I Pazzi

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    Stemma della famiglia Pazzi


    CITAZIONE
    Andrea di Guglielmo de’ Pazzi – Nacque a Firenze intorno al 1372 da Guglielmo de’ Pazzi, esponente di una famiglia dell’antica nobiltà fiorentina.

    Sembra che i suoi antenati avessero combattuto in Terrasanta e proprio là, durante le crociate, avessero stretto un legame con la monarchia e la nobiltà locale che avrebbe contraddistinto anche la traiettoria di Andrea. Esclusi dalla politica a seguito delle leggi antimagnatizie e per rimanere all’apice della vita cittadina, dalla fine del Duecento i Pazzi si erano dati con grande successo agli affari mercantili e bancari.

    Nel 1409 Andrea sposò Caterina Salviati, anch’ella appartenente a una delle famiglie mercantili e bancarie più importanti della città. Ebbe sette figli: Antonio, nato nel 1412, Guglielmo nel 1414, Piero nel 1416, Lena nel 1418, Albiera nel 1421, Jacopo nel 1423. La casa di residenza della famiglia era posta nella parrocchia di S. Procolo. Nella portata catastale del 1427 figurano poi molti altri immobili di proprietà di Andrea de’ Pazzi: un’altra casa con bottega in città, nella parrocchia di S. Maria in Campo, e casali, poderi e fornaci nel contado, insieme a diversi titoli del Monte e due schiave. La parte più ingente del patrimonio era tuttavia costituita da partecipazioni in società commerciali e bancarie, in botteghe per l’arte della seta e la commercializzazione dei drappi, da investimenti privati nell’appalto di imposte all’estero (Archivio di Stato di Firenze, Catasto 1427, reg. 80, cc. 586r-594v).

    Andrea de’ Pazzi fu un mercante e banchiere fiorentino di primo piano. Avviata una prima compagnia a Barcellona alla fine degli anni Venti, ebbe in seguito quote in diverse società disseminate nelle principali città commerciali e finanziarie d’Europa: a Firenze, Pisa, Roma, Barcellona, Avignone, Montpellier e Parigi. Ben 4250 fiorini erano stati investiti nella compagnia di Firenze a lui intitolata e in quella di Pisa. Per quanto riguarda le attività commerciali e bancarie all’estero, fece affari molto redditizi in ambito catalano-aragonese facilitati dai salvacondotti e dalle protezioni accordate dalla monarchia spagnola. Sotto il regno di Martino l’Umano, Andrea godette di una speciale protezione regia tanto da essere definito domèstic e familiar del re e da essere escluso dal provvedimento di espulsione emanato contro gli italiani nel 1401. Il salvacondotto fu poi confermato nel 1402 a lui e al fratello Domenico de’ Pazzi in cambio del pagamento alla corona di un drappo d’oro. I suoi legami con il re d’Aragona si consolidarono grazie agli anticipi di denaro e alle agevolazioni concesse in favore del sovrano, sebbene non sempre in forma volontaria, nel periodo della ribellione del giudicato d’Arborea.

    Ulteriori affari legarono Andrea de’ Pazzi ad altre famiglie economicamente e politicamente rilevanti di Firenze. Nella prima decade del XV secolo fu agente della compagnia romana di Francesco de’ Bardi e Averardo di Francesco de’ Medici, per conto della quale operava nella circolazione delle lettere di cambio e nel trasferimento delle entrate ecclesiastiche tra la Camera apostolica, Avignone, Genova, Barcellona e Valenza. A partire dal 1422 Andrea de’ Pazzi ebbe una partecipazione nella filiale romana di Averardo de’ Medici intitolata “Francesco di Giacchinotto Boscoli & co.”, che gestiva affiancando Boscoli come socio minore insieme a Giuliano di Averardo de’ Medici.

    A Firenze partecipava poi con una quota di maggioranza a una compagnia con ragione sociale ‘Orimanno degli Albizi’ che trafficava in tessuti auroserici. L’enorme disponibilità di liquidità di Andrea de’ Pazzi è attestata dal fatto che, negli anni Venti, la filiale fiorentina della sua compagnia arrivò a prestare al governo di Firenze ben 58.524 fiorini per coprire le spese di guerra. Inoltre in questa stessa epoca ebbe una partecipazione nella ragione sociale delle ‘galee di Ponente’, nell’ambito dell’organizzazione della navigazione di Stato della Repubblica fiorentina. Di una di queste imbarcazioni il figlio Antonio fu patrono nel 1440.

    La spiccata vocazione commerciale che contraddistinse Andrea de’ Pazzi è colta, seppur in modo critico, da Vespasiano da Bisticci nelle prime righe della vita dedicata al figlio Piero: «Meser Piero di meser Andrea de’ Pazi, familia nobile et antica nella città, ebbe meser Piero assi buona notitia delle lettere latine, dette opera alle greche, ma nonne seppe molte. La cagione che meser Piero dette opera alle lettere latine, si fu che, sendo figliuolo di meser Andrea, et essendo giovane di bellissimo aspetto et dato molto a’ diletti et piaceri del mondo, alle lettere non pensaba, sì perché il padre era mercatante, et come fanno quegli che non hanno notitia nolle istimano, né pensaba che il figliuolo vi dessi opera. Arebbe più tosto voluto che fussi mercadante» (Bisticci, 1859, p. 372).

    Dalla fine del Duecento la famiglia Pazzi era stata dichiarata magnatizia e per tanto esclusa dai consigli governativi della città. Per aprire la strada delle cariche pubbliche a se stesso e ai suoi discendenti, Andrea de’ Pazzi rinunciò allo status di magnate con un documento privato in cui dichiarava di aver svolto sin da ragazzo le attività commerciali. Nonostante la rinuncia, ottenne di poter conservare il nome e lo stemma di famiglia. Essendo già di mezza età e avendo parzialmente affidato gli affari al figlio Antonio, iniziò a dedicarsi attivamente alla politica cittadina ricoprendo cariche di rilievo: fu eletto tra i dodici Buonuomini nel 1434 e nel 1442, tra i Priori nel 1440, nella Mercanzia nel 1432 e nel 1442, nell’arte di Calimala nel 1430, 1439 e nel 1442 (Archivio di Stato di Firenze, Tratte, serie V, reg. 601, c. 168; reg. 602, c. 100; reg. 603, c. 34; reg. 83, cc. 23, 113; reg. 84, cc. 29, 175, 313).

    Il saldo rapporto con la Casa d’Aragona entrò in crisi durante il regno di Alfonso il Magnanimo per la vicinanza di Andrea de’ Pazzi a Renato d’Angiò, rivale dell’aragonese nella successione al trono di Napoli. Nel 1434 il re d’Aragona si lamentò con i consiglieri di Barcellona che, su pressione del ceto mercantile, avevano eletto Andrea de’ Pazzi console dei catalani a Pisa e chiese la deposizione immediata di quello che definiva il tesoriere di Renato d’Angiò. Effettivamente i legami che intercorsero tra il fiorentino e l’angioino furono significativamente stretti. Nel 1442 il pretendente al trono di Napoli passò un periodo a casa di Pazzi, insignendolo delle sue armi. Andrea de’ Pazzi non nascose mai tale alleanza e anzi ne fece un vanto manifesto, tanto da celebrarla nelle decorazioni presenti sulle finestre e sul colonnato del suo palazzo e da dare il nome di Renato al proprio nipote.

    Nel 1429 Andrea commissionò a Filippo Brunelleschi una cappella con nome di famiglia dedicata a s. Andrea posta nella chiesa di S. Croce a Firenze. Andrea de’ Pazzi morì nel 1445.

