Castel Nuovo (Maschio Angioino)

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    Questa meraviglia è il castello in cui vissero Ferrante e prole
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    Castel Nuovo, meglio noto come Maschio Angioino, è uno storico castello medievale e rinascimentale, nonché uno dei simboli della città di Napoli.

    Il castello domina la scenografica piazza Municipio ed è sede della Società napoletana di storia patria e del Comitato di Napoli dell'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, ospitato nei locali della SNSP.

    Nel complesso è situato anche il Museo civico della città di Napoli, cui pertengono la Cappella palatina e i percorsi museali del primo e secondo piano.

    La Fondazione Valenzi vi ha la sua sede di rappresentanza, inaugurata il 15 novembre 2009 dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed altre autorità, nell'ambito della celebrazione dei cento anni dalla nascita di Maurizio Valenzi.

    Il castello, infine, è sede del museo civico di Napoli.

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    CITAZIONE
    Nel 1443 Alfonso d'Aragona, che aveva acquistato il trono di Napoli, stabilì nel castello una splendida corte, tale da competere con la corte fiorentina di Lorenzo il Magnifico e la fortezza venne completamente ricostruita nelle forme attuali, mantenendo la sua funzione di centro del potere regale.

    Il re Alfonso affidò la ristrutturazione della reggia-fortezza angioina ad un architetto aragonese, Guillem Sagrera, catalano originario di Maiorca, che la concepì in termini gotico-catalani. Le cinque torri rotonde, quattro delle quali inglobavano le precedenti angioine a pianta quadrata, adatte a sostenere i colpi delle bocche da fuoco dell'epoca, ribadivano il ruolo difensivo del castello. L'importanza della reggia come centro del potere regale venne invece sottolineata dall'inserimento in corrispondenza dell'ingresso dell'arco trionfale, capolavoro del Rinascimento napoletano ed opera di Francesco Laurana, insieme a molti artisti di varia provenienza. I lavori si svolsero a partire dal 1453 e si conclusero solo dopo la morte del re, nel 1479.

    Nella "sala dei Baroni" si svolse l’epilogo della famosa congiura dei baroni, ordita contro re Ferdinando I, figlio di Alfonso, da numerosi nobili, capeggiati da Antonello II di Sanseverino, principe di Salerno, e da Francesco Coppola, conte di Sarno. Nel 1486 il re invitò tutti i congiurati in questa sala col pretesto di una festa di nozze, che segnasse il superamento delle ostilità e la definitiva riconciliazione. I baroni accorsero, ma il re, ordinato ai suoi soldati di sbarrare le porte, li fece arrestare tutti, punendo molti di loro, fra cui il Coppola e i suoi figli, con la condanna a morte.[5]
    Il vicereame [modifica]

    Il castello venne nuovamente saccheggiato ad opera di Carlo VIII di Francia, nel corso della sua spedizione del 1494. Con la caduta di Ferdinando II prima (1496) e di Federico I in seguito (1503), il regno di Napoli venne annesso alla corona di Spagna da Ferdinando il Cattolico, che lo costituì in vicereame. Castel Nuovo perse la funzione di residenza reale, diventando un presidio militare, a causa della sua posizione strategicamente importante. Ospitava comunque i re di Spagna che giungevano in visita a Napoli, come lo stesso imperatore Carlo V, che vi abitò per un breve periodo nel 1535.[4]

