Ritrattistica nel Rinascimento

Portraits in Renaissance

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    Soltanto nel sec. XIV a opera di Giotto ebbe inizio la vera storia stilistica del ritratto moderno; partecipe come genere particolare (in pittura e scultura) di quei principi teorici o estetici che animarono l'arte figurativa occidentale nelle diverse fasi stilistiche della sua storia, dal Rinascimento al barocco, dal neoclassicismo al cubismo, essa si svolse lungo il filo di una dialettica opposizione tra realismo e idealizzazione. Se i ritratti di Giotto (Bonifacio VIII, 1300, Roma, S. Giovanni in Laterano; Enrico Scrovegni, 1304-06, Padova, cappella degli Scrovegni) sono già improntati a un nuovo naturalismo che ebbe largo seguito nello stesso sec. XIV, soltanto con l'umanesimo il ritratto assurse a un'eccezionale dignità, e non soltanto formale, per la sua particolare aderenza ideologica ai fermenti della nuova cultura. Impersonale e simbolica nel Medioevo, l'immagine dell'uomo come individuo venne esaltata nel sec. XV in tutta una serie di ritratti che, dall'Italia alle Fiandre, dalla Francia alla Germania, documentano un nuovo rapporto tra individuo e potere politico e religioso, tipico della nuova società cittadina e borghese. Oscillando tra rappresentazioni di uno spiccato realismo, tipiche dell'ambiente fiammingo (Van Eyck), ed esemplari di più aulici intendimenti (Masaccio, Piero della Francesca, Botticelli, Pollaiolo, o ancora tardogotici per l'accentuato decorativismo (Pisanello), la ritrattistica quattrocentesca in pittura e in scultura (Verrocchio, Pollaiolo, Laurana) già contiene in nuce quella problematica del rapporto tra imitazione del vero e ideale che animò la storia delle arti figurative dal Rinascimento all'Ottocento. Sollecitato dalla ritrattistica antica (busti, glitticamonete, medaglie), il ritratto quattrocentesco, destinato alle più alte categorie sociali, si configurò in alcune particolari tipologie: dal ritratto equestre alla figura intera stante, al mezzo busto di tre quarti o di profilo, su fondo unito o di paesaggio. Nel sec. XVI la grande ritrattistica rinascimentale sviluppò una tendenza idealizzante (Raffaello), già percettibile nell'umanesimo italiano, atta a esprimere un'intenzione celebrativa e commemorativa: tendenza che nella sua accezione più sottilmente pittorica si manifestò nella ritrattistica veneta (Tiziano, Tintoretto, Veronese, Lottocaratterizzata dalla vitalità della tessitura cromatica e da un'immediatezza, in realtà ottenuta con tagli e atteggiamenti particolari, che arricchiscono la fisionomia e la psicologia del modello di un'aura di indefinibile grandezza; e nella sua accezione più spiccatamente formale si manifestò nelle ricerche dei manieristi fiorentini (Pontormo, Bronzino), i cui modelli giganteggiano in una realtà metafisica. Il Rinascimento riscoprì inoltre il ritratto allegorico, sia avviando la moda del ritratto “in veste di” divinità pagane, virtù, santi (Piero di Cosimo: Simonetta Vespucci, Chantilly, Musée Condé; Dürer: Altare Paumgartner, 1502-04, Monaco, Alte Pinakothek), destinato a largo successo fino al Settecento, sia trascendendo il suo originario significato di testimonianza di una forma reale o di un carattere per diventare emblema di una realtà diversa e allusiva (Giorgione: Laura, 1506, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Leonardo: Gioconda, 1503-05, Parigi, Louvre). In Germania, pur tra notevoli oscillazioni di stile, la tendenza all'idealizzazione si manifestò in un'analisi del modello tesa a riprodurne, accentuandoli, i caratteri essenziali, con risultati espressionistici che inseriscono il ritratto in un clima intensamente drammatico (Dürer). Se in Spagna el Greco raggiunse l'acme dell'idealizzazione espressionista nelle sue fisionomie irreali e schematizzate, la Riforma contribuì a ricondurre il ritratto sulla via di una pacata oggettività (Moro, Sustermans, Clouet), quella stessa che già allignava nella ritrattistica provinciale italiana (Moroni, Licinio) e in quella fiamminga, tese a soddisfare le esigenze di una nuova committenza borghese o di piccola nobiltà.

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