    I lavori della cappella, che si protrassero dopo la morte del mecenate e dell’architetto nel 1446, non videro mai la conclusione per le conseguenze subite dalla famiglia Pazzi in seguito alla congiura contro i Medici.

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    CITAZIONE
    Jacopo de’ Pazzi – Nacque nel 1423, ultimo figlio di Andrea di Guglielmino e di Caterina di Jacopo di Alamanno Salviati. Suoi fratelli maggiori furono Antonio, Guglielmo e Piero; sue sorelle Lena e Albiera, andate in spose rispettivamente a Lamberto di Bernardo Lamberteschi e Lorenzo di Ilarione dei Bardi.

    Accatastato nel quartiere di S. Giovanni, gonfalone Chiavi, nel 1445, alla morte del padre, insieme con i due fratelli maggiori Antonio e Piero (Guglielmo era già morto prematuramente almeno dal 1439), entrò in possesso della gigantesca eredità di famiglia. Pochi anni dopo, nel 1451, morì Antonio e nell’autunno 1464 anche Piero; nelle mani di Pazzi e dei suoi molti nipoti (in parte nati da Piero, in parte da Antonio) si concentrò così l’intero patrimonio familiare.

    Nel 1442 Pazzi aveva preso in moglie la giovanissima Maddalena di Antonio Serristori.

    È alla prima fase della sua vita pubblica che risalgono alcune lettere inviate a Giovanni di Cosimo de’ Medici, tra il 1442 e il 1447 (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, V, 442, 598; VII, 229), rivelatrici di familiarità con la casa Medici. Dello stesso tenore, almeno formalmente, è la lettera di condoglianze per la morte di Cosimo il Vecchio che Pazzi inviò da Lione nell’ottobre 1464 a Piero de’ Medici (ibid., CLXIII, 39).

    Intanto, nel consueto percorso di ascesa ai pubblici incarichi che interessava i cittadini dell’élite, Pazzi ottenne per due volte, nel 1455 e nel 1463, la carica di priore. Fu inoltre gonfaloniere di Giustizia nel 1468 e dei Dodici buonuomini nel 1473, mentre le estrazioni della cedola con il suo nominativo che si ebbero nel 1467 andarono a vuoto perché era fuori città. Estratto all’ufficio dei Dodici in due altre occasioni, nel 1462 e nel 1474, in entrambe fu trovato insolvente con il fisco e dunque ineleggibile: è forse proprio a questa vicenda che va fatta risalire la lettera scritta, nel dicembre del 1474, a un Lorenzo il Magnifico apparentemente più patrono che antagonista, con la quale Pazzi chiese esplicitamente di poter essere accolto «nel numero de’ principali» (ibid., XXX, 1065).

    Erede del banco di cui era stato a capo il padre Andrea, Pazzi fu, tra le altre cose, socio preminente di una bottega dell’arte della seta nella quale operò per più di venti anni (Spallanzani, 1987, p. 312). Per la sua straordinaria ricchezza, nel Catasto del 1457 figurava nel ristretto numero di famiglie cittadine tassate per una cifra compresa tra 50 e 100 fiorini: si trattava di sole otto famiglie, tra le quali era anche quella dei suoi nipoti, figli del fratello Antonio (De Roover, 1988, p. 44). Il suo capitale annoverava numerosi beni immobili e poderi nel contado fiorentino, a Montughi, Careggi, Fiesole, Montemurlo, Prato, quote di denari di Monte e molte società in affari; per sbrigare la corrispondenza d’affari e gestire i bilanci Pazzi stipendiava appositamente un giovane contabile la cui attività denunciò nello stesso Catasto del 1457.

    All’ingente patrimonio e agli uffici pubblici, Pazzi unì titoli onorifici di pubblica visibilità: il 24 febbraio 1469, mentre era in carica come gonfaloniere di Giustizia, i consigli deputati decisero di insignirlo del cavalierato, cosa che, come ricorda Lionardo Morelli «si fece con molta festa e allegrezza detto dì» (Cronaca di Lionardo di Lorenzo Morelli..., in Cronache..., a cura di I. di San Luigi, 1785, p. 185).

    Così come i fratelli, inoltre, Pazzi sovvenzionava la cerimonia del fuoco benedetto, il fuoco distribuito ai fedeli nel giorno del sabato santo, in cui simbolicamente riviveva il ricordo dell’avo Pazzino, che aveva partecipato alla prima crociata con Goffredo di Buglione. L’iconografia del fuoco ricorre anche nei capitelli del cortile interno del palazzo Pazzi Quaratesi, edificato sul canto de’ Pazzi che ancora oggi occupa l’angolo tra via del Proconsolo e borgo degli Albizzi. Sebbene una tradizione datata abbia fatto risalire al padre Andrea il progetto del palazzo, attribuendo invece a Pazzi la responsabilità di averlo distrutto in un tentativo di rifacimento, è invece fortemente probabile che sia stato proprio Pazzi a farlo edificare, tra il 1458 e il 1462, secondo nuovi criteri architettonici, al posto dell’originario edificio trecentesco e ad ampliarlo con gli ambienti di una casa adiacente ottenuta dal fratello Piero nel 1462 tramite lodo.

    Se vi è ancora incertezza su chi fu l’artefice del progetto e della costruzione dell’edificio, è tuttavia sicuro che Giuliano e Benedetto da Maiano svolsero una lunga attività per Pazzi. Dopo la congiura antimedicea, tra l’estate del 1478 e quella del 1479, i due architetti presentarono una istanza al Comune di Firenze per ottenere soddisfazione, sui beni confiscati ai Pazzi, di crediti per lavori eseguiti nel palazzo di via del Proconsolo, nella villa di Montughi e nella cappella di famiglia in S. Croce.

    L’evento decisivo della vita di Pazzi fu il coinvolgimento nella congiura ordita contro la famiglia Medici nell’aprile 1478. Il ritratto più vivace che si ha di lui, certo non imparziale, viene dal Commentario alla congiura dei Pazzi di Angelo Poliziano, dove è dipinto come un iracondo e bestemmiatore, preda del vizio del gioco, uso, in caso di sfortuna, a lasciarsi andare a una collera furiosa. Inoltre, Poliziano lo presenta affetto da vizi opposti come la terribile avarizia e un’altrettanto terribile smania di sperpero. Membro di una famiglia nel complesso poco gradita al partito dominante mediceo, Pazzi – la cui autorità è riconosciuta da Machiavelli (Istorie fiorentine, VIII, II) con l’uso del termine ‘capo’ impiegato per indicarlo – è considerato da Poliziano di gran lunga il peggiore esponente del suo casato.

    Tra i principali compagni di Pazzi nella congiura antimedicea furono il nipote Francesco di Antonio, l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, suo fratello Jacopo, un secondo Jacopo Salviati, e i concittadini Jacopo di Poggio Bracciolini e Bernardo di Giovanni Bandini già dei Baroncelli. Tra i personaggi minori furono Antonio Maffei da Volterra e un prete, scrivano di Pazzi, tale Stefano di ser Niccolò da Bagnone, cui Pazzi aveva affidato ufficialmente l’educazione della sua unica figlia Caterina, nata fuori dal matrimonio. Sebbene non vi sia sicurezza sul fatto che della trama fossero a conoscenza i due nipoti, Renato di Piero e Guglielmo di Antonio, anche costoro rimasero vittima della dura reazione medicea.