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    CITAZIONE
    La costruzione del Maschio Angioino iniziò nel 1279, sotto il regno di Carlo I d'Angiò, su progetto dell'architetto francese Pierre de Chaule.
    Il nuovo castello rivestì non solo le caratteristiche di una residenza reale, ma anche quelle di una fortezza proprio per la sua posizione strategica.
    Fin dall'inizio esso venne chiamato "Castrum Novum" per distinguerlo da quelli più antichi dell'Ovo e Capuano.
    Durante il regno di Roberto d'Angiò il Castello divenne un centro di cultura dove soggiornarono artisti, medici e letterati fra cui Giotto, Petrarca e Boccaccio.
    Agli Angioini successero gli Aragonesi con Alfonso I, che seguendo la scelta dei predecessori, fissò la sua dimora reale in Castel Nuovo iniziandone i lavori di ricostruzione e facendo innalzare all'esterno, fra la Torre di Mezzo e quella di Guardia, il grandioso Arco di Trionfo per celebrare il suo vittorioso ingresso nella città di Napoli.
    Con gli Aragonesi si assiste al passaggio dal medioevale castello-palazzo alla fortezza di età moderna, adeguata alle nuove esigenze belliche e la zona intorno al Castello perde il carattere residenziale che aveva con gli Angioini.
    La struttura della costruzione aragonese risulta senz'altro più massiccia rispetto a quella angioina e rispecchia abbastanza fedelmente quella attuale, scaturita dai lavori di risanamento dei primi anni di questo secolo.
    Il monumento presenta una pianta trapezoidale formata da una cortina di tufo in cui si inseriscono cinque torri cilindriche (di cui quattro di piperno ed una di tufo) poggianti su un basamento in cui si aprono dei cammini di ronda. L'area del cortile, che ricalca quella angioina, è formata da elementi catalani come il porticato ad arcate ribassate e la scala esterna in piperno, opera dell'architetto maiorchino G. Sagrera, che conduce alla Sala dei Baroni e conferisce a questo angolo della corte il caratteristico aspetto dei patii spagnoli.
    Alla fine del XV secolo i Francesi subentrarono agli Aragonesi nella gestione del potere in città; tale presenza non durò per molto tempo, in quanto i Francesi furono sostituiti a loro volta dai viceré spagnoli ed austriaci.
    Durante il periodo vicereale (1503-1734), le strutture difensive del castello, adibito ad un uso prettamente militare, vennero ulteriormente modificate.
    Con l'avvento di Carlo III di Borbone che sconfisse l'imperatore Carlo VI nel 1734, il castello venne circondato in varie riprese da fabbriche di ogni genere, depositi ed abitazioni.
    Nel primo ventennio del XX secolo iniziarono a cura del Comune i lavori di isolamento del castello dalle costruzioni contigue; la validità di questo intervento scaturiva dal riconoscimento del valore storico e monumentale della fortezza e dalla necessità del recupero complessivo della piazza antistante.
    Attualmente il complesso monumentale viene destinato ad un uso culturale ed è, tra l'altro, la sede del Museo Civico. L'itinerario museale si articola tra la Cappella Palatina o di S. Barbara, il primo ed il secondo piano della cortina meridionale a cui si aggiungono la Sala Carlo V (Hl) e la Sala della Loggia destinate ad ospitare mostre ed iniziative culturali.
    (Rosalba Manzo)

    ARCO DI TRIONFO

    All'ingresso del Castello fra la Torre di Guardia e la Torre di Mezzo, s'innalza il grandioso Arco che celebra l'ingresso di Alfonso I d'Aragona nella città di Napoli avvenuto il 26 febbraio 1443.
    L'opera, recentemente restaurata, rappresenta il passaggio fra mondo gotico e mondo rinascimentale ed è formata da due archi a tutto sesto sovrapposti, che ripetono un motivo architettonico dell'epoca classica. Il rilievo del fregio centrale, sovrastante il primo arco, raffigura il Trionfo di Alfonso rappresentato come imperatore seduto sul carro condotto dalla Fortuna e circondato dai dignitari della sua corte.
    Il secondo arco, invece, doveva contenere la statua equestre del re aragonese, che non fu mai eseguita e che lo stesso sovrano avrebbe voluto commissionare a Donatello.
    Alla realizzazione del monumento (1453-1479), che riveste una fondamentale importanza per l'arte del secolo XV, lavorarono numerosi artisti, fra cui Pere Johan, Guglielmo Sagrera, Francesco Laurana, Domenico Gagini e Pietro di Martino da Milano.
    (Rosalba Manzo)

