavelli ! E poi anche l povero Machia sapeva che il suo sogno era quasi irrealizzabile, il suo Principe è una figura mitica alla fine è la stessa ambizione che lui imputava agli uomini a rovinare il suo progetto.
     
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    Lo citano a sproposito, una volta credo di averlo sentito in bocca a Sallusti per giustificare le orge di Berlu XD un po' come mettono sempre in mezzo Pasolini per difendere i poliziotti durante le proteste.
     
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    Si infatti ! E' diventato un "luogo comune" come un topos letterario che utilizzi per creare la struttura di una trama.
     
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    Comunque è possibile che siano gli USA a ereditare certe idee di Machia, o almeno vedendo Scandal mi sono fatta quest'idea XD (si notino le mie fonti serissime). tortura di attentatori eccetera. Cose "che renderebbero difficile ascoltare l'inno", come dice un personaggio, ma servono per preservare lo Stato.
     
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    E' interessante come teoria ! Non ci avevo mai pensato ! Però credo che gli USA abbiano fatto loro più certe teorie di Hobbes, alla fine Machia non giustifica la violenza come legittimata dalla Stato per la sua preservazione, mentre Hobbes la giustificava eccome, per Machiavelli determinati "peccati" sono giustificabili solo per la rifondazione dello Stato e soprattutto gli USA applicano l'ipocrisia di una democrazia che è solo una tirannia camuffata...Non so io li vedo come un Leviatano più che come un Principe.
     
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    Secondo me gli USA hanno inglobato all'interno della loro cultura il Machiavelli filtrato dalla letterutura inglese del '500: nasce così una brodo (ma a loro in fondo il melting pot piace tanto) dove entrano senza distinzioni concetti presento nel Principe e nei Discorsi, opere rivolte a realtà sociali diverse e che sono complementari, non intercambiabili. La cultura americana è inevitabilmente derivata da quella inglese e quindi la praticità che caratterizza l'Inghilterra tra il XVI e XVIII secolo si riflette sull'interpretazione di un trattato che mira proprio a fornire indicazioni pratiche: la lettura del concetto viene però traviata e applicata senza differenze in tutte le situazioni. Come dice Cla per Machiavelli i peccati giustificabili sono quelli necessari a rifondare lo stato e a ristabilire l'ordine dove regna il caos: ci si riferisce quindi ad una situazione di anarchia o gravissima crisi politica, mentre gli USA sono, almeno sulla carta, una repubblica e quindi un sistema politico già rodato che dovrebbe a questo punto reggersi da solo. La violenza in questo caso serve quale arma di offesa più che di difesa, e il suo uso viene giustificato tramite eventi spesso made in USA e la creazione di prove di dubbia certezza (ma le armi chimiche in Siria le hanno usate o no alla fine?): entriamo quindi nel campo bellico vero e proprio, che esula il pensiero machiavellico.
     
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    (ma le armi chimiche in Siria le hanno usate o no alla fine?):

    Nada, ma il bello di tutto ciò è che la Siria che ha davvero bisogno di un aiuto per liberarsi da quel cane non viene toccata dagli USA visto il veto di Cina e Russia.

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    La cultura americana è inevitabilmente derivata da quella inglese e quindi la praticità che caratterizza l'Inghilterra tra il XVI e XVIII secolo si riflette sull'interpretazione di un trattato che mira proprio a fornire indicazioni pratiche: la lettura del concetto viene però traviata e applicata senza differenze in tutte le situazioni