    L’occasione per realizzare il disegno dei congiurati fu data dalla presenza a Firenze del cardinale Raffello Riario, nipote del conte Girolamo a sua volta nipote del pontefice Sisto IV. Era previsto che il cardinale, ospite nella villa dei Pazzi a Montughi, il 26 aprile 1478, si recasse a Firenze in visita ai sontuosi arredi del palazzo Medici, dove Lorenzo avrebbe allestito un banchetto da consumarsi dopo la messa in Duomo. Qui i congiurati progettavano di colpire. Una volta appreso che Giuliano non avrebbe partecipato al pranzo, i cospiratori decisero di agire in Duomo. Quando l’officiante prese la comunione, segnale convenuto per dare avvio all’azione, Bandini, Francesco de’ Pazzi e altri accerchiarono Giuliano e lo pugnalarono al petto. Lorenzo invece, aggredito alla gola da Maffei, riuscì a difendersi, provocando la reazione del suo seguito, la fuga dei sicari e il tumulto della cittadinanza.

    Consapevole ormai che il tentativo era andato fallito, ma ancora forte dei suoi accoliti, Pazzi si recò in piazza della Signoria per chiamare il popolo in armi: il suo appello rimase però inascoltato, ed egli rischiò di essere colpito dalla violenta sassaiola che gli si scatenò contro dall’alto del Palazzo. Sulla via di casa, come racconta Machiavelli, incontrò il cognato Giovanni Serristori, uomo di parte medicea prima che suo parente acquisito, il quale «lo confortò a tornarsene a casa affermandogli che il popolo e la libertà era a cuore degli altri cittadini come a lui» (Istorie fiorentine, VIII, VIII). Perduta ogni speranza, Pazzi si risolse a fuggire dalla città muovendo verso porta alla Croce scortato da una banda d’armati. I medicei, nel frattempo, ripreso il controllo del Palazzo si diedero alla repressione violenta. La casa dei Pazzi fu a fatica risparmiata dal saccheggio. Francesco de’ Pazzi, che per le gravi ferite a una gamba si era rifugiato nell’abitazione dello zio, venne tratto all’esterno grazie all’intervento di Piero Corsini, interrogato dagli Otto di guardia e subito impiccato nella piazza della Signoria, a fianco di un altro cospiratore, l’arcivescovo Salviati.

    Pochi giorni dopo anche il destino di Pazzi si compì. È ancora Poliziano a raccontarlo, non senza qualche licenza narrativa. Ormai abbandonato da tutti, fu scoperto nei pressi di San Godenzo, in località Il Castagno, da un giovane contadino, la cui pietà egli tentò di comprare invano, con l’offerta di alcuni fiorini d’oro, perché gli facesse la grazia di consegnarlo già morto ai suoi nemici. Pazzi fu tradotto in palazzo Vecchio, dove confessò ogni cosa senza necessità di ricorrere alla tortura.

    Poche ore dopo, il 28 aprile anche lui fu impiccato a una finestra del palazzo dei Priori; la stessa sorte toccò al nipote Renato.

    Le conseguenze della cospirazione ebbero un tragico impatto sulla famiglia. Non solo nei giorni immediatamente a seguire (tra il 17 e il 19 maggio vennero imprigionati nelle Stinche e poi nella Rocca di Volterra i nipoti), ma soprattutto nella lunga durata. I beni dei Pazzi vennero posti sotto sequestro il giorno successivo all’uccisione di Giuliano de’ Medici, anteriormente alla convocazione dei Cinque ufficiali dei ribelli prevista per i primi di maggio. Le proprietà furono confiscate e messe in vendita ancora prima che i colpevoli fossero legalmente condannati: dagli immobili tutto venne battuto all’asta e svenduto. Fu stabilita anche la commissione di Sei ufficiali procuratori e sindaci per gli affari dei Pazzi, che cominciò a lavorare nel maggio del 1480 (Brown, 2002, pp. 352 s.). Alla confisca si accompagnò un infamante decreto di damnatio memoriae, con cui si stabiliva, tra le altre cose, che il nome e lo stemma dei Pazzi dovessero essere cancellati in perpetuo, che nessuno potesse più imparentarsi con loro, pena l’esclusione dai pubblici uffici e l’esser considerato pubblico ribelle (la provvisione del 23 maggio è pubblicata in Poliziano, 1958, p. 61). È possibile che una parte cospicua del patrimonio di Pazzi sia stato trasmesso in eredità ai fratelli di sua moglie (la famiglia Serristori era intima di Lorenzo il Magnifico e partecipò alla confisca e al saccheggio dei beni dei traditori).

    Il corpo, per la troppa pioggia caduta in quei giorni, fu deposto in S. Croce nella tomba di famiglia, ma, ritenuto indegno di riposare in suolo consacrato, fu dissepolto e inumato, lungo le mura «tra la porta alla Croce alla porta alla Giustizia» (Landucci, 1969, p. 21). La domenica seguente una banda di ragazzi estrasse da terra il cadavere e ne fece oggetto di vilipendio. Il corpo nudo, legato a un bastone fu trascinato in macabra processione per la città e infine gettato in Arno, all’altezza del ponte Rubaconte. Il cadavere trasportato dalla corrente non mancò di ispirare strambotti e canzoni dissacranti.

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    CITAZIONE
    Francesco de' Pazzi - (Firenze, 28 gennaio 1444 – Firenze, 26 aprile 1478) è stato un banchiere italiano, tra i principali responsabili della Congiura dei Pazzi.

    Francesco era uno dei tre figli di Antonio de' Pazzi, fratello di Jacopo de' Pazzi.

    La famiglia Medici ha sempre avuto numerosi nemici in ogni generazione, in particolare per via della sua supremazia economica e politica che disturbava spesso altre famiglie di maggiorenti. La congiura detta dei Pazzi fu però l'unica che portò delle gravi conseguenze, con la morte di Giuliano de' Medici sotto le coltellate dello stesso Francesco e di Bernardo Bandini, e il tentato omicidio di Lorenzo de' Medici la mattina di domenica 26 aprile 1478.

    L'ideatore viene generalmente indicato come Francesco stesso, che era tesoriere pontificio, avendo ottenuto la gestione della Depositeria Apostolica da Sisto IV, nonché favorito del pontefice, il quale approvava la congiura e cercò altri alleati esterni. Francesco inoltre si era legato in amicizia con il nipote del papa Girolamo Riario, per incontrare il quale si recava spesso a Roma.

    Nella stessa famiglia anche lo zio di Francesco, Jacopo fu tra i principali responsabili, e i congiurati si servirono della parentela di Guglielmo de' Pazzi, fratello di Francesco, con i Medici (era cognato del Magnifico, perché marito di sua sorella Bianca) per avvicinarsi ai loro nemici segreti.

    Tra le cause scatenanti venne anche individuata una questione di eredità di un altro fratello di Francesco, Giovanni de' Pazzi, al quale il Magnifico aveva dato un arbitrato sfavorevole per i Pazzi.

    Al momento dell'azione vera e propria Francesco, con Bernardo Bandini, andò a prendere a casa Giuliano de' Medici (si riporta come lo abbracciò per vedere se portasse una cotta di maglia di ferro a protezione, ma non la indossava) e durante la messa in Santa Maria del Fiore entrambi lo colpirono a morte. Francesco fu così preso dalla foga omicida che si ferì a una gamba. Se Giuliano però moriva (fatale fu una coltellata alla testa che gli sfondò il cranio), Lorenzo si salvò. La congiura però fallì soprattutto per il tempismo sbagliato delle truppe esterne che dovevano occupare la città e per il sostegno popolare del quale godevano i Medici a Firenze: fu la folla stessa inferocita a stanare Francesco ed a linciarlo e impiccarlo poche ore dopo l'attentato.

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    CITAZIONE
    Guglielmo de’ Pazzi – Nacque il 6 agosto del 1437 da Antonio di Andrea de’ Pazzi e Niccolosa degli Alessandri.