    CORTILE

    L'attuale cortile ricalca quello angioino ma presenta elementi catalani come il porticato ad arcate ribassate e la scala esterna in piperno, opera dell'architetto Guglielmo Sagrera, che conferisce a questo angolo il caratteristico aspetto dei "patii spagnoli".
    Nella parte superiore della scala (Q) che conduce alla Sala dei Baroni è posto, a destra dell'ingresso, un tabernacolo tardo gotico finemente intagliato e traforato opera di un artista catalano. L'edicola ospitava la statua della Vergine del Pilar, venerata dagli aragonesi.
    Accanto al tabernacolo si apre il balcone della Sala dei Baroni, che presenta una base a forma di piramide rovesciata, ornata da intagli in pietra di Maiorca, raffiguranti gigli che confluiscono in un'anfora a due anse simboleggianti l'emblema dell'ordine del Giglio o della Giarra.
    (Rosalba Manzo)

    SALA DEI BARONI

    Era la "Sala Maior" del Castello angioino, voluta da Roberto D'Angiò ed affrescata da Giotto verso il 1330, con le raffigurazioni degli Uomini (e delle donne) Illustri dell'antichità: Sansone, Ercole, Salomone, Paride, Ettore, Achille, Enea, Alessandro e Cesare, con le loro "compagne".
    Il contenuto di questo ciclo di affreschi, purtroppo perduti, viene descritto dall'anonimo autore di una raccolta di sonetti, databili intorno la 1350 circa.
    Sotto il regno di Alfonso d'Aragona (1442-1458) la Sala fu rifatta ed ampliata dall'architetto maiorchino Guglielmo Sagrera, occupando solo in parte il sito della più piccola sala angioina.
    Il solenne ambiente è il più celebre del Castello e viene chiamato "Sala dei Baroni" in quanto nel 1486 vi furono arrestati i baroni che avevano partecipato alla congiura contro Ferrante I d'Aragona, invitati dallo stesso re, per festeggiare le nozze di sua nipote con il figlio del conte di Sarno.
    Sulle nude pareti si innalza fino ad un'altezza di ventotto metri la stupenda volta, al cui centro, invece della tradizionale chiave, è posto un luminoso oculo, da cui si dipartono sedici costoloni in piperno che, raccordandosi ad altri elementi minori, creano un disegno stellare, evidenziando il contrasto cromatico tra il grigio dei costoloni, in piperno di Pozzuoli, ed il giallo delle pareti e delle volte in tufo.
    Alla base della copertura si sviluppa una galleria che si apre con otto finestre quadrate per ognuna delle soprastanti lunette.
    Nel 1919 la struttura è stata danneggiata da un incendio che ha distrutto quasi tutte le decorazioni scultoree.
    Alla sinistra del portale d'ingresso si nota il marmoreo Portale bifronte, opera di Domenico Gagini, che metteva in comunicazione la Sala con l'appartamento dei re aragonesi.
    Sugli architravi, semidistrutti dall'incendio, vi sono due bassorilievi; in quello che guarda verso la Sala è raffigurato il Corteo trionfale di Alfonso, nell'altro l'Ingresso del Re nel Castello. Sulla parete settentrionale, attraverso un portale catalano molto rovinato, si accede alla Camera degli Angeli, detta così perché era affrescata con scene raffiguranti angeli.
    Nella parete verso il mare, tra le due finestre quadripartite da una croce in piperno, si apre un grande camino rettangolare sovrastato da due tribune destinate ai musici e decorate da due transenne, andate distrutte, dal disegno flamboyant simile a quello del rosone della Cappella Palatina.
    Nell'angolo sud-est della Sala, attraverso una porta gotica si accede alla spettacolare scala a chiocciola, attualmente inagibile, tutta in piperno, che, con andamento spiraliforme, dall'abside della Cappella Palatina conduce alla Sala dei Baroni ed alle terrazze superiori.
    L'ambiente è illuminato anche da un balcone detto "Trionfale" di cui è originale la base che ha la forma di una piramide rovesciata, ornata da finissimi intagli in pietra di Maiorca.
    Il pavimento della Gran Sala era in maiolica invetriata bianca e azzurra, proveniente dalle fabbriche di Valenza.
    Attualmente la Sala viene adibita a sede delle riunioni del Consiglio comunale.
    (Rosalba Manzo)

    fonte


    Clip sul Graal al Maschio Angioino. Ovviamente stendiamo un velo, ma la visita al castello è carina:



    Edited by ‚dafne - 28/5/2017, 13:49
     
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    Le prigioni:

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    CITAZIONE
    I sotterranei sono formati da due ambienti posti nello spazio sottostante alla Cappella Palatina: l'uno chiamato "fossa del miglio" ma conosciuto più comunemente come "fossa del coccodrillo", l'altro denominato "prigione della congiura dei Baroni".

    La "fossa del miglio" era il deposito del grano della corte aragonese, ma venne utilizzata anche per rinchiudervi i prigionieri condannati a pene più dure. Un'antica leggenda racconta che i prigionieri scomparivano misteriosamente; aumentata la vigilanza non si tardò a scoprire la causa delle sparizioni: da un'apertura entrava un coccodrillo che azzannava i prigionieri alle gambe e li trascinava in mare. Al rettile, giunto dall'Egitto seguendo una nave, furono per qualche tempo gettati coloro che si volevano mandare a morte senza pubblicità.

    Per uccidere il coccodrillo si usò come esca un'enorme coscia di cavallo; una volta morto, l'animale venne impagliato ed appeso sulla porta d'ingresso al Castello. In realtà non si tratta che di una leggenda che ripropone un motivo largamente diffuso nella novellistica popolare di tutti i paesi, quello dei prigionieri divorati da un coccodrillo, da un serpente o da altri mostri, che questa volta viene adattata al Castello napoletano. Al secondo ambiente si accede attraversando un angusto passaggio, delimitato a destra da una scala a chiocciola in tufo, che conduce alla sovrastante Cappella Palatina.

    Agli occhi dei visitatori si presentano quattro bare senza nessuna iscrizione, contenenti delle spoglie mortali, forse quelle dei nobili che avevano partecipato alla congiura dei Baroni nel 1485. Dalla descrizione fatta dal De La Ville Sur-Yllon nel 1893 risulta che i cadaveri erano vestiti secondo la moda del Quattrocento e che uno di questi, forse un prelato, era stato ucciso per soffocamento.


    Altri spazi del Castello un tempo adibiti occasionalmente a prigione sono i sotterranei della Torre dell'Oro, della Torre di Guardia e della Torre di San Giorgio.

    fonte
    La porta bronzea:

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    CITAZIONE
    La porta, ubicata originariamente all'ingresso del Castello, fu commissionata a Guglielmo Monaco da Ferrante d'Aragona verso il 1475 in ricordo della vittoria da questi riportata nel 1462 su Giovanni d'Angiò e i baroni ribelli.

    Nei sei bassorilievi della porta, delineati da cornici decorate con motivi rinascimentali, sono narrati gli episodi più importanti della guerra:

    1. Agguato a Ferrante alla Torricella, nei pressi di Teano (29 maggio 1460).
    2. Ferrante si difende dall'assalto (Torricella).
    3. Presa di Accadia (9 agosto 1462).
    4. Ritirata degli Angioini da Accadia.
    5. Battaglia di Troia.
    6. Presa di Troia.

    Nel pannello inferiore a sinistra si nota una palla di cannone in ferro incastrata nella lamiera squarciata.

    L'ipotesi più accreditata è che la porta facesse parte del bottino di guerra che Carlo VIII fece caricare sulle navi dirette in Francia. Durante la navigazione, al largo di Rapallo, la flotta venne attaccata e sconfitta dai Genovesi. Nel corso della battaglia la porta, forse posta sulla tolda di una nave, fu colpita dalla palla di cannone che si conficcò dall'interno nel pannello. I Genovesi, conquistato il bottino, avrebbero poi rimandato la porta a Napoli (1495).
     