    Gli americani a mio avviso oltre ai filosofi politici come Locke (da cui poi prendono le loro giustificazioni per la rivoluzione ) hanno le radici della loro pseudo cultura nel pensiero classico rimaneggiato, lo stesso Principe si basa su riflessioni che già aveva fatto Tucidide nella guerra del Peloponneso ( basta rileggere il dialogo degli Ateniesi contro i Melii) , se dovessi dire su quale idea si basa l'imperialismo americano metterei stampato proprio quel pezzo, perché gli americani tendono a giustificare le loro azioni quasi come se ci fosse un volere divino , come se le leggi degli uomini non li toccassero. In fondo gli USA si comportano da monarchi assoluti a cui non sarebbe possibile disobbedire e sono soggetti alla loro coscienza religiosa (da notare che potrebbero essere scambiati quasi come una stato confessionale, visto che sono uno dei pochissimi paesi di cui il proprio presidente, ma non solo si pensi anche nei tribunali, in cui è obbligatorio giurare sulla Bibbia) ciò per me li identifica come il "mostro" di Hobbes. Ogni volta che vanno ad aprire guerra torna sempre la storia della democrazia come se i popoli dovessero assoggettarsi alla loro potestà oppure come se loro, gli Usa , dovessero essere baciati perché vanno a salvare un nazione che, secondo i loro canoni, si autodistruggerebbe perché ancora ferma in uno stato di natura hobbesiano /machiavellico. Certo vedersi come un Principe suona meglio , ma quando annunciano di aver riportato la democrazia in Afghanistan bisognerebbe anche ricordargli che Machiavelli affermava che a lavoro fatto il Principe doveva lasciare il posto alla Repubblica, altrimenti tutto si sarebbe trasformato in una tirannia e il popolo l'avrebbe vista come tale, come un'occupazione ed un dominio dell'interesse di uno, ecco questa parte qui gli USA se la dimenticano sempre.
     
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    pope
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    perché gli americani tendono a giustificare le loro azioni quasi come se ci fosse un volere divino , come se le leggi degli uomini non li toccassero.

    Mi hai fatto pensare a un'osservazione che ho sentito fare ieri: loro ci spiano, ma quello che ha rivelato che spiano viene chiamato spia XD
     
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  15. marie.
     
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    Il Principe "un breviario della coscienza pubblica"

    in un confronto tra verità e libertà



    di Micol Bruni*










    In occasione del Cinquecentenario de Il Principe di Niccolò Machiavelli la Newton Compton ha pubblicato una elegante e ricca edizione con un importante apparato bibliografico con una Introduzione di Nino Borsellino. Un testo ben articolato che offre una chiave di lettura interessante. Alcune considerazioni in merito. Ha scritto Nino Borsellino nella Introduzione: "Il Principe si può leggere come un'autobiografia sublimata" (Introduzione a Il Principe, Newton Compton Editori, Roma 2013, p. 5).

    Un concetto molto audace che pone Mchiavelli al centro di un'ampia discussione, i cui parametri storici sono chiaramente focalizzati in una temperie qual è il Rinascimento, ma la visione complessiva è abbastanza articolata, tanto da inserirsi in un processo culturale ampio che va dalla grecizzazione al mondo romano sino a riflessioni che toccano il tardo Medioevo. Su questo argomentare ci siamo soffermati anhe nel libro Machiavelli. Un secolo di mezzo (da me curato), editore Pellegrini che verrà presentato ufficialmente a settembre prossimo.

    Ma si tratta, in fondo, di una autobiografia? Borsellino osserva con attenzione l'opera nei suoi vari passaggi e attualizzandola tocca degli articolati momenti di un pensiero che è costantemente in itinere tanto che avrà modo di osservare: "Il Principe resta il 'libro vivente' dell'antiideologia, un breviario della coscienza pubblica non più del principe" (Op.cit. pag. 13).

    I due capisaldi, secondo Borsellino, del Machiavelli che dedica le sue pagine alla realtà del mondo del principe, restano la libertà e la verità. È un dato storico fondamentale perché in esso ci sono delle eredità filosofiche che hanno caratterizzato i secoli successivi sino al dibattito sulla eticità e moralità nel pensiero politico e pedagogico di Gentile e di Gramsci. Ma il discorso parte ancora da lontano, e si tratta di un discorso sostanzialmente sull'antiideologia, per definirsi in alcuni elementi vichiani e alcuni richiami sulla libertà già definiti in Foscolo.

    Il Principe resta l'opera che detta i valori fondanti alla dialettica sulla politica superando gli schemi dell'autorità dei poteri precostituiti. Dopo Il Principe non sarà possibile affrontare i temi della politica con le inquadrature e gli schemi descritti e condannati da Machiavelli. Questo è certo.

    Borsellino pone ciò come cesellatura da non dimenticare: "Si è detto che Machiavelli mette allo scoperto le leggi della politica, ma l'arte del politico va appresa valutando le circostanze, misurandosi con le difficoltà della conquista, del dominio e del governo.

    continua qui
     
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107 replies since 20/5/2011, 12:20   2493 views
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