    Nel 1460 Guglielmo prese in moglie Bianca, figlia di Piero di Cosimo dei Medici, e sorella di Lorenzo il Magnifico, nel quadro di un progetto nuziale mirante ad attenuare le tensioni che venivano affiorando tra due famiglie così ricche e potenti. A lui e a Giovanni era intestata la ragione sociale dell’azienda di Roma. Inoltre, già dai primi anni Sessanta fu titolare di una banca a Ginevra insieme a Francesco Nasi, corrispondente del banco Cambini tra il marzo 1461 e il dicembre del 1462 (Tognetti, 1999, p. 228). Nel 1466 a Guglielmo e a Nasi si associò Francesco Capponi: i tre fondarono un’importante banca a Lione, ancora tra i corrispondenti dei Cambini tra il 1472 e il 1473.

    La ditta, che rappresentò fino al 1478 la concorrenza più qualificata nei confronti dei Medici (De Roover, 1963, trad. it. 1988, pp. 448 e 531; Spallanzani, 1987, pp. 307-310) venne meno in seguito alla congiura dei Pazzi in cui furono coinvolti i fratelli di Guglielmo. Il rapporto tra Pazzi e Cambini si ripropose in una forma assai meno solidale poco dopo i fatti del 1478: fu proprio un Cambini, Francesco, a ottenere l’incarico di curare, per conto dei Medici, la confisca dei beni dei Pazzi in seguito alla condanna (Böninger, 1998, p. 50).

    Pur trovandosi a Roma dall’autunno del 1464 almeno fino al gennaio successivo, certo a seguito degli affari dell’azienda, fu proprio lui nel mese di maggio ad accompagnare Lorenzo nella sua prima missione ufficiale presso la corte sforzesca: l’occasione nasceva dall’arrivo a Milano del giovanissimo Federigo d’Aragona incaricato di prendere in consegna Ippolita, figlia del Duca e sua futura cognata, per scortarla a Napoli dove si sarebbero celebrate le sue nozze con Alfonso, Duca di Calabria. La familiarità con Lorenzo emerge anche dalla corrispondenza superstite: con una lettera dell’aprile 1468 Guglielmo ne caldeggiava al Magnifico il latore, «ser Geronimo sta con Iacopo Alexandri per ripetitore», aggiungendo a suggello, l’assenso della moglie, «Raccomandotelo di buono chuore quanto posso, e ’l simile fa la Biancha» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Avanti il Principato, filza XX, 386). Il rapporto di intesa e amicizia che tra i due si era instaurato, tuttavia, non impedì a Lorenzo di impiegarlo a suo vantaggio, ora tentando di porlo al margine della vita politica fiorentina, ora utilizzandolo come pedina interna per contrastare le ambizioni di individui più temibili come suo zio Jacopo Pazzi; il fatto che Guglielmo fosse stato ammesso a far parte della Balìa del 1471 era, secondo i dispacci degli ambasciatori milanesi allo Sforza, il risarcimento concesso da Lorenzo alla famiglia per averne tenuto fuori Jacopo (Martines, 2003, trad. it. 2004, p. 101).

    Accatastato con i fratelli minori Giovanni e Francesco nel quartiere di S. Giovanni, Guglielmo possedeva, alla denuncia fiscale del 1469, molti immobili cittadini nell’area di San Pier Maggiore e poderi nel contado tra San Donato alle Torri, Gaville, Remole e Quona.

    Anche se Guglielmo fu certamente il meno antimediceo della casa, fu tuttavia intorno alle figure dei suoi fratelli Francesco e Giovanni che si coagulò, dopo la morte di Piero dei Medici, l’intolleranza per l’operato del Magnifico. I motivi di conflitto tra i Pazzi e Lorenzo, erano numerosi: la ricchezza dei primi e il potere del secondo davano origine a continui attriti, e lo stesso Machiavelli (Storie, VIII, I-II) riteneva che allo sdegno dei Pazzi per non aver ricevuto da Lorenzo onori adeguati al loro status, facesse eco, in costui, il timore che costoro accumulassero troppo potere.

    La tesoreria papale, un tempo in mano ai Medici e gestita nella sede romana da Giovanni Tornabuoni, a seguito di inimicize incorse fra il papa e Lorenzo venne ceduta ai Pazzi: fu il fratello Francesco, che abitava a Roma – dove era anche titolare di una compagnia a suo nome – che ottenne da Sisto IV l’ufficio della depositeria apostolica tolta al Magnifico e fu ancora Sisto IV, nel giugno del 1476, a trasferire dalla banca Medici a quella Pazzi, il monopolio dell’allume. Poco dopo il passaggio della tesoreria, la vacanza delle sedi arcivescovili di Firenze prima, di Pisa poi, tornarono nuovamente a opporre Lorenzo dei Medici e Francesco dei Pazzi: per la sede fiorentina, infatti, la candidatura di Rinaldo Orsini, cognato del Magnifico, si scontrava con quella di Francesco Salviati, cugino di Pazzi. E se in questo caso ebbe la meglio Rinaldo Orsini che fu eletto arcivescovo il 24 gennaio del 1474, neanche dieci mesi dopo, il 14 ottobre dello stesso anno, Salviati otteneva l’arcivescovato di Pisa con il favore di Sisto IV. Le controversie che ne originarono si protrassero per un anno intero. In questo panorama intervenne, a dare il colpo di grazia, il caso dell’eredità Borromeo. Protagonista l’altro fratello di Guglielmo, Giovanni, che aveva sposato la figlia del ricco mercante Giovanni Borromeo. Nel venire a morte senza figli maschi, Borromeo aveva stabilito che le sue sostanze pervenissero in eredità alla figlia Beatrice e, di conseguenza, a Giovanni dei Pazzi suo marito. La disposizione scatenò il disaccordo di Carlo Borromeo, nipote del defunto, che aspirava all’eredità dello zio. Ad avallarne le pretese intervenne il Magnifico che, nel marzo del 1477, fece emanare una legge con cui si vietava alle figlie di ereditare i beni del padre in presenza di nipoti maschi. Così, il patrimonio destinato in origine ai Pazzi finì per essere assegnato a Borromeo.

    Sebbene Guglielmo fosse probabilmente davvero estraneo alla congiura che ne seguì, il diretto coinvolgimento dei suoi fratelli spiega perché anche egli fu colpito dalla repressione che ne seguì e condannato, con sentenze del 28 aprile, a un esilio da 5 a 20 miglia (A. Perosa, in A. Poliziano, Della congiura dei Pazzi (Coniurationis commentarium), 1958, pp. 83-86). L’esilio venne revocato solo a distanza di sedici anni, nel 1494, ma nonostante la dura punizione il legame con i Medici non tardò a far sentire i suoi effetti: già nel 1480 gli venne concesso di potersi spostare, seppure a debita distanza da Firenze (a Valenza, da dove continuò a scriversi con il Magnifico, almeno dal novembre 1481 al marzo del 1483, Protocolli del carteggio di Lorenzo il Magnifico per gli anni 1473-74, 1477-92, a cura di M. Del Piazzo, 1956, pp. 173, 197, 225) e anche i buoni matrimoni delle figlie, negli anni successivi, rivelano uno stato di cose meno drammatico di quanto si potesse presagire.

    Tuttavia, se la parentela con i Medici giovò a Guglielmo una sorte migliore di quella che toccò ai fratelli imprigionati e giustiziati, essa non valse a risparmiargli l’onta dell’esproprio quando i beni di famiglia vennero messi in vendita: tra questi il palazzo, che le fonti descrivono con un giardino adorno di sculture, tra cui una bella fontana in granito realizzata da Donatello a imitazione di quella fatta per Cosimo dei Medici (Elam, 1992, p. 64), che venne acquistato da Carlo Borromeo.