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    Tre nuovi percorsi al Maschio Angioino, alla scoperta del sacro Graal


    Il Castel dell’Ovo nasconde l’uovo di Virgilio? Poco male, il Maschio Angioino risponde addirittura con il Santo Graal. Pare infatti che le vicissitudini partenopee abbiano incrociato la storia del calice più famoso della storia (quello in cui Gesù bevve durante l’ultima cena). Precisamente, dopo la conquista della città da parte di Alfonso d’Aragona, che nel 1442 cacciò i precedenti dominatori francesi. Inizia qui la ricerca di Salvatore Forte, biologo appassionato di storia, simbologia ed esoterismo. I suoi studi sugli affascinanti intrecci della sacra coppa e Napoli diventano parte di uno dei tre nuovi percorsi guidati, al via da domenica 2 ottobre dalle 9 alle 13 (e in programma fino al prossimo maggio), d’intesa col Comune. Sono organizzati dalle associazioni Idi, Timeline e Hyppo Kampos (prezzo dai 10 ai 15 euro, info 331 7451 4617) proprio nel Castelnuovo, il cui nome nasce dopo la ricostruzione voluta dagli Aragonesi, che ne rimodellarono le forme. “Il nostro itinerario - spiega Forte, presidente Idi e ideatore del progetto con Francesco De Falco - inizia sotto l’Arco di trionfo, per terminare nella Sala dei Baroni. È qui, che si concentra la tradizione del graal”. Luogo simbolo della città, oggi sede di Consigli comunali, nel 1487 fu teatro della strage dei nobili (appunto, dei baroni) ostili alla corona, ordita a tradimento dal re Ferrante, figlio di Alfonso. Con la scusa dell’invito ad un banchetto nuziale, il sovrano accolse i suoi nemici, per poi farli arrestare e mettere a morte. “La Sala dei Baroni - riprende Forte - fu rifatta dall’architetto Guillem Sagrera ed è molto simile alla cappella del “Santo Caliz” nella cattedrale di Valencia che custodisce un graal, un tempo appartenente al tesoro reale. Il castello napoletano ne ospitava una copia”. A riprova della valenza esoterica della sala c’è anche uno speciale gioco di luci creato dalle finestre al tramonto, nel solstizio d’estate, oltre al simbolo dell’Ordine della giara (che richiama la tradizione del graal), scolpito sul balcone esterno. Le sorprese del Castelnuovo non finiscono qui. Il “maschio” (il cui museo civico ha nell’ultimo anno quadruplicato le visite) apre a due ulteriori percorsi, in spazi chiusi da anni, appositamente recuperati e messi in sicurezza. Il primo, a cura di Timeline (che comprende il lavoro e la passione di un gruppo di geologi, ingegneri e archeologi), ha come obiettivo “l’immergere i visitatori nel passato”, spiega il presidente Enzo De Luzio. E aggiunge: “Il nostro tour inizierà sul camminamento meridionale, per poi proseguire nella cannoniera sotterranea aragonese, luogo mai aperto prima”. Uno sguardo anche alle prigioni, che ancora conservano tombe e scheletri di antichi carcerati (inclusi quelli dei baroni assassinati). Ultima avventura, a cura di Hyppo Kampos, diretta da Mauro Palumbo, è un “tuffo nel vuoto”, ossia una discesa di 30 metri in un pozzo retrostante la Sala dei Baroni, largo meno di due metri e di costruzione angioina. Un brivido per appassionati e temerari, da vivere in tutta sicurezza con imbracature e accompagnati da esperti speleologi. (testo paolo de luca - foto di mauro palumbo)

    repubblica
     
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    Sala dei baroni:

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    Impostata secondo un magnifico ardimento che culmina nella caratteristica volta stellata, vi si accede dalla corte per uno scalone diritto, poco oltre la Cappella Purgatorio; pianta quadrata di 26 metri per lato, s'innalza tra la Torre del Beverello e la Cappella Palatina.


    Ripresa da un'architettura di derivazione spagnola che la lega alle grandiose opere che arricchirono in quel secolo l'Europa aragonese a partire dalla Catalogna ed in diffusione sempre maggiore si eressero manufatti simili anche in tutta la Castiglia.
    Ne è un esempio la: Loggia del Mare a Barcellona, la Loggia di Saragozza, le Cattedrali nelle Baleari, alcune chiese in Sardegna, in quasi gran parte della Sicilia e col Maschio Angioino anche a Napoli.

    E' stata fortificata con pietra di Majorca e di Pozzuoli, con tutto il legno necessario fatto giungere da Quarto, il tufo, lì dove ne è servito, estratto dalle cave alle Fontanelle nel ventre del Rione Sanità, il ferro dai ferraioli dispersi nelle valli del territorio alle pendici del Vesuvio da dove venne estratto tutto il piperno per terminare la fondazione della Sala con manovre e mezzi esentati dalle tasse e dalle vettovaglie.

    Eretta tra il 1444 ed il 1451, per mano di Guglielmo Segrera, morto ad opera incompiuta nel 1454.

    Costui fu meritorio abbastanza da prendersi pure i lavori sulla Sala della Loggia, ma non su quelli sull'Arco di Trionfo, nè sul pavimento della Camera di paramento, e neppure sulle decorazioni del finestrone sulla Corte ed i palchi della Sala Grande; tutte opere che per la loro delicatezza il re ebbe saggio pensiero di pagarne il cottimo a Ramondello de Citellis amministratore dei lavori con a capomastro Jarra e “Xoto” Casamuri. La sala dei Baroni è una meravigliosa, ampia aula architettonica dalla volta costolonata, resa celebre dalla prosa del Petrarca, dagli affreschi di Giotto durante il suo soggiorno napoletano, riportata nella letteratura ecclesiastica per il nome di Benedetto Caetani, salito al Soglio petrino col nome di Bonifacio VIII, esitato nel Conclave romano riunitosi proprio qui in questa sala in seguito allo storico rifiuto del pontificato di Celestino V; è pur famosa anche e soprattutto perché il Vasari diede Giovanni Pisano per architetto della Sala, creduto erroneamente come tale per molti decenni in luogo del mestre major dei due disegni così come si legge in alcune cedole trovate nella tesoreria aragonese2. Quattro grandi vani di luce in tre dei quali vi erano finestre a croce guelfa e sulle finestre monumentali ornie di cui, una distrutta da costruzioni postume all'impianto e un'altra da un fulmine nel 1511, oltre a due vani aperti sul mare che fino al Quattrocento offrivano la visuale al fianco orientale del castello. Stretto tra i due vani anzidetti, uno stupendo camino rettangolare al di sotto di due lunghi palchi per musici l'uno sovrapposto all'altro entrambe collegati con scala a chiocciola ed un altro vano rivolto a settentrione verso il colle della città accecato poi da un'anticortina di fine Settecento, ed un altro, il più grande s'apre invece sulla corte interna.

    La sala ha altre porte che comunicano con altri ambienti.

    Una è posta all'ingresso verso il mare, dalla quale si discende sul rivellino merlato della contro torre del Beverello. n'altra aperta a mezzogiorno conduce alla Cappella Palatina; queste ultime due sono a duplice archetto pendulo, inscritto in una larga ogiva si presentano puramente gotiche come tutto il resto della sala. Una terza che tira dritta alla Stanza degli Angeli incassata nella pancia della stessa Torre Beverello, mentre l'ultima porta posta a sinistra dell'ingresso comunica con gli appartamenti reali installati nel castello rilevato dall'architettura aragonese e tutte e due hanno semplice forma alla maniera del Rinascimento.

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    Cappella palatina:

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    CITAZIONE
    E' la Cappella Palatina del Maschio Angioino a piazza Municipio di Napoli1, sacra a San Sebastiano fino al 1612, poi dedicata a Santa Barbara, a partire dal 1618.