    Come è ovvio, infine, le conseguenze del 1478 si abbatterono in maniera decisiva anche su quella che già appariva come una carriera politica frammentaria. Se infatti, eccetto il Priorato ricoperto nel 1467, le restanti elezioni erano andate a vuoto per mancato raggiungimento dell’età richiesta, dalla fine degli anni Settanta l’estrazione del suo nome agli uffici maggiori crollò a causa dei più svariati impedimenti: insolvente con il fisco nel 1481, inabile nel 1484 e nel 1485, cedola dilaniata nel 1485, al confino nel 1494. Con la cacciata dei Medici e la venuta di Carlo VIII, Guglielmo ritornò a Firenze dove ricoprì vari incarichi diplomatici e amministrativi, guadagnandosi tuttavia una mediocre reputazione. Solo alla revoca del bando fece seguito un progressivo e tenue recupero che lo portò, nel 1512, all’età di 75 anni a rivestire l’ufficio di gonfaloniere di Giustizia. Vedovo di Bianca ormai dal 1488, che lo aveva reso padre, tra maschi e femmine, di tredici figli, Guglielmo morì in età avanzata nel 1516.

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    Proprio ieri avevo pensato a un topic simile leggendo di Guglielmo de’ Pazzi, quella del matrimonio con Bianca dei Medici era una storia che non conoscevo e che ha quasi il sapore di una tragedia all'antica. Poi sedici figli non sono pochi, magari non si volevano neanche male.
     
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    È inutile dirlo, ma io e te ci leggiamo nel pensiero Laura xD Anche io ieri stavo leggendo delle biografie sui Congiurati e ho deciso di aprire il topic!

    Guglielmo d'altronde era stato considerato innocente dal Magnifico dopo la Congiura, e fu l'unico che si salvò la vita da una condanna a morte. Non ho letto l'intera fonte che ho copiato, ma penso ci sia scritto. Si dice infatti che Guglielmo, qualche ora dopo l'assassinio di Giuliano, si aggirò tra le navate del duomo gridando che lui non era stato coinvolto in nessun modo nella Congiura e che non ne era minimamente a conoscenza.
    Nonostante le confische di tutti i beni della famiglia che non furono risparmiate a nessuno dei suoi membri; con Guglielmo si dovrebbe intuire che i Pazzi non erano tutti 'cattivi' come ce li immaginiamo! E d'altronde anche il Montesecco, al quale fu chiesto dalla famiglia di uccidere i fratelli Medici, si era ritirato completamente dalla scena per la profonda ammirazione che aveva provato per Il Magnifico dopo un loro primo incontro.

    Su Francesco de' Pazzi so che ebbe due figli: Vieri e Viola. Ma su di loro non sappiamo tecnicamente nulla.

    Wikipedia mi dice che questa sarebbe la tomba di Francesco in Santa Croce:

    1280px_Tomba_di_francesco_pazzi_scuola_di_tino_di_camaino


    Edited by theflorentineangel - 28/3/2017, 22:10
     
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    Sì Guglielmo fu ritenuto innocente e "solo" esiliato, seguito dalla moglie.
    Francesco mi fa proprio schifo onestamente, forse lo guardo con l'occhio troppo moderno ma la storia dell'abbraccio se è vera è da Giuda.
     
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  5. cherclarice
     
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    Uuu bel topic! Mi riconferma che in realtà i Pazzi non fossero da sempre avversi ai Medici come si dice un po' ovunque xD Del resto del carattere piuttosto occasionale delle amicizie medicee è emblematico il rapporto tra Diotisalvi Neroni, Luca Pitti e (?nonricordo) Acciaiuoli, e Cosimo e Piero, rispettivamente di sodalizio stretto e ostilità. E riguardo Francesco personalmemte non credo che il suo gesto di abbracciare Giuliano volesse essere una crudeltà aggiunta e gratuita, o forse anche, ma piuttosto un espediente pratico per accertarsi che non portasse armi, come la congiura in Santa Maria del Fiore non dovesse rappresentare in fin dei conti il culmine blasfemo di una vita compiacentemente scellerata (Poliziano FORSE non sei la fonte più attendibile del mondo a riguardo XD)
     
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    CITAZIONE (cherclarice @ 4/12/2016, 13:13) 
    Uuu bel topic! Mi riconferma che in realtà i Pazzi non fossero da sempre avversi ai Medici come si dice un po' ovunque xD Del resto del carattere piuttosto occasionale delle amicizie medicee è emblematico il rapporto tra Diotisalvi Neroni, Luca Pitti e (?nonricordo) Acciaiuoli, e Cosimo e Piero, rispettivamente di sodalizio stretto e ostilità. E riguardo Francesco personalmemte non credo che il suo gesto di abbracciare Giuliano volesse essere una crudeltà aggiunta e gratuita, o forse anche, ma piuttosto un espediente pratico per accertarsi che non portasse armi, come la congiura in Santa Maria del Fiore non dovesse rappresentare in fin dei conti il culmine blasfemo di una vita compiacentemente scellerata (Poliziano FORSE non sei la fonte più attendibile del mondo a riguardo XD)

    Mi sembra una cosa brutta a prescindere dallo scopo che aveva, che d'altronde era già precisato nel post che ho commentato prima. Insomma capisco la sua utilità pratica, ciò non toglie che sia pretty shitty se mi spiego bene? XD
    Mentre l'assassinio in chiesa era in un certo senso una mossa "necessaria" per i "poveri" congiurati per motivi pratici, a quanto ho letto da qualche parte: brevemente, in chiesa sapevano di trovare le vittime.
     
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    CAPPELLA PAZZI

    CITAZIONE

    La cappella Pazzi è una delle più note architetture rinascimentali, esemplare e rigorosa, capolavoro di Filippo Brunelleschi, e si trova incastonata nel primo chiostro della basilica di Santa Croce a Firenze

    20162814_28_2


    STORIA

    Nel 1423 un vasto incendio distrusse la zona del dormitorio e parte della biblioteca del convento di Santa Croce. Per riparare i danni e ricostruire gli ambienti si fecero avanti il Comune e alcune delle più ricche famiglie cittadine, tra cui i Medici, gli Spinelli e i Pazzi. Andrea de' Pazzi in particolare, già dal 1429 dovette offrirsi per ricostruire la sala capitolare, creando una cappella che, nella parte posteriore, avrebbe anche accolto le sepolture della sua famiglia. Venne dedicata a sant'Andrea, patrono omonimo del committente.

    Estremamente difficile, per la scarsità di documenti, è stabilire la cronologia della costruzione della cappella, che comunque dovette procedere con molta lentezza. Il coinvolgimento di Filippo Brunelleschi è in genere datato al 1429, subito dopo il termine dei lavori alla Sagrestia Vecchia di San Lorenzo. Nella portata al catasto del 1433 Andrea de Pazzi si ha un primo documento dell'impegno per la ricostruzione del capitolo (quasi certamente sul sito di quello vecchio andato distrutto), ma fino al 1442 non esistono documenti dell'effettivo avvio dei lavori. Le difficoltà economiche rallentarono probabilmente la costruzione avviata, con una ripresa tra il 1442 e il 1446. Nel 1443 si sa che papa Eugenio IV "rimase a cena sul Capitolo di Santa Croce", che era completo solo fino alla trabeazione, e nel 1445 il testamento di Andrea, morto quell'anno, destinava una cospicua somma al completamento della cappella. Un anno dopo morì Brunelleschi, bloccando di nuovo il cantiere. A quegli anni risalgono le opere di Luca della Robbia, amico di Brunelleschi, che gli preferì Donatello col quale aveva avuto un conflitto per la decorazione della sagrestia Vecchia in San Lorenzo. Cupola e volte vennero terminati solo nel 1459 e il portico nel 1461, come indicano le iscrizioni rispettivamente nel tamburo e sulla volta esterna.

    Né nel 1469, né nel 1473 la cappella era completata, poiché vi venivano destinati nuovi fondi, in particolare, alla seconda data, da parte del cardinale Pietro Riario. Nel 1478 era ancora in corso la costruzione del portico, terminato negli anni immediatamente successivi. In quell'anno però la famiglia Pazzi veniva annientata per gli esiti della congiura contro i Medici, lasciando futuri accrescimenti incompiuti.



    320px_Pazzi_chapel___Filippo_Brunelleschi


    DESCRIZIONE

    Con un arco di tempo così ampio per il completamento dei lavori è un problema definire con precisione cosa spetti alla paternità del [CENTER]Brunelleschi e cosa sia stato frutto dei suoi continuatori; una parte della critica propende oggi per riconoscere al grande architetto almeno il progetto nelle linee essenziali sia della struttura interna che esterna, compreso il portico, che rappresenterebbe l'unica facciata brunelleschiana. Altri escludono riferiscono invece il portico a Giuliano da Maiano.

    La cappella è comunque un ottimo esempio di eleganza e sobrietà in architettura, con una maestosa padronanza dei rapporti fra i volumi dell'edificio a vantaggio dell'armonia generale dell'insieme. Le decorazioni si manifestano all'osservatore solo in un secondo momento, nel soffermarsi sui dettagli, completando l'ambiente senza appesantirlo e rubare la scena allo spazio architettonico ed alla sacralità dell'edificio.

    Lo schema generale, come nelle altre opere di Brunelleschi, si ispira a un precedente medievale, in questo caso la sala capitolare di Santa Maria Novella (il Cappellone degli Spagnoli, costituito da un vano principale a pianta rettangolare con scarsella), per innovarla applicando scelte di estremo rigore, innestate su alcuni elementi tratti dall'architettura romana e romanica fiorentina. Straordinaria, e spiegabile solo grazie all'intervento regolatore del grande architetto, è l'armonia di proporzioni in un edificio così strettamente vincolato da altri edifici preesistenti su tre lati, tra cui la cappella Medici di Michelozzo, la cappella Baroncelli e la cappella Castellani.



    ESTERNO

    La facciata della chiesa si affaccia sul primo chiostro di Santa Croce. Alcuni la attribuiscono alla continuazione di Giuliano da Maiano, altri invece la riferiscono al disegno originale del maestro, messo in opera dopo la sua morte. Importante è la sua funzione di mediazione spaziale e filtro per la luce, che arriva all'interno in maniera diffusa e omogenea.

    Il portico anteriore ricorda la solenne struttura degli archi di trionfo romani. Sei colonne corinzie di pietra serena sostengono un attico alleggerito, spartito in riquadri delimitati da lesene a coppie e interrotto al centro dall'arcata a tutto sesto, memore dei motivi scenografici del pronao e dell'arco di trionfo del mondo antico. Il coronamento, incompiuto, è stato protetto da una tettoia a facciavista. Secondo il Vasari il progetto prevedeva un coronamento a timpano. Il fregio sull'architrave, con piccoli tondi che racchiudono teste di cherubini è opera attribuita a Desiderio da Settignano e artisti della scuola di Donatello. Il portico è coperto da volta a botte con cassettoni, mentre in corrispondenza dell'arcata si trova una cupoletta, il tutto ricoperto da rosoni in terracotta invetriata dove si incontra lo stemma Pazzi. La cupoletta in particolare spicca per la complessa decorazione dalla brillante policromia opera di Luca della Robbia, autore anche del tondo con Sant'Andrea (patrono del committente) sopra la porta. Arricchiscono l'insieme della cupola interna le conchiglie a rilievo negli angoli e, al centro, lo stemma dei Pazzi coi delfini entro una ghirlanda di foglie e frutti. Vi si legge inoltre la data "1461 A. DI 10 Giugno".

    Sull'architrave due angeli reggono un tondo con due delfini e cinque crocette ricrociate, arme moderna della famiglia Pazzi; nel timpano sprastante un rilievo di Sant'Andrea tra due angeli. I battenti lignei, finemente intagliati con figure floreali e geometriche e al centro rosoni con gli stemmi del Popolo e del Comune, furono realizzati da Giuliano da Maiano nel 1472. Ai lati della porta si aprono due alti finestroni centinati, incorniciati dalle lesene che corrispondono all'altezza delle colonne del portico.

    Sullo sfondo della facciata si eleva la cupola a ombrello che ricorda molto la Sagrestia Vecchia della basilica di San Lorenzo, impostata all'esterno entro un basso cilindro con copertura a cono (tamburo e sormontata da una leggerissima lanterna. è divisa in dodici spicchi su ciascuno dei quali si apre un oculo e può evocare simbolicamente il numero degli apostoli e la grazia (la luce) che filtra da essi dall'entità divina (il sole, all'esterno). Sull'intonaco del tamburo esterno è leggibile un'iscrizione in rosso dinopia che reca le parole "a d' 11 ottobre 1459 si fornì".



    INTERNO


    2016_12_08_01_06_00


    L'interno è molto essenziale e si basa, come a San Lorenzo, nel modulo a 20 braccia fiorentine (circa 11,66 metri), che è la misura della larghezza dell'area centrale, dell'altezza dei muri interni e del diametro della cupola, in modo da avere un cubo immaginario sormontato da una semisfera. A questo schema vanno aggiunte le due ali laterali (coperte da volta a botte cassettonata e con rosoni), un quinto ciascuno rispetto al lato del cubo centrale, e la scarsella dell'altare (con cupoletta), larga un altro quinto, pari all'arco di ingresso. La principale differenza con la pianta della sagrestia Vecchia è quindi la base rettangolare, sebbene egregiamente mascherata, che fu influenzata dall'assetto degli edifici preesistenti attorno. Se si tiene conto però anche della scarsella e del portico esterno, ecco che, grazie alla compensazione delle ali laterali, la pianta torna inscrivibile in un quadrato.

    Una panca in pietra serena corre sul perimetro e venne costruita per permettere l'uso della cappella anche come sala capitolare dei monaci. Dalla panca si dipartono le paraste corinzie, sempre in pietra serena, che scandiscono l'ambiente e si collegano alle membrature superiori della trabeazione; grazie all'espediente della panca che fa da zoccolo, l'imposta delle lesene è la medesima anche nella scarsella, che è rialzata di alcuni gradini. L'apertura ad arco sopra il vano dell'altare è riprodotta anche sulle altri pareti, così come il profilo della finestra tonda sulla parete di accesso, creando un puro ritmo geometrico. La cupola è alleggerita dai sottili costoloni a rilievo e la luce inonda la cappella dalla lanterna e dalle finestrelle disposte sul tamburo. Il grigio omogeneo e profondo della pietra si staglia sul fondo a intonaco bianco, nello stile più tipico del grande architetto fiorentino.

    Un piccolo ambiente, accessibile da una porta nella parete destra della scarsella, era il luogo per la sepoltura dei membri della famiglia Pazzi e il culto privato. Sul lato opposto si trovava invece una porta che permetteva l'accesso alla basilica di Santa Croce, poi chiusa e smantellata.