    Fu iniziata da Carlo II d'Angiò altrimenti detto lo Zoppo, nel 1307, con notizia di prima edificazione nel settembre di quello stesso anno, poi continuata da re Roberto il Saggio, in remissione dei peccati del padre morto che gliene fece testamento2.


    La cappella è aperta alla corte quattrocentesca del Castello, con facciata medesima in marmo bianco, un poco oltre la Cappella Purgatorio.
    E' opera tarda di Andrea dell'Aquila, compreso del rosone di Matteo Formicana a sostituzione dell'Oculus duecentesco distrutto.

    La piccola fabbrica religiosa è a navata unica e senza cappelle laterali, esempio di puro stile gotico, di maestranza simile a quelle intervenute per la chiesa napoletana di San Domenico Maggiore a Spaccanapoli3.


    La volta è a capriate lignee dalla cantoria all'abside, e la cappella è l'unico frammento angioino nel contesto della Reggia aragonese.

    Tra l'altro, questa stessa cappella è e resta dimora storica di Giotto a Napoli4 che l'affrescò per intera, prestando il proprio favore d'uomo d'arte anche per la "Cappella Segreta" detta Cappella parva, nel senso che non esiste più, distrutta dalla totale trasformazione del Castello in età aragonese. Di essa se ne parla con difetto, altrettanto va detto che presumibilmente doveva trovarsi al fianco dell'Appartamento Reale e non è da confondersi né con la Cappella San Martino eretta soltanto nel 1334 presso la Cappella Maggiore, né con la Cappella del Parco tutta quanta dipinta da Pietro Orimina e forse neanche con una delle due Cappelle affrescate da Montano d'Arezzo nel 1305. Un altro Orimina, tale Cristofaro, un alluminatore a corte di Re Roberto, miniava la celebre "Bibbia angioina" oggi custodita al Seminario di Malines e tra gli alluminatori di quel secolo ricco e fecondo, si ricordano Luca da Spoleto e Giovanni Ypres; con molta familiarità, accanto al gruppo di scuola certamente giottesca contribuirono non poco alle interferenze eclettiche nella realizzazione del ciclo non terminato purtroppo degli affreschi dal grande Maestro per la mano dei pittori toscani del nome di Andrea Vanni da Siena e Nicola di Tommaso da Firenze. Delle sue due ultime grandi opere pittoriche oggi dolorosamente scomparse, in seguito al disastroso terremoto del 4 dicembre 1456, sfortunata vicenda storica ricordata per il crollo della parte meridionale della Cappella medesima scossa da terribili sollecitazioni o comunque un persistere tale di precarie condizioni che il crollo effettivamente venne indotto per meglio restaurane la funzionalità; ad ogni modo il ciclo sugli affreschi giotteschi risale all'epoca napoletana in cui l'Artista avrebbe poi effigiato un'Apocalisse all'interno della Basilica presso il monastero di Santa Chiara Vergine, assieme a Dante Alighieri, il quale bandito dalla città fiorentina si sarebbe trovato in quel tempo a Napoli5. Ricordando lo stesso Maestro ed il secolare equivoco del Petrarca nel suo Itinerarium Syriacum sugli affreschi alla chiesa dell'Incoronata pur detta chiesa della Spina Corona a via Medina e la fortunatissima serie degli affreschi di Roberto d'Oderisio6.

    Le pitture rinvenute nella Cappella Palatina dai restauri del 1928 non sono che resti importanti di una parte però secondaria alla sua decorazione e precisamente quella delle strombature degli altissimi e sottilissimi finestroni gotici, murati dopo il terremoto del 1456.

    tutto qui

    Cortile interno:

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    Galleria Borbonica: ritrovato il leggendario coccodrillo assassino


    Un ritrovamento straordinario è avvenuto nelle viscere della Galleria Borbonica durante le operazioni di scavo che sono state fermate quando sono emerse le prime ossa e denti aguzzi di quello che potrebbe essere un leggendario animale.

    Gianluca Minin presidente dell’Associazione Culturale Borbonica Sotterranea ha attivato così tutte le verifiche del caso.

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