    La decorazione plastica è strettamente subordinata all'architettura, come nella Sagrestia Vecchia: le pareti accolgono dodici grandi medaglioni in terracotta invetriata con gli Apostoli, tra le migliori creazioni di Luca della Robbia; più in alto si trova il fregio, sempre con il tema dei Cherubini come all'esterno e con l'aggiunta dell'Agnello, simbolo di Redenzione, ma anche della potente Arte della Lana. Nelle vele della cupola, altri 4 tondi policromi sempre in terracotta, rappresentano gli Evangelisti sono attribuiti a Andrea della Robbia o al Brunelleschi stesso che ne avrebbe curato il disegno prima di affidarne la realizzazione alla bottega dei Della Robbia: in queste opere si può cogliere la polemica di Brunelleschi contro le decorazioni troppo espressive di Donatello nella Sacrestia Vecchia, che avevano "invaso" il saccello disturbando, a suo parere, l'essenzialità dell'architettura. La dimensione e il punto di vista delle rappresentazioni è infatti calibrato su uno spettatore al centro della cappella, con i raggi dietro gli evangelisti e i loro libri scorciati in maniera accurata. I pennacchi ospitano stemmi della famiglia Pazzi.

    L'altare, di scuola donatelliana, è privo di ancona, cioè di una pala d'altare dipinta o scolpita. Secondo Brunelleschi era preferibile l'uso essenziale delle sole vetrate. Le due vetrate della scarsella completano il ciclo iconografico e sono state realizzate su disegno di Alesso Baldovinetti, raffigurando Sant'Andrea (quella rettangolare) e il Padre Eterno (nell'oculo), che è in diretta corrispondenza con il medaglione di Sant'Andrea sulla porta d'ingresso nel portico.



    LE RAPPRESENTAZIONI DEL CIELO


    440px-Cappella_pazzi,_cupoletta_della_scarsella


    Durante il Medioevo e poi il Rinascimento in molti edifici pubblici si ritrovano rappresentazioni celesti, ad esempio lo Zodiaco del palazzo della Ragione di Padova (1425-1440) e il salone dei Mesi di palazzo Schifanoiaa Ferrara (1469).

    Anche in due delle opere più famose di Brunelleschi si trova una volta stellata dipinta: la Sacrestia Vecchia della chiesa di San Lorenzo e la cappella dei Pazzi della chiesa di Santa Croce. In ambedue decora la cupoletta della scarsella, sopra l'altare, e rappresenta il cielo con le costellazioni che transitavano sopra Firenze il 4 luglio 1442. Per la volta stellata della Sacrestia di San Lorenzo abbiamo anche il nome del pittore che la eseguì, Giuliano d'Arrigo detto "il Pesello" su indicazione dell'astronomo e matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli; ambedue furono probabilmente anche gli autori dello stesso motivo nella Cappella de' Pazzi. La scelta della data è stata messa in relazione con la venuta a Firenze di Renato d'Angiò, che all'epoca veniva visto come il condottiero che poteva comandare una nuova crociata per la riconquista della Terrasanta e la sconfitta degli Ottomani che stavano mettendo in gravi difficoltà l'impero bizantino.



    RETAGGIO

    La cappella dei Pazzi rappresenta un'importante struttura nel quadro delle riflessioni sugli edifici a pianta centrale, iniziata dagli architetti del Rinascimento e proseguita con opere come le chiese di Santa Maria delle Carceri a Prato, San Biagio a Montepulciano o Santa Maria Nuova a Cortona. Anche la basilica di San Pietro in Vaticano era stata inizialmente progettata da Bramante con una pianta a croce greca. Nell'architettura religiosa questo modello fu poi abbandonato con la Controriforma e con l'affermazione generale della pianta a croce latina o comunque degli schemi ad asse longitudinale.


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    PALAZZO PAZZI


    CITAZIONE

    monumenti_vedere_visitare_firenze_Palazzo_pazzi_congiura_0

    palazzo_pazzi_coat_of_arms_orig_0

    Eretto per volontà di Jacopo de’ Pazzi tra il 1458 e il 1469 in una zona già segnata da possessi della famiglia (tra cui una torre posta in angolo con borgo degli Albizi), il palazzo, già creduto o di Michelozzo di Bartolomeo o di Filippo Brunelleschi, è stato riconosciuto quale opera di Giuliano da Maiano, pur non escludendo che questi sia stato il raffinato estensore materiale di un progetto di paternità brunelleschiana. Al di là della questione attributiva la fabbrica è comunque da considerare, sia per il periodo di costruzione, sia per l’eleganza delle forme, sia per le dimensioni, tra le più importanti della città, modello per molte altre residenze dei ceti dirigenti della Firenze tardo quattrocentesca. Il palazzo, confiscato a seguito della congiura ordita dai Pazzi ai danni di Giuliano e di Lorenzo il Magnifico (1478, dove perse la vita lo stesso Jacopo), passò alla famiglia francese dei d’Estonville, poi ai Cybo (1487) che, come Cybo Malaspina, lo utilizzarono per tutto il Cinquecento come residenza fiorentina (a questo periodo risale la denominazione dell’edificio come palazzo delle Marchesane di Massa). Acquistato nel 1594 dagli Strozzi e quindi proprietà dei Quaratesi dal 1760 al 1843, passò per varie mani (nel 1850 qui era la sede del Tribunale della Suprema Corte di Cassazione) fino all’acquisto fattone dalla Banca di Firenze nel 1913, che ne affidò il ripristino con le conseguenti trasformazioni all’architetto Adolfo Coppedè (1913-1915), che tra l’altro chiuse con una copertura in ferro e ghisa il cortile quattrocentesco all’altezza del primo piano, in modo da renderlo utilizzabile per servizi all’utenza. A questo intervento risale il monumentale ingresso all’ascensore e vari dipinti e vetrate di Galileo e Chino Chini. Acquistato nel 1931 dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale è stato restaurato nel 1960, questa volta su base filologica e con la direzione dei soprintendenti Ugo Procacci e Guido Morozzi. Osservando la fabbrica da via del Proconsolo, si noti come al piano terra, bugnato, si contrappongano i più leggeri piani superiori, con bifore (sulle quali ricorre il motivo di una barca con le vele gonfiate dal vento, impresa della famiglia allusiva ai traffici marittimi) che si distendono sulle superfici intonacate, forse originariamente trattate a graffito. Le finestre del piano terreno sono da far risalire al Seicento, in sostituzione di altre aperture decisamente più piccole. Si veda sull’angolata il grande scudo con l’arme dei Pazzi (d’azzurro, a due delfini d’oro guizzanti in palo addossati, posti in mezzo a cinque crocette fioronate), attribuito a Donatello, copia dell’originale conservato nell’androne e restaurato nel 2000. Nel cortile è un elegante porticato con colonne includenti, nei capitelli, lo stemma di famiglia con i due delfini e il vaso con il fuoco sacro, allusivo all’impresa di Pazzino de’ Pazzi in Terrasanta (al proposito si vedano anche le note relative al palazzo Pazzi Vitali in borgo degli Albizi 28). Il palazzo appare nell’elenco redatto nel 1901 dalla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti, quale edificio monumentale da considerare patrimonio artistico nazionale.


    PazziQuaratesi

    800px_Palazzo_pazzi_cortile_01


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    Edited by theflorentineangel - 8/12/2016, 16:32
     
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  8. cherclarice
     
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    La cappella è bellissima, mi mangio le mani ogni volta che ripenso al fatto che quando ho visitato Santa Croce era in restauro e tutte le volte che sono tornata a Firenze mi sono trovata in tutt'altra zona!! E pensare che per molto tempo il retaggio della congiura l'ha fatta finire quasi nel dimenticatoio.
    Aggiungo una curiosità che mi ha colpito molto dimostrandomi ancora una volta come Roma sia un crogiolo inesauribile di luoghi: c'è un quartiere a Nomentana, sede di un importante sito paleontologico, intitolato Casal De Pazzi, in riferimento al casale, per l'appunto, che la famiglia fiorentina avrebbe fatto restaurare dopo che ne divenne proprietaria nel 1475. Attualmente è utilizzato come villino signorile ad uso privato e lo si può vedere in questa foto del 1940

    Screenshot_2016_12_08_18_12_09_1

    e in questa suppongo analogamente databile

    Screenshot_2016_12_08_18_12_21_1
    Attached Image
    Screenshot_2016-12-08-18-12-21-1

     
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    Verso Casal de' Pazzi ci passo spesso per andare a trovare i miei zii a Talenti, ma questo non l'ho mai visto! Molto intessante, ti ringrazio davvero! <3
    Chissà come si presenta l'interno...
     
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  10. cherclarice
     
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    Vi informerò quando ci festeggerò i 20 XD o FORSE rimarremo per sempre all'oscuro dato che
    1- Festeggiare dove si è senza dubbio discusso quello che ha portato alla morte di Giuliano mi renderebbe una bruttissima persona
    2- non è un agriturismo XD

    Tutto questa idiozia per dire che ha un suo fascino bucolico anche se piuttosto agrodolce lmao

    Edited by cherclarice - 8/12/2016, 19:29
     
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    Siccome un mese fa ho finito di leggere il Commentario della Congiura del Poliziano, ho scoperto un paio di particolari relativi a Jacopo e Francesco di cui non ero mai stata a conoscenza e che avevo voglia di condividere con voi:

    - Jacopo de' Pazzi, come ben sappiamo, non era sposato e non aveva eredi legittimi. Ma Poliziano ci dice che aveva avuto una figlia da una relazione clandestina e il cui precettore era niente di meno che Antonio Maffei (uno dei due preti da Volterra che avevano sostituito Montesecco durante l'attentato).
    - Francesco de' Pazzi era di carnagione olivastra e biondo. Ripeto, BIONDO. Io che me lo sono sempre immaginato moro, ancora prima che Martari lo interpretasse nella serie XD E Guglielmo era più grande di lui.

    Per il resto, ad eccezione di questi piccoli dettagli, il Commentario è una fonte storica che va presa CON LE PINZE, visto il modo mostruoso in cui i Pazzi&company vengono ritratti.

    Edited by florentinenymph - 3/1/2020, 16:06
     
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    Ma Poliziano ci dice che aveva avuto una figlia da una relazione clandestina e il cui precettore era niente di meno che Antonio Maffei

    Adoro scoprire queste storie dietro la Storia, grazie per il dettaglio!

    CITAZIONE
    Francesco de' Pazzi era di carnagione olivastra e biondo.

    Tra l'altro è raro essere di carnagione scura e biondi, o sbaglio? Direi che o si decolorava o doveva passare molto tempo all'aperto in occupazioni diciamo virili.(non so se la caccia o le armi).

    Piuttosto, abbiamo mai capito qualcosa del suo presunto matrimonio e relativi figli tutti dallo stesso nome? Ero giunta alla conclusione che fosse una scemenza mai verificata dell'internet, ma ci sono siti di genealogie che insistono su una Novella Foscari (1446 - 1527) sposata a uno scozzese dopo Francesco.
     
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    Direi che o si decolorava o doveva passare molto tempo all'aperto in occupazioni diciamo virili.(non so se la caccia o le armi).

    Me lo sono domandata anche io, perché il Poliziano successivamente sottolinea il fatto che Francesco ci spendesse molto tempo per la cura dei capelli. Il che mi ha fatto pensare se effettivamente se li tingesse o fosse pura vanità.

    CITAZIONE
    Piuttosto, abbiamo mai capito qualcosa del suo presunto matrimonio e relativi figli tutti dallo stesso nome? Ero giunta alla conclusione che fosse una scemenza mai verificata dell'internet, ma ci sono siti di genealogie che insistono su una Novella Foscari (1446 - 1527) sposata a uno scozzese dopo Francesco.

    Guarda io stento ancora a crederci. Con la messa in onda della serie questa ""Novella Foscari"" ha fatto il giro del web con gente che, tra l'altro, si attinge ad una scheda che non ha alcun riscontro effettivo con dei documenti storici.
    Se Francesco si fosse sposato, e avesse avuto figli, scommetto che il Poliziano lo avrebbe scritto anche nel Commentario. Lui che nei dettagli mi è sembrato così minuzioso!
    Un altro mistero che circola intorno a questa """Novella Foscari""" è che si sia sposata con un certo Alexander Stewart II. Il punto è che se si legge la voce in internet di questo scozzese dice che non ha avuto nessuna seconda moglie che si chiamasse Novella!!! ZANZANZAN.
     
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    Io ho provato a cercare Novella Foscari coi miei metodi e non la trovo in nessun testo storico, ho provato persino con la f al posto della s perché magari nei libri vecchi la grafia sarebbe stata diversa. xD È davvero un mistero da dove sia venuta fuori, a meno che ovviamente gli autori non abbiano cercato negli archivi. Stewart neanche tento di trovarlo perché se Firenze non è la mia specialità la Scozia lo è ancora di meno. E comunque il problema non è neanche (o non tanto) questa Foscari, ma i suoi presunti figli. Come dicevi, perché Poliziano non ne fa menzione? E quale sarebbe stata la loro sorte, verosimilmente, dopo la congiura?
    La prima cosa che mi viene da pensare è che una fanfiction sia sfuggita di mano al suo autore e si sia fatta strada in questi siti di genealogie senza che nessuno la controllasse, poi sarei felice di sbagliarmi se non altro per scoprire di una veneziana con una vita così ricca di eventi.
     
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    a meno che ovviamente gli autori non abbiano cercato negli archivi.

    Non credo sai? Perché con tutti i personaggi originali inseriti nella S3 ne dubito. Probabilmente ""Novella"" è stata un pretesto per dare una love story anche a Francesco, e quando sono andati a fare delle ricerche in internet su di lui si saranno imbattuti anche in quella famosa scheda. XD

    CITAZIONE
    Io ho provato a cercare Novella Foscari coi miei metodi e non la trovo in nessun testo storico

    NEMMENO IO L'HO MAI LETTO FINO AD ORAAAAA.
    Non so che dire, davvero. Rimango dell'idea che il Poliziano, in quanto contemporaneo, ce ne avrebbe parlato visto che il matrimonio tra i due non sarebbe stato una questione da inserire in secondo piano, specialmente se si riferisse ad una famiglia aristocratica come quella dei Pazzi. Avrebbe sicuramente menzionato il nome della sposa; ma il poeta, invece, ci fa chiaramente capire che Francesco fosse celibe.

    Mi pare inoltre di aver letto che nemmeno Litta, un grande genealogista dell'Ottocento, ha mai menzionato una Novella nell'albero dei Pazzi...

    CITAZIONE
    E comunque il problema non è neanche (o non tanto) questa Foscari, ma i suoi presunti figli. Come dicevi, perché Poliziano non ne fa menzione? E quale sarebbe stata la loro sorte, verosimilmente, dopo la congiura?

    Stesso discorso di prima varrebbe anche per i suoi presunti figli, dei quali la scheda ci dice fossero 5.
    Se il Poliziano ci ha lasciato la chicca che Jacopo avesse avuto una figlia illegittima, perché non considerare anche quelli del nipote che sarebbero stati, al contrario, legittimi a tutti gli effetti? O_o
